Da Parigi a Damasco, alla ricerca della Siria promessa
di Giuseppe Acconcia
Il romanzo epistolare di Hala Kodmani La Siria promessa (traduzione di Elisabetta Bartuli, Francesco Brioschi Editore, 2020, pp.232, 18 euro) racconta le speranze di tre generazioni di una famiglia della borghesia di Damasco di vedere il cambiamento nel loro paese. L’autrice, corrispondente dalla Siria per Liberation e L’Express, nel 2013 ha vinto il premio della stampa diplomatica francese (Apdf), realizzando in seguito memorabili reportage dalla città di Raqqa, assediata dallo Stato islamico (Isis). Ispirata dalla rivoluzione del cyber-attivismo che ha segnato le Primavere arabe del 2010-2011 (di cui in queste settimane ricorre il decennale), l’autrice si impegna in una corrispondenza via mail con suo padre, da poco scomparso, il diplomatico Nazem, naturalizzato francese dopo il carcere e l’esilio forzato in Francia per aver criticato il regime siriano di Hafez al-Assad. Il testo originale e coinvolgente parte da un dibattito su radici, “identità nazionale” francese e razzismo quanto mai di attualità. Definendo “irritanti” alla stessa stregua islamofobi, islamisti e islamofili d’oltralpe, Hala comprende il desiderio di alcuni giovani arabi, come il figlio Zeyd, di lasciare la Francia per il Canada con l’obiettivo di schivare il razzismo dilagante. E si scontra così con le convinzioni del padre che, dall’amore per i cimiteri parigini, è passato a idolatrare il “negativismo francese” a tal punto da non voler vederlo sciupato. Eppure l’autrice incalza, riferendo di una Francia che ha perso la sua autenticità e trasformata ormai in “museo”. Mentre il padre, che ha molto facilmente ottenuto la cittadinanza francese perché nato durante il mandato coloniale, ripercorre il suo rifiuto della futilità della tirannia dell’autoritarismo siriano. Il dialogo epistolare tra padre e figlia acquista vigore con lo scoppio delle rivolte in Tunisia, la così detta “Rivoluzione dei Gelsomini” che le ha dato la “gioia” di vedere la fine del regime dell’ex presidente Zine El Abdine Ben Ali dopo proteste con grande partecipazione popolare. Eppure la notizia non sorprende il padre che ha sempre creduto nel “risveglio dalla sottomissione” dei popoli arabi. Ancora più emozionante è l’escalation della cronaca che coinvolge giorno dopo giorno piazza Tahrir al Cairo, fino alle strade di Bengasi in Libia e le vie di Daraa in Siria. «La sorpresa è totale e globale […] Supera ogni immaginazione […] Questi giorni hanno del miracoloso», ammette Hala, confrontando le manifestazioni del 2011 con la quasi totale assenza di reazione alla disastrosa guerra in Iraq del 2003. Richiamando la necessità di “giustizia sociale” richiesta a gran voce dalle strade di Tunisi e del Cairo, Hala non esita a definire le proteste un “movimento ineludibile” che unisce le contestazioni degli anni Cinquanta a quelle del Duemila e così facendo mette insieme due generazioni di oppositori ai regimi autoritari della regione. L’autrice ammette che sono state proprio le Primavere arabe ad aver segnato il suo primo accesso nel mondo dei social network, da Facebook a Twitter, e che proprio attraverso queste piattaforme i giovani egiziani, tunisini, siriani, libici, yemeniti riuscivano ad organizzarsi, attraverso coordinamenti dal basso (tansiqiya) e superando i controlli di uno stato poliziesco. E così gli attacchi alle sedi del partito Baath e le proteste del venerdì non possono non risvegliare anche in Nazem la nostalgia per il suo deluso impegno marxista giovanile, mentre l’entusiasmo più sincero pervade le pagine del libro. Hala inizia a organizzare la diaspora siriana a Parigi e a viaggiare verso Damasco, chiusa ai giornalisti stranieri, per sostenere le aspirazioni delle opposizioni, inclusi i curdi. «Bisogna partecipare a questo movimento straordinario, sostenerlo mettendo in campo le proprie competenze e la propria esperienza», aggiunge l’autrice. A questo punto Nazem, critico ma non militante dopo l’assassinio dell’editore Salah Bitar nel 1980, racconta i terribili giorni del carcere prima di fuggire per la Francia. Eppure la speranza lascia presto il posto al buio della distruzione, di alti militari che non si ribellano a Bashar al-Assad, della strumentalizzazione delle minoranze, della guerra civile, dei manifestanti uccisi a fucilate, delle migliaia di morti. E così Hala e Nazem chiudono il loro dialogo con l’umore della sconfitta, del fallimento ma anche della consapevolezza di una “rottura profonda” che segnerà la loro Siria promessa.