Barbari in Campidoglio: cronaca di una telecronaca
di Andrea Inglese
Proprio un afroamericano ci aveva insegnato che non avremmo visto la rivoluzione in TV (Gil Scott Heron), ma un colpo di stato magari sì. Se poi il colpo di stato riguarda niente popò di meno che gli Stati Uniti d’America, che di colpi di stato se ne intendono parecchio, soprattutto nel caso in cui avvengano fuori dalle loro frontiere, allora vale proprio la pena di restare incollati davanti alla TV come sono rimasto io la sera del 6 gennaio. Non vorrei sembrare cinico, anche perché sono morte ben cinque persone durante l’assalto dei trumpisti al Campidoglio. (Dei quattro manifestanti deceduti, una donna è stata uccisa da un proiettile esploso da un poliziotto all’interno del palazzo, un’altra è morta schiacciata dalla folla o in seguito a uno svenimento, il terzo per un infarto e il quarto per un ictus. L’unica vittima tra le forze dell’ordine, è morta dopo essere stata colpita dal lancio di oggetti contundenti.) Bisogna, però, essere fedeli non solo al carattere politico e sociale degli avvenimenti, ma anche a quello estetico. E quando ci si trova seduti davanti a uno schermo, per guardare l’inatteso che accade, commentato e filmato in diretta, in tale frangente dell’informazione-spettacolo le considerazioni estetiche non possono essere del tutto azzerate.
Innanzitutto, ho rivissuto l’esperienza di quando guardavo più giovane i mondiali di calcio, senza sapermi decidere su quale canale sintonizzarmi per seguire la medesima diretta, resa eventualmente più gustosa dal talento di un particolare commentatore. La sera del 6 gennaio saltavo da un canale all’altro, passando in rassegna tutte le trasmissioni televisive d’informazione che il mio operatore mi rende disponibili. La scelta era sufficientemente varia, includendo quattro o cinque canali francesi, i principali canali Rai, Euronews e poi, ovviamente, BBC, CNN e persino Al Jazeera. Di questi tempi, come molti, rifuggo il responsabile aggiornamento sui fatti d’attualità, preferendo al tormentone pandemia-vaccini-maschere-confinamento l’evasione rincretinente offerta da un bel film di vampiri o supereroi Marvel. In ogni caso, la presa, in stile vagamente bolscevico, del Campidoglio statunitense, sede del Parlamento federale della più prepotente e ammirata democrazia capitalistica del mondo, centoquattro anni dopo quella del Palazzo d’Inverno, meritava uno strappo alla regola. Ad entrambi i palazzi, per altro, bisogna riconoscere il physique du rôle, quello d’Inverno è in stile neobarocco (barocco russo o elisabettiano), ma c’è il solito zampino di un architetto italiano, Bartolomeo Rastrelli. Quello di Washington, invece, è un bel mastodonte neoclassico, perfetto per albergare, dietro la sua marmorea e imponente bianchezza, i più tenebrosi intrallazzi del potere pluto-tecnocratico. E anche in questo caso non manca l’affresco di Costantino Brumidi, nato a Roma da padre greco e madre italiana, considerato il Michelangelo del Capitol grazie alla sua Apoteosi di George Washington, che dal soffitto del cupolone sovrasta la rotonda. (C’è da dire che, dopo secoli di Signorie e Papati, gli artisti italiani sapevano come si lusinga, a colpi di pennello o di scalinate, un Principe.)
Questi due templi del potere si prestano magnificamente a essere illordati da plebe sgangherata, da canagliume in armi, con forconi, banderuole, stivalacci, bragoni incrostati, panini alla provola e alle melanzane sott’olio. Non c’è vera insurrezione popolare senza l’effetto: barbone a cena dal Principe di Monaco, o elefante nella cristalleria. Inoltre, come già accadde centoquattro anni fa a Pietrogrado, anche stavolta si entra facile, nel Campidoglio intendo. Nel Palazzo d’Inverno, dopo qualche colpo di cannone sulla facciata, i bolscevichi ebbero soprattutto problemi a orientarsi in quel dedalo di stanze vuote. L’altra sera c’era soprattutto l’ostacolo dei vetri alle finestre: ma gli scudi delle timide forze dell’ordine sono stati prontamente utilizzati per risolvere il problema. Grazie al cielo non mancano mai gli estintori, e anche le impalcature di metallo, per inscenare arrampicamenti eroici e arringare le folle. Se poi nessuno viene ascoltato nel bailamme generale, c’è sempre un teleobiettivo della CNN che si occupa degli urlatori solitari.
