Love is Love: nessuno ci può giudicare
di Antonella Falco
«Sono allergico ai modi maschili, ignoranti, con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la mia confusione di generi, è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni, da cui poi si generano discriminazione e violenza. Sono fatto così, mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità che per me significa delicatezza, eleganza, candore».
Achille Lauro, Sono io Amleto
Sulle note del Bolero di Ravel due giovani amanti, avvolte in un lenzuolo, si abbracciano e si baciano rinchiuse in una gabbia, su un carrozzone da circo. Dietro di loro, scritte su una tela bianca, tre parole lapidarie: Love is Love. L’amore è amore. Sempre e comunque. Questo il titolo, e anche il senso, dell’installazione che Achille Lauro ha esposto domenica 25 ottobre al Museo Nazionale del Cinema, nella suggestiva cornice della Mole Antonelliana, simbolo della città di Torino. Città che ha ospitato dal 22 al 25 ottobre la 35° edizione del Lovers Film Festival, uno dei più importanti festival LGBTQI d’Europa.
Ospite della giornata conclusiva, il cantautore romano avrebbe dovuto essere fisicamente presente alla manifestazione, ma in ottemperanza alle nuove disposizioni di sicurezza relative al Covid 19, e per disincentivare la mobilità tra le regioni, ha deciso di presenziare all’evento serale Conversazioni maleducate, un talk con la direttrice del festival Vladimir Luxuria, da remoto, collegandosi dal proprio appartamento milanese. L’artista non si è però risparmiato e nella mattinata di domenica 25 ottobre ha esposto al pubblico la sua installazione che dimostra come Lauro De Marinis non smetta mai di evolversi artisticamente e di lanciare messaggi importanti attraverso la propria arte.
Love is Love è una performance potente, icastica, e nello stesso tempo delicata e poetica. Parla di discriminazione, di pregiudizio, denuncia come l’amore omosessuale sia ancora considerato un fenomeno da baraccone. Le due amanti sono chiuse in una gabbia da circo: due freak da esporre al pubblico ludibrio, allo scherno di gente che si arroga il diritto di giudicare l’amore, come se l’amore potesse essere giudicato o imbrigliato o regolamentato. Come se l’unica regola dell’amore non fosse quella di non avere nessuna regola. Lauro è un artista di estrema sensibilità, dotato di una genialità visionaria, e checché ne dicano i suoi detrattori è il personaggio che mancava nel panorama artistico italiano, quello che può dare uno scossone a questa Italietta sonnacchiosa, anestetizzata, ottusa, spaventosamente arretrata e ancora ridicolmente arroccata su anacronistiche convinzioni fallocentriche e machiste.
Durante l’intervista con Vladimir Luxuria il cantante ha ribadito l’intento di portare avanti le proprie idee e di manifestare la propria identità incurante del giudizio degli altri. Ha sottolineato inoltre come anche la performance presentata a Torino «non sia solamente legata all’orientamento di genere, ma a una libertà generale di scelta, di decidere chi essere». Dunque, secondo il cantante, Love is Love «non è circoscritto all’orientamento sessuale ma è la rappresentazione della libertà di essere in tutte le sue forme», essendo assurdo che l’amore e i sentimenti, in questo periodo storico, siano ancora oggetto di giudizio da parte degli altri. L’invito è quello di scrollarsi di dosso i «pericolosissimi pregiudizi che purtroppo ancora affliggono la nostra cultura» e lottare per raggiungere «una coscienza comune in cui non esista più l’imposizione culturale del maschio macho».
D’altra parte la libertà di esprimere senza inibizioni il proprio orientamento sessuale sarà un diritto veramente acquisito solo quando nessuno farà più caso ad esso o sentirà il bisogno di spezzare una lancia a favore di un esponente della comunità LGBTQI. Fino a quando l’identità di genere non sarà considerata come il colore degli occhi – possiamo dire, parafrasando Che Guevara e Bob Marley – la lotta contro le discriminazioni non potrà dirsi veramente conclusa.
