Ammoniaca

di Clelia Attanasio

La prima volta che Micol ha bagnato il letto aveva nove anni, frequentava le elementari. Il giorno prima tutti si erano spesi in complimenti con Riccardino – bambinetto paffuto e gentile fino al fastidio – per il miglior tema d’italiano della scuola. Micol aveva osservato lo spettacolo della direttrice dell’istituto leggere il tema di fronte a tutti i bambini, tenendo Riccardino al fianco come una statua celebrativa. La rabbia e l’invidia le si erano presentate in corpo, a metà tra la pancia e l’inguine, trasformandosi in esigenza di urinare. Era corsa al bagno sotto lo sguardo contrariato della maestra di matematica e lo sbuffo del bidello costretto a seguirla per aspettare che uscisse. Micol aveva svuotato la vescica circondata dal silenzio; avrebbe voluto piangere per la furia, ma sembrava che l’acqua fosse tutta scivolata tra le gambe.

Quella notte, Micol non dormì bene. Sognò di stare davanti a una libreria invasa di libri, tutti col suo nome, e tante persone anziane che la applaudivano mentre lei aveva i pantaloni della tuta tutti macchiati di pipì: quando se ne accorgeva, iniziava a girarsi nervosamente in cerca della mamma che la aiutasse a cambiarsi; ma nessuno veniva a soccorrerla, anzi l’applauso diventava ancora più forte, così forte da impedirle di piangere, di chiamare aiuto. Si svegliò la mattina col letto invaso di pipì.

Arrivò a scuola con lo sguardo della madre davanti agli occhi, la vergogna sulle guance come un vestito incadescente, per scoprire che tutto era ricominciato da capo. Tutti sembravano essersi dimenticati d’aver vissuto un giorno in più. Ognuno ripeteva il copione del giorno prima, una replica fedele che sembrava aver visto solo lei, fino a quando la direttrice non la chiamò al centro dell’atrio, per leggere il tema migliore. Riccardino sedeva tra il pubblico di bambini silenziosi, attenti o annoiati, totalmente ignaro d’essere stato autore di un capolavoro defraudato. Micol lo guardava dall’altro lato dell’atrio: fu invasa da una sensazione così potente di euforia e adrenalina che dovette concentrarsi per non macchiare i pantaloni di pipì.

Nei trent’anni trascorsi dal suo primo prestito – così chiama la sua magia – Micol non ha mai più sentito un odore che non sia ammoniaca: ogni cosa s’è impregnata dell’odore di un cesso pubblico, costringendola a inventarsi i sapori del cibo. Ne è derivato che Micol Maimann non abbia avuto mai il vero e proprio gusto per il cibo e la convivialità che esso porta con sè, lasciandola in un corpo di ragazzina, senza forme e senza ciclo mestruale. Non è malattia, la magrezza di Micol è mancanza che si incorpora.

Poco è importato, però, al mondo: Micol Maimann sarebbe rimasta una donna magra e rachitica, destinata a scomparire nel suo gruzzolo d’ossa, se non avesse raggiunto una notorità tale da permetterle d’esser nominata col solo cognome: la Maimann, scrittrice di successo internazionale, tradotta in otto lingue, con una vita divisa tra Londra e Napoli. Mentre Micol Maimann si taglierebbe il naso per placare i conati di vomito, il mondo non sente nessun odore, non vede le macchie di piscio che bagnano il letto di Micol romanzo dopo romanzo; il mondo non sente Micol Maimann piangere, perché l’acqua non scende più.

Micol vive la sua vita un romanzo alla volta: divora libri giorno e notte. Il suo gusto per la scrittura è sicuramente il migliore al mondo, Micol ama i libri come nessun altro essere umano: li ama talmente da comprenderli anche più di chi li ha partoriti. La rabbia e il livore sono i suoi campanelli d’allarme che le dicono che la scrittura è buona, che c’è qualcosa sotto la superficie di una trama di cui vale la pena appropriarsi. Micol non prova rimorso, perché la cura che riserva alle sue prede è maniacale tanto da renderla – agli occhi di un mondo senza olfatto né gusto – l’autrice più devota alle sue opere. Micol Maimann ama la letteratura un po’ come un monaco ama la vita più di quanto non faccia Dio.