Nonostante io mancassi di pop-corn e birre fresche, non ho certo osato alzarmi dal divano, anche perché le immagini erano non solo sorprendenti ed eccitanti, ma anche gravissime. Più galvanizzati di me erano comunque i giornalisti. Non stavano letteralmente nella pelle. Anche loro bisogna capirli. Hanno passato quasi un anno in una sorta di tunnel monotematico a carattere sanitario, che certamente riscuote tormentata e nauseata attenzione, però avere sottomano il colpo di stato non in Costa D’Avorio, non in Venezuela, non in Ucraina, ma proprio negli Stati Uniti d’America, non può che ridare speranza anche al conduttore di talk-show più cinico e disincantato. All’inizio, i loro inviati speciali se ne stavano bene a distanza dalle gradinate dove accadeva il finimondo, ma poi non hanno resistito. Con le loro diligenti mascherine, mentre gruppetti di poliziotti antisommossa cominciavano a fare qualche scorribanda, appoggiati dal lancio di lacrimogeni, i cronisti sono andati a piazzare il microfono sotto il naso degli energumeni trampisti, e questi con fare arrendevole si sono messi di buzzo buono a urlare i loro slogan di elettori defraudati, guardando dritto nell’obiettivo. Poi qualcosa dev’essere andato storto, perché si sono visti altri energumeni pigliare a calci costosissime apparecchiature televisive. Un vero peccato, perché la sintonia tra giornalisti e terroristi era stata per un bel pezzo perfetta, e ne godevano tutti i telespettatori mondiali, costretti a casa con moglie o con marito per via del coprifuoco. Bisogna infatti sottolineare anche questo fatto non secondario: si segue con più attenzione un colpo di stato a Washington, quando non si è al pub con gli amici a sbronzarsi o non ci si può fare una canna di gruppo sul lungotevere o sul lungosenna.
Anche se i conduttori televisivi gongolavano, si capiva bene che stava accadendo qualcosa di molto grave e drammatico. Anzi, erano gli stessi commentatori che, di tanto in tanto, smettevano i panni del radiocronista calcistico sudamericano, per assumere quello di un coro della tragedia attica, e qui l’eloquenza raggiungeva apici di rara intensità. Tutti si chiedevano naturalmente dove fosse finita la variopinta legione di poliziotti di quartiere, municipali, statali e federali, accompagnata dalle forze speciali e dalla guardia nazionale, oltreché da qualche mezzo blindato dell’esercito che si vede sia nella sequenza finale dei Blues Brothers sia nelle più sguarnite manifestazioni di cortile di Black Lives Matter. Ma in effetti di poliziotti, a parte quelli bonaccioni del Campidoglio, non ne circolavano un granché. Per buona parte della serata, ho pensato che ciò fosse la conseguenza di un piano mefistofelicamente architettato dal tremendo Trump, poi mia moglie mi ha instillato una versione complottistica più coerente. Quale modo migliore di sbarazzarsi di lui, bruciarlo politicamente anche presso il proprio partito, se non quello di aprire le porte del Congresso e le aule venerande degli eletti al circo barnum degli elettori trumpisti, fresatori in pensione della Virginia o agricoltori dell’Arkansas? Se fossi un complottista pro-Trump mi chiederei quanto i monumentali svarioni realizzati nell’organizzazione della sicurezza non siano stati anche frutto di qualche giudizioso calcolo. Molti opinionisti, inclusi quelli specializzati nelle questioni più arcane della sicurezza interna, hanno sollevato l’argomento del “fattore sorpresa”. In effetti, pare che nessuno abbia avvisato con almeno due settimane d’anticipo i vertici della polizia, dell’amministrazione municipale e dei servizi segreti, dell’intenzione di assaltare la sede nel Congresso. Un’ennesima dimostrazione, questa, del dilettantismo che spesso alligna tra le forze insurrezionali.
