Da “De la lang(ue)”
di Antonio Belfiore
Jadis, si je me souviens bien
j’ai répété aussi: il corpo
c’est une parfaite machine!
Ma questa sporca poltiglia
(chiamala soul o identité)
non è altro che se stessa.
E tu non mostrarmi più
le solite espressioni
gli sguardi e i brutti tic
del tuo hic, del loro nunc:
il tuo volto is worth
much more, davvero
molto più che solo questo.
*
Quanto vorrei compiacermi anch’io
di un dramma banale che sento
e voglio esprimere, perché sono profondo.
Commuoversi come le formiche senza
sfumatura di suono, gesto che colga:
è soggettivo, si sa, si è sempre detto.
*
È vero: sono stato a tutte le feste
sì, le ho poi viste anche finire:
ho visto il declinare improvviso
del buio, il freddo pungente delle prime
albe insonni con la bocca impastata
che già subito non sa che farsene
di tutta questa attesa libertà.
*
Arrivati all’età diciannove