Per ogni libro che ruba, Micol bagna il letto. In trentanove anni questo meccanismo non ha fallato una volta sola: lei legge, apprezza, invidia, va a dormire e nelle agitazioni notturne bagna il letto. Per i primi anni fu frenata dalla potenza degli incubi e dalla vergogna che provava di fronte allo sguardo perplesso dei genitori. Ma l’euforia è l’anestetico più potente che esista, e col tempo persino i genitori impararono a ignorare il problema trattenitivo della figlia: era un genio, dopotutto.

Oggi, Micol aspetta Riccardo De Stefano nel suo ufficio di Napoli: è tornata da Londra di primo mattino appositamente per incontrarlo. Il suo primo romanzo, Fenomelogia dei liquidi, era uscito da più di un mese e non c’era stato verso, per Micol, di riuscire a prenderlo in prestito. Aveva provato con ogni mezzo a sforzarsi di più, i suoi incubi – sempre ricorrenti per ambientazione e trama – erano evoluti in una potenza tale da far svegliare Micol più volte nel cuore della notte, tanto da impedirle quasi di fare pipì tra le lenzuola. Una notte aveva persino defecato nel letto, tanto era forte lo sforzo: Micol si era ritrovata la mattina dopo a dover pulire prima dell’arrivo della donna delle pulizie (la quale era abituata al piscio, ma alla merda ancora no). Ma nulla, il romanzo di Riccardo non si lasciava convincere.

Riccardo è appena sceso dalla metropolitana, fermata Quattro Giornate, e si rende conto di essere in anticipo di mezz’ora: è frenetico. Per calmarsi si fionda nel primo bar che trova all’uscita della metro e chiede un ginseng. Lo beve con calma, respirando sulla tazzina con regolarità, nella speranza di calmare il respiro. Dopo cinque minuti, il ginseng è diventato una ciofeca: Riccardo lo beve d’un fiato, paga il barista senza aspettare il resto, ringrazia con un sorriso smagliante ed esce in strada, con il viso rivolto al sole. Si lascia illuminare dalla bella giornata per un attimo, poi riprende a camminare verso lo studio di Micol Maimann. Tutto avrebbe potuto aspettarsi Riccardo dalla pubblicazione del suo primo romanzo, fuorché essere chiamato proprio da lei, il suo idolo indiscusso. La Maimann rappresentava per Riccardo tutto ciò che uno scrittore dovrebbe essere, tutto ciò che uno scrittore dovrebbe dire e il modo in cui dirlo. Micol Maimann era riuscita a fare ciò che Riccardo ambiva per sé stesso: era riuscita a scrivere del nulla in modo autentico.

Riccardo adesso è davanti al portone della Maimann, bussa al citofono e dice il suo nome al segretario d’ufficio, il quale gli apre e gli dice di salire al quarto piano, senza ascensore. Riccardo sale le scale di quel palazzo antico con calma, considerando piano le parole da utilizzare, ripetendosi un discorso mentale che aveva preparato la sera prima con la moglie: Salve Micol, è un onore per me conoscerti; anzi, incontrarti ancora, perché – forse tu non lo ricordi – ma io e te abbiamo frequentato lo stesso istituto elementare; il tuo invito per me è un grande attestato di stima: se oggi sono uno scrittore è grazie a te; quando andavamo a scuola, la preside lesse ad alta voce un tuo tema, e io lo ricordo ancora; ho pianto quando tornai a casa da scuola quel giorno, piansi per l’emozione di aver sentito delle parole così autentiche, che quasi desiderai di averle scritte io.

Riccardo finisce di ripassare mentalmente il copione, giusto in tempo per entrare nello studio di Micol, accolto dal segretario che gli fa cenno di avviarsi alla porta semiaperta dell’ufficio di Micol. Apre quindi la porta, e sente solo un fortissimo odore di ammoniaca, poi nulla più: Micol lo ha colpito con un ombrello proprio dietro la testa, aprendo un buco gigantesco sul cranio. Guardando Riccardino steso a faccia in giù, con una pozza grandissima di sangue che si apre sotto il corpo, Micol piange e, per un’abitudine che ormai è diventata istinto, si tocca i pantaloni: neanche una goccia.

Foto di Free-Photos da Pixabay

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davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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