È stato, però, l’assenteismo totale di forze di polizia nella capitale, davanti al Campidoglio, il giorno in cui semplicemente si ratificava la contestata vittoria del nuovo presidente e si radunavano decine di migliaia di sostenitori del vecchio presidente, che ha cominciato a rendere la vicenda da melodrammatica ad assurda, da terrificante a surreale. Il senso estetico qui ha cominciato a divergere dalle reazioni politiche e morali, incentrate sul lamento e l’indignazione. A sabotare completamente l’effetto tragico, a rendere implausibile un finale dittatoriale a fosche tinte, nonostante i feriti e i cinque morti, sono state poi le sequenze video e le foto scattate all’interno del palazzo. Non è stata colpa solo di uno sconsiderato selfie che un poliziotto si è fatto con un insurrezionalista. È soprattutto il contrasto tra la visione carnevalesca e stralunata di quanto accadeva all’interno rispetto alla visione da film apocalittico degli eventi all’esterno che ha allentato inevitabilmente la tensione. Anche Biden ha dato ovviamente il suo contributo, con il suo intervento a caldo. Ogni volta che Biden prende la parola cala quella caratteristica atmosfera di sonnolenza da quattro e mezza di mattina, che in genere assopisce anche gli insonni più gravi.
Gli sceneggiatori di Hollywood ci avevano convinto che per conquistare il Campidoglio bisognava essere marziani, su immense piattaforme stellari, che sparano raggi fotonici sul cupolone. Oppure supercriminali volanti e giganteschi, che abbattono grattacieli con un pugno. O reduci dell’armata sovietica, con bombe nucleari a tracolla, se non eserciti islamisti guidati da mercenari armatissimi e spietati. Nessuno però aveva scommesso su una presa del palazzo in stile Marco Ferreri o Brancaleone alle crociate. Da assurdo, infatti, l’evento si è fatto vieppiù grottesco, quando si son viste le immagine delle masnade incolonnate nella rotonda, che s’incamminavano per le sfavillanti sale con il passo strascicato delle comitive tedesche o russe in visita a Firenze, e chi con la divisa da bucaniere, chi con la bandiera dei Confederati, chi con il cappellino alla David Crockett, chi con tutine sgargianti e lasche tipo il Gabibbo, chi infine con il volto colorato, indossando corna e pelliccia di bufalo. E tutti, ad un certo punto, estremamente combattuti tra farsi un selfie tra marmi e lampadari, sfuggire ai gas lacrimogeni o spaparanzarsi sugli scranni congressuali. Mai tenativo di putsch, insurrezione plebea, colpo di mano fascista, è stato più sbrindellato e variopinto. Questo di certo non lo rende più innocuo. (Il fascismo non lo è mai, nemmeno nelle sue forme più caricaturali.) Ci si aspettava qualcosa, però, di più hollywoodiano, di più virile e grandioso, di più sublime, rispetto al signore con un berrettino da baseball, jeans e scarpe da lavoro, seduto in un ufficio del Congresso, con i piedi sulla scrivania. Dobbiamo, insomma, riconoscere che l’azione politica estremamente minacciosa, di cui siamo stati testimoni e che si è svolta a Washington il 6 gennaio, si è presentata mescolando irrealtà ed efficacia, autolesionismo trasognato e rabbia idiota, bisogno di svago e delitto noncurante, martirio eroico e caduta dalle scale, selfie da pensionato in gita e celebrazione mediatica da nemico pubblico numero uno. Una lama d’irrealtà si è infilata nel cuore stesso delle più eclatanti realtà, con buona pace delle nostre discussioni letterarie sull’infinita rincorsa tra finzione e cronaca, tra immaginazione e dati di fatto.
Copio e incollo ciò che ho già scritto in commento al post di Antonio Sparzani, anch’esso inerente ai fatti in questione: Nell’ultimo assalto alla “democrazia” statunitense mi ha colpito soprattutto la manifestazione spettacolare d’ignoranza. Perché in una nazione opulenta come gli USA si è lasciato che si estendessero così grandi sacche d’ignoranza, piene di complottisti, terrapiattisti, fanatici religiosi, negazionisti, persone che dimostrano di non possedere nemmeno i rudimenti di un’educazione scientifica, per non dire storica, civica…? E’ questa una grave responsabilità persino in uno Stato capitalista all’ennesima potenza come gli States. A quale persona media, normale, anche umile ma dotata di minimo buonsenso, può venire in mente di dare l’assalto a un palazzo governativo come andando a fare una scampagnata, senza preparazione né organizzazione? Persino alle classi dominanti di uno Stato molto potente credo non convenga affatto lasciar proliferare entro i propri confini tale oscurantismo, tale sonno della ragione, in proporzioni così vaste… Se si accetta che dilaghi ogni mancanza di razionalità e di buonsenso, dal mattino alla sera un impero può scoprire di essere diventato un colosso dai piedi d’argilla, un’accozzaglia di bande sbrindellate che può essere turlupinata da chiunque. Ho l’impressione che l’ignoranza, certamente coltivata in tutti i tempi dalle classi dominanti per condizionare e manipolare meglio le classi dominate, se eccessiva, cioè se lasciata proliferare senza limiti e lasciata andare oltre il buonsenso, diventi controproducente. Non sono un’esperta di questioni militari o paramilitari, ma forse un colpo di stato trumpista con un po’ di organizzazione e razionalità si sarebbe potuto persino renderlo vincente.