È un tema sul quale si è soffermato recentemente anche l’attore e regista Harry Macqueen presentando il suo film, Supernova, interpretato da Stanley Tucci e Colin Firth, all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, conclusasi in contemporanea con la kermesse torinese. Rispondendo a una domanda sulla scelta di inserire nel film una coppia omosessuale, il regista ha affermato: «Sin dall’inizio mi è sembrato che l’orientamento sessuale dei personaggi non avesse tutta questa importanza, e tuttavia avevo voglia di raccontare una storia più originale. Parlare di una coppia gay mi è sembrato un modo di guardare al futuro. Fare cinema è un atto politico, e in questo caso lo è maggiormente perché ho presentato al pubblico un mondo che è quello in cui vorremmo vivere, un mondo in cui le persone non vengono giudicate per il loro orientamento sessuale».
Quanto ad Achille Lauro, nella sua ancor giovane carriera ha dimostrato di saper essere teatrale, istrionico, provocatorio, dannatamente sexy e sfacciatamente queer. C’è chi lo ha paragonato a Renato Zero e a David Bowie, chi ha chiamato in causa Madonna e Lady Gaga. In Lauro c’è indubbiamente tutto questo, ma anche molto altro. Tuttavia la cosa che maggiormente dovrebbe far riflettere è che se davvero Achille Lauro ricorda i suddetti artisti significa che le sue performance abbracciano, in quanto a background musicale e culturale, un arco cronologico che va dalla fine degli anni Sessanta ai primi Duemila. Conseguentemente molti di coloro che lo attaccano e criticano ferocemente le sue apparizioni in pubblico hanno un’età in base alla quale dovrebbero già essere edotti agli eccessi e alle provocazioni del glam rock alla Bowie o del pop targato Madonna, dovrebbero cioè da tempo aver metabolizzato quel linguaggio scenico e assimilato il messaggio di libertà, anticonformismo e non omologazione che esso veicola. E invece costoro sono rimasti sorprendentemente scandalizzati dalle esibizioni sanremesi del cantante, reagendo via social con post e commenti nei quali lo facevano oggetto di derisione e rigetto, pur nella incapacità di argomentare il loro rifiuto in forme che andassero oltre il mero e fin troppo facile insulto.
Achille Lauro è dunque un personaggio sicuramente più affine a taluni artisti d’oltreoceano che ai canoni e ai cantanti di casa nostra e questo fa di lui la cartina di tornasole in grado di misurare il livello dell’arretratezza italiana, perché se c’è un posto in cui un artista come Lauro possa ancora suscitare scandalo, essere incompreso e diventare bersaglio di scherno e violenti attacchi verbali è proprio il Bel Paese.
A Lauro va dunque il merito di aver squarciato il cielo di carta delle nostre certezze progressiste, di aver fatto emergere tutta la grettezza, l’angustia mentale e la meschinità che ancora si nascondono tra le pieghe di un Paese apparentemente evoluto e moderno. Le sue innocue e candide – se paragonate alle battaglie per l’emancipazione, condotte anche a suon di musica e di performance artistiche, degli anni Sessanta e Settanta – esibizioni sanremesi hanno finalmente riacceso dubbi, questioni, interrogativi troppo a lungo sopiti. Lo show deliberatamente barocco, eccessivo, sensazionale, in una parola camp che Lauro De Marinis ha inscenato sul palco dell’Ariston ha messo in crisi e sfaldato i nostri meccanismi “teatrali” e le nostre convenzioni. La genialità di Lauro è stata proprio quella di usare la plateale finzione del teatro per mettere a nudo le nostre finzioni, le nostre ipocrisie, il nostro moralismo a buon mercato, le nostre costruzioni mentali. È bastato poco a mettere in crisi tali costruzioni. È bastato un ragazzo in tutina glitterata o in calzamaglia, gonna e parrucca, con gli occhi bistrati e la bocca accesa di rossetto. Un ragazzo (per di più etero) che bacia il suo chitarrista (anch’egli etero, con tanto di compagna e di figlia) sul palcoscenico più istituzionale d’Italia e che, con questo gesto semplice e allo stesso tempo dirompente, svela tutta la menzogna delle nostre coscienze addormentate.