Grazie Roberta. A voler sintetizzare con l’accetta la questione che sollevi, mi verrebbe da dire: “Se in una democrazia, il sapere condiviso – che passa in gran parte attraverso l’istruzione, ma anche attraverso televisione, radio, cinema, attività culturali sul territorio – tende potentemente a un modello di “sapere privatizzato” (se ne ha per quel che se ne paga, se ne ha del tipo che aggrada), i risultati saranno un enorme differenza di capitale culturale tra i cittadini, differenze che dipendono ovviamente in gran parte dalle condizioni di classe sociale. Se poi a questo si aggiunge che i più “deboli” culturalmente sono potentemente esposti a una propaganda diffusa e capillare, che oltre ai media di massa si appoggia ai social network, il risultato è uno scontento orientato su falsi o secondari obiettivi.
Un sacco bella, caro Andrea, la tua radiocronaca di una telecronaca, me la sono ben gustata. Con Roberta qui sopra sono più che d’accordo. Io sono stato un anno negli USA frequentando ambienti accademici, ma anche gente comune. Confermo che l’ignoranza delle cose del mondo è generalizzata e organizzata, a cominciare dalla geografia e dalla storia, per non dire della filosofia e della letteratura, di tutto ciò che non è strettamente amerikano, e anche qui con parsimonia. Ai limiti del ridicolo.
… tutto vero, fino ad un certo punto… Paese opulento? mah, non ho mai visto e conosciuto tanta povertà quanto a New York, dove ho speso sei degli ultimi sette anni della mia vita… Paese d’ignoranti? Quanti di voi, d’istinto, senza cercare su Google, sanno qual è stata la prima capitale degli Stati Uniti? Oppure quale sia l’attuale capitale della Virginia? Non del South Dakota, per intenderci, piuttosto di uno degli Stati fondatori. Quanti di voi hanno mai letto Zora Neale Hurston, di cui quest’anno si celebrano i 130 anni dalla nascita? Questo non per edificare un Paese ed una società che ha senza dubbio enormi problemi e contraddizioni, piuttosto perché in tutte le analisi qui sopra, nei report sui nostri quotidiani nazionali, mi sembra che manchi una considerazione essenziale, ovvero che gli Stati Uniti d’America non sono l’Europa; che, pur in questo universo globale in cui viviamo, la cultura americana non è quella europea, e viceversa; che non ha alcun senso giudicare gli Stati Uniti utilizzando categorie e concetti i quali non appartengono a questa realtà… anche io stesso ho molte perplessità su questo sistema, pur ritenendo di conoscerlo abbastanza bene, dato che ci vivo, ma eviterei di giudicare l’episodio della “presa del Capitol Building”, per quanto goffamente triste e ridicolo, come l’emblema della società americana. Mi sembrerebbe un’analisi abbastanza superficiale. Anche perché non dimentichiamoci che qualche anno fa, per via di un premier con il testosterone incontrollabile, eravamo noi ad essere considerati, a livello internazionale, l’esempio del ciarpame e del ridicolo… e non è che Salvini & Co. che ballano l’inno d’Italia sui tavoli del Papeete siano l’espressione di un livello culturale molto più elevato dello sciamano Q-Anon, per intenderci… Per concludere, a me sembra che in questi Stati Uniti d’America raccontati ed analizzati via YouTube/TV qui sopra, ci si dimentichi che, certo, i “deprecabili” di Washington ci raccontano di un Paese folle e selvaggio, ma gli Stati Uniti hanno significato anche #MeToo, Black Lives Matter, ed, in questi ultimi anni, una sostanziale discussione e rielaborazione da parte dei media su come debbano essere approcciati soggetti e storie potenzialmente generatori di fake news o contenuti offensivi. Basti aprire il New York Times od il Washington Post oggi ed analizzare le differenze di come sia scrutinata la barzelletta Q-Anon rispetto alla pubblicità gratuita offerta a quattro sfigati Alt-Right nel 2016. L’Italia, tra Mentana ed i suoi lanciafiamme, l’ennesima assoluzione bipartisan di Montanelli, la continua offesa del corpo femminile sui media, i crimini razzisti che si susseguono giorno dopo giorno, il tutto condito dalla “pasta Abissina Molinari, dall’inconfondibile profumo Littorio,” dove sta in questo processo?
RV sono perfettamente d’accordo con te, sul fatto che noi italiani, ma anche direi i francesi che conosco abbastanza bene, su tutta una serie di questioni non abbbiamo / non hanno da dare grandi lezioni a nessuno. Il problema invece è che gli Stati Uniti le lezioni le hanno volute dare e le danno ancora, a torto (spesso) e a ragione (qualche volta). Quanto a noi, ricordiamoci che il tentativo di golpe grottesco l’abbiamo già avuto con i “Serenissimi” imbecilli con il carroarmato sotto il campanile di San Marco nel 1997. Una precisazione pero’ su questo scritto: non vuole essere un’analisi politica, ma una considerazione di come i media ci raccontano la realtà e di come noi amiamo farcela raccontare. Questo, ovviamente, non esclude un intento satirico su certi aspetti della società americana.
In questo senso ho tirato in ballo l’ignoranza: siamo tutti d’accordo che vi sia un grande divario sociale per cui accanto alle eccellenze della ricerca in molti campi, accanto ai numerosi premi Nobel e alle università ambite da tanti europei, coesistono e proliferano (a quanto parrebbe) terrapiattisti, creazionisti, fanatici vari che nei fatti di Washington hanno usato scarso buonsenso, rimettendoci in definitiva in prima persona loro stessi. La mia considerazione è questa: fino a che punto conviene alle classi dominanti lasciar proliferare la mancanza di razionalità o ragionevolezza? Conviene al capitalismo lasciare che si diffonda largamente una totale mancanza di senso critico (non mi riferivo tanto a una mancanza di nozionismo quanto a una mancanza di riflessività, ragionevolezza e buonsenso, che sono sostenuti dal semplice calcolo dei pro e dei contro, da un minimo di scaltrezza nell’agire quotidiano e sono rinforzati certo dal non vivere in balia delle credenze più strane)? I fatti sembrerebbero dimostrare che non conviene. Con un minimo di razionalità in più e di organizzazione in più (col favore della polizia e di mezzo Paese alle spalle) il golpe avrebbe potuto anche riuscire e non risolversi in una carnevalata. E i repubblicani sarebbero restati al potere.
Non credo sia un problema di convenienza, ma di contraddizione. Per sviluppare la propria egemonia le classi dominanti hanno bisogno di seminare ignoranza perché una coscienza critica renderebbe molto più difficile l’accumulo del proprio potere viste le disuguaglianze seminate per ottenerlo. Il capitalismo mostra le sue lacune nel senso che non é in grado o perlomeno sembra, di gestire il consenso alle sue politiche nel momento in cui la crisi che a livello socio economico sta martoriando le nostre società da anni creano appunto disagio sociale. Con tutti i paradossi estetici e non del caso. In Italia sembra un po’ lo stesso meccanismo che fa emergere figure pericolosamente bizzarre e semplificatrici come Salvini e Meloni. Il punto é il distacco dalla realtà che contraddistingue chi indirizza questi movimenti e il suo carattere grottesco a renderlo ancora più pericoloso. Un po’ quello che fu il romanticismo come fenomeno culturale che precedette il regime nazifascista.
Per come la vedo io, Roberta, non credo che sia possibile a una coesa classe dirigente decidere del livello d’ignoranza (o meno) di una certa parte della popolazione, in un regime come quello statunitense. Ho l’impressione che l’ignoranza sia l’effetto secondario di politiche che hanno radici economiche e che producono sfruttamento ed esclusione. Su questo effetto secondario s’innestano invece gruppi di potere specifici – Trump e i suoi alleti e clienti ne è un esempio – che cercano di trarne vantaggi economici e politici. Probabilmente tra i responsabili di certe politiche sociali, del lavoro e dell’educazione ci sono anche dei “liberal”, dei democratici, che non vorrebbero certo trovarsi dei terrapiattisti al Campidoglio.
L’impressione che ho avuto io è che in fondo anche Trump sia rimasto male a vedere quanto scadente fosse il tentativo. A leggere i trumpisti nostrani, pareva che dovessero radunarsi milioni di persone… erano quattro gatti, con qualche arma e tanti smartphone. Non sono certo che sarebbe stato facile strappargli un “tornate a casa” se fossero stati di più e meglio organizzati.