Non solo, dunque, la grettezza degli omofobi, ma anche le comode e rassicuranti bugie di coloro che si vantano a vario titolo di essere l’intellighenzia progressista di questo Paese, di noi intellettuali e pseudointellettuali dalle ampie vedute, abituati a crogiolarci nella consueta certezza di abitare in quella parte del mondo in cui certi diritti sono ormai acquisiti una volta per tutte. Mentre il nostro Parlamento ancora arranca e procede a rilento nell’approvare una legge contro l’omotransfobia. E mentre le associazioni e i numerosi osservatori che monitorano la situazione nei vari Paesi del mondo e diffondono gli studi di settore dipingono un quadro non idilliaco anche per quel che riguarda l’Italia e alcune aree d’Europa.
La strada per sradicare i pregiudizi e garantire piena tutela civile alle persone LGBTQI è ancora, purtroppo, molto lunga. Basti pensare che fino a soli trent’anni fa l’Organizzazione mondiale della sanità annoverava l’omosessualità fra le malattie mentali, e la medicina imponeva cure coatte a donne e uomini in salute, andando ad alimentare da un lato le sofferenze psicologiche di tali persone e dall’altro lo stigma sociale di cui erano vittime. La situazione attuale dell’Europa risulta stagnante, in circa la metà dei Paesi dell’area non si sono evidenziati cambiamenti positivi nell’arco dell’ultimo anno, mentre per il secondo anno consecutivo si registra un dato inquietante, quello cioè di alcuni Paesi che stanno procedendo allo smantellamento delle tutele esistenti. Nei sei ambiti sottoposti a indagine (uguaglianza e non discriminazione, riconoscimenti legali, famiglia, libertà di aggregazione, incitamento all’odio e diritto d’asilo) l’Italia non va oltre il 23%, un punteggio che la assimila a quello dei Paesi maggiormente autoritari e discriminatori (basti pensare che l’Ungheria di Orban si assesta sul 33%). Soltanto il 68% della popolazione italiana si pronuncia a favore di pari diritti per le persone LGBTQI, un dato al di sotto della media europea. Se poi si prende in considerazione il riconoscimento legale dell’identità di genere per le persone transessuali la percentuale scende al 43%, e cala fino al 37% qualora si trattasse di indicare un “terzo genere” sul documento di identità.
Né può ritenersi immune dalle discriminazioni il mondo dello sport: secondo un sondaggio realizzato da Outsport il livello di omofobia e transfobia in Italia è superiore alla media europea. Allarmante è anche il dato relativo alle aggressioni, diffuso dall’Arcigay – in media una ogni tre giorni – con un picco nell’Italia settentrionale. A questa situazione, già di per sé grave, si aggiungono i problemi connessi al Covid 19: secondo alcuni esponenti delle principali religioni monoteiste la pandemia in corso sarebbe una punizione divina contro l’omosessualità, inoltre in Italia l’emergenza sanitaria ha prodotto un’impennata delle violenze in famiglia, che cresce fino al 40% in caso di persone adolescenti. Di queste meno di 1 su 60 sarebbe disposta a sporgere denuncia.
È in questo contesto che le performance sanremesi di Achille Lauro, la sua installazione Love is Love, i suoi look gender fluid, acquistano il valore di un gesto impegnato, di una dichiarazione d’intenti politica nel senso più bello ed etico della parola. D’altra parte è lo stesso Lauro ad affermare durante l’intervista con Vladimir Luxuria: «quello che abbiamo fatto in questi anni con la musica non basta più», rivelando l’intenzione di alzare l’asticella e di fare in modo che il messaggio divenga più pervasivo e sia veicolato attraverso molteplici linguaggi artistici affinché possa arrivare veramente a tutti.