Anch’io ho assistito sbigottita e divertita all’assalto sgangherato quanto truce e drammatico, nel giorno in cui qualche repubblicano avrebbe assecondato la maniacale bugia di Trump sulla frode elettorale, ma poi ho ricordato il parlamento italiano che voto’ la ridicola difesa di Berlusconi sulla nipote di Mubarak e così la farsa si estende a livelli planetari…
La democrazia americana è una democrazia tra virgolette?
Da decenni fomentate odio contro gli americani e di certo non sarete mai censurati perché avete il monopolio di tutta l’informazione. La verità è che voi odiate intimamente la democrazia perché odiate tutti quelli che non la pensano come voi.
Quando ha vinto Trump nel 2016 avete fatto il vostro solito baccano (le vostre teorie complottiste sono più convincenti di quelle degli altri), poi per quattro anni lo avete demonizzato (perché voi vi potete permettere di delegittimare gli avversari politici) e non avete fatto altro che auspicare guerre civili, mattanze spettacolari, scandali di tutti i generi. Poi hanno vinto le forze del Bene, ma a voi non è bastato lo stesso: l’uscita di Trump doveva essere scandalosa e io non escludo che l’assalto sia stata una delle vostre trovate staliniste.
Ai tempi di Obama soffrivate perché non potevate sfogare tutta la vostra rabbia, poi con l’avvento di Trump avete ricominciato a vivere perché l’antiamericanismo vi serve da un punto di vista finanziario (libri, interviste, indignazioni a go go) e sia per alimentare il vostro ego mostruoso, difatti voi siete convinti di essere superiori alla razza americana e questo, signori, è razzismo (ma tranquilli, voi potete permettervi anche questo).
Concludendo, magari prima di mettere “democrazia” tra virgolette pensate un poco a quello che succede in Italia, ma tanto che vi frega? Comandate voi e tanto basta. (Complimenti: potete andare a braccetto con i cinesi e gli islamici).
Questo commento è un campione esemplare di un tipo di discorso di destra e estrema destra (oggi questa distinzione ha spesso poco senso). E mostra, anche a una prima analisi, come e perché sembra sempre trionfare nei talk show televisivi o nei dibattiti pubblici (che sono in realtà ben più rari). Quello che caratterizza questo discorso – e qui la lezione di Jesi sulla cultura di destra aiuta – è l’omogeneizzazione della realtà e del nemico. Tutto viene magnificamente appiattito, semplificato, condensato, come in una potente caricatura. Solo che questa caricatura vuole essere presa per buona, reportage fedele. Controbattere a tali caricature del mondo e della realtà, costringe ad enormi preamboli per rimettere il paesaggio di cui si parla nelle giuste proporzioni. Ma chi ha tempo e voglia di seguire questi preamboli? Si prenda, qui, come esempio, l’uso che viene fatto del “voi”, e il modo in cui si è costruito il nemico. Chi è questo voi massiccio e polipesco: l’autore? l’autore e i suoi commentatori? l’autore e tutti i membri del sito su cui scrive? l’autore e un identificabile partito politico? un’identificabile corrente ideologica? Difficile dirlo, ma in questo voi non mancano nemmeno cinesi e “islamici” :)
@Andrea, assolutamente d’accordo. Ciò che però a me preme sottolineare che le esternazioni di @Paola non possono essere solo limitate ad una tipologia discorsiva tipica dell’estrema destra. La lezione di Jesi, importantissima e per certi versi attuale, trovava riscontro in una società che non aveva un livello di saturazione e dissolvenza delle informazioni e della comunicazione quale abbiamo noi oggi. Il modello “complottista” odierno non trova forza nella sua narrazione – piatta e semplice, come scrivi tu, strutturata a casaccio, mettendo insieme Stalin, guerre civili, mattanze, finanza, cinesi, “islamici” (imperdonabile, poi, che la signorina abbia dimenticato Soros!!!) -, ma sull’identificazione a priori di un nemico, di quelle forze del Male a cui contrapporre le cosiddette forze del Bene (non credo che la signorina si riferisse a Carmelo, purtroppo). È l’asse semantico dei due opposti che genera il conflitto; la sua narrazione interna è un costrutto che non ha particolari necessità se non quella di giustificare la presenza di X ed Y, del noi/voi, del Bene vs Male. La signorina difende la “democrazia americana”, ma appare abbastanza incline a negarne il presupposto essenziale, ovvero che il presidente degli Stati Uniti non viene sancito da una battaglia tra il diavolo e lo spirito santo, piuttosto da un voto elettorale––un voto che Trump , lo dice pure Pence, non certo un uomo di sinistra, ha – prrrrrr – perso. In tutta onestà, ad osservare da vicino gli amici della hater Paola, questi sgangherati patrioti Q-Anon, tanto quanto gli Alt-Righters di qualche anno fa, sembrano tutti quanti usciti dalle pagine de Il pendolo di Foucault in una ipotetica versione a fumetti riscritta da Max Bunker. E personalmente mi chiedo se l’utilizzo di certi costrutti discorsivi usati nei commenti qui sopra, data la confusione del mondo reale e virtuale in cui viviamo, non finiscano per alimentare questo genere di semplificazioni discorsive anche a sinistra. Fa specie per esempio che, come l’hater Paola qui sopra, un altro autore (non tu), commentando gli eventi al Capitol building, abbia espresso giudizi di estremo disappunto su Obama in un altro post su questo sito. Non m’interessa qui entrare nel merito dell’operato di Obama, certo non credo che abbia nulla a che fare con un famigerato gruppo TNT in azione al campidoglio, tanto meno eviterei di generalizzare i risultati della sua presidenza considerando i danni lasciati in eredità da Trump. Ma, soprattutto, mi chiedo che cosa succede quando: 1- @Paola identifica il bene in Trump ed il male in Obama; 2 – @AutoreB identifica in Obama il male e nella #rivoluzione proletaria il bene… non è che poi qualche pazzo Q-Anon giunge alla conclusione che Trump è l’eroe proletario Q+? Mi sa che sono in ritardo…
I preamboli (o le analisi) vanno comunque fatti. Suggerisco a Paola di dare un’occhiata a questi appunti: https://www.internazionale.it/reportage/wu-ming-1/2020/09/02/mondo-qanon-prima-parte . Saluti
grazie andrea lilli; il pezzo di wu ming è molto dettagliato e più che una cronaca sembra un racconto di Philip Dick, tanto la realtà si “derealizza” da sé. Ma anche Qanon è un sintomo, seppure grandemente aberrante. Alla radice vi è certo il discorso sulla logica binaria Bene e Male di RV. E ci devono essere vari armonici propri alla cultura statunitense e al suo dna puritano. Ma io credo che per avere più chiarezza sarebbe utile anche un discorso ampio sul contesto generalista che sta a monte delle biforcazioni settarie, in materia di gruppi social, siti e influencer. Come funziona la scuola negli Stati Uniti? Come funziona l’informazione generalista? Come funzionano le attività culturali a livello locale? In sintesi, la mia ipotesi: il fantasma di guerra civile che circola oggi negli USA è frutto anche di una concezione della società come insegna commerciale, in cui tutto è privatizzabile e vendibile come tale. E alla fine, anche la “verità” è privatizzabile. Poveri decostruzionisti dell’universalismo: la verità è già vendibile in pacchetti colorati, secondo i gusti di ciascuno, prima che nelle accademie abbiano finito di decostruirla.
Innanzitutto bisogna sfatare alcuni miti: la scuola dell’obbligo – compulsory schooling, fino a 16 anni – esiste anche negli Stati Uniti, ed in genere gli istituti pubblici, specialmente fuori dai grandi centri urbani, sono ottimi, ben organizzati ed hanno programmi molto avanzati. Il vero problema è l’educazione superiore che, nonostante non sia esclusivamente privata come si crede in Italia (esistono università pubbliche molto prestigiose, come la CUNY di New York, dove ho avuto la fortuna d’insegnare), rimane accessibile ad un ridottissimo numero di candidati.
“Il fantasma di guerra civile che circola oggi negli USA” NON “è frutto di una concezione della società come insegna commerciale”: il diritto di prendere le armi e destituire il governo in carica è garantito dal Secondo Emendamento. Affonda le radici in un Paese che ha fatto delle sue origini rivoluzionarie il proprio fondamento—un principio violento che, con una certa enfasi romantica, abbiamo noi stessi adottato come propulsore democratico – la rivoluzione francese, quella sovietica, quella cubana, persino la nostra guerra d’indipendenza – , nonostante in fin dei conti si trattasse di un gruppo di schiavisti che, appena preso il potere, procedettero a sterminare i nativi e ad adottare misure ancora più repressive contro gli schiavi.
Pur essendo comunque molto critico di questo sistema, non so se sia “la scuola negli Stati Uniti” il vero problema … altrimenti come spiegare l’ignoranza fanatica di #Paola qui sopra? Od i video dei “negazionisti della neve” che girano sui social network italiani? Sono solo un “copy & paste” della cultura americana? Non credo… Stamane, da buon italiano in attesa del derby, apro il sito della Gazzetta dello Sport e rimango inorridito di fronte a Lukaku rappresentato come l’animalesco Hulk opposto a Cristiano Ronaldo nelle vesti di Superman… Negli “ignoranti Stati Uniti” tale immagine avrebbe portato al licenziamento dell’autore ed al boicottaggio della rivista. In Italia si continua a fare finta di nulla e tollerare.
È la scuola/educazione il vero problema di quest’ondata di complottismo irriverente e razzista? Mi ha fatto molto riflettere un commento di un fan dell’Inter intervistato dal Guardian: “Italian fans are not racist. The fight to REAL racism has to begin in schools not in the stadiums, fans are just fans and they behave in different ways when inside the stadium as opposed to when they are in real life”
Allora, se anche il razzista sostiene che il problema è la scuola, ma che poi allo stadio tutto quanto è lecito, forse il problema non è la scuola… forse il problema è che quello che impariamo a scuola, negli Stati Uniti tanto quanto in Italia, non ha valide strutture sociali e culturali che ne rafforzino il significato e la necessaria rilevanza fuori dalle mura scolastiche…
RV come al solito le tue obiezioni sono pertinenti, e ci ricordi elementi importanti, come il Secondo emendamento, che per noi (europei) risulta un mattone costituzionale anomalo ed esotico. D’altra parte, la “well regulated militia” non puo’ essere confusa con qualsiasi gruppo armato, e, anche se ne parlano controvoglia, gli USA hanno già dovuto fronteggiare e reprimere un terrrorismo interno bianco di estrema destra e non da oggi (penso all’attentato di Oklahoma City, ad esempio). E infatti, sono curioso di vedere gli esiti delle inchieste e dei processi per terrorismo che già hanno come obiettivo alcuni personaggi penetrati in Campidoglio. Quindi, il Secondo emendamento sarà senz’altro un fattore centrale in questa faccenda, ma da solo non puo’ giustificare ogni tipo di azione eversiva e terroristica. Quindi anche qui qualcosa resta fuori dal conto. Torno invece sulla società come “insegna commerciale”. Ho visto recentemente un documentario sulla carriera del Trump imprenditore. Un uomo che, normalmente, per la sua gestione fallimentare di un enorme patrimonio immobiliare, avrebbe dovuto sparire dalla scena economica, molto tempo prima di accedere a quella politica. Perché invece ha potuto rimanere in sella, dopo aver fatto debiti enormi, e fatto perdere soldi a migliaia di azionisti e risparmiatori? Perché alla fine era un buon venditore, e meglio avere i palazzi con il suo nome che senza. C’è qualcosa che nel sistema non va profondamente. Non è possibile che un ricco possa fare cazzate colossali e uscirne immune, e un poveraccio, venir massacrato dalla legge al primo passo falso. (E non parlo solo dei neri, ma della povera genete in generale). Ma hai ragione a dire che la scuola non puo’ essere responsabile di tutto, anche se il livello d’istruzione è anch’esso, quando si parla di complottisti alla Qanon, un fattore importante.
Michele Ciliberto, “La Democrazia Dispotica”, Laterza 2011, pag. 102 (sta parlando delle “Considerazioni di un impolitico” di Thomas Mann e cita la critica che ne fece Benedetto Croce):
“Benedetto Croce, come si sa, si considerava amico di Thomas Mann e a lui dedicò la Storia d’Europa, una delle sue opere più impegnate sul piano etico-politico. Ma espresse con chiarezza le sue critiche alle posizioni sostenute nelle Considerazioni di un impolitico, che peccavano ai suoi occhi di astrattezza teorica e, soprattutto, di inconsistenza politica, anzitutto per la rigida distinzione posta da Mann fra “aristocrazia” e “volgo”: giacché
-il volgo resta -scrive sulla “Critica” il 20 maggio 1920, recensendo la seconda edizione del testo-; resta, perché opera (a suo modo, ben s’intende), e compie i suoi molteplici ufficii, tra i quali c’è anche quello di stimolare e accrescere nell’aristocrazia la coscienza dell’aristocrazia. Nessuna guerra, nessuna conquista, nessun assoggettamento, nessuna rivoluzione, nessuna invasione di popolo l’ha mai distrutto ; e se la Germania (che pensa e sente come Mann) si proponeva questo fine, non fa meraviglia che abbia perduto la guerra, e l’abbiano guadagnata invece coloro che hanno saputo far meglio i conti con il volgo.-
(“La Critica”, XVIII, 1920, pp. 182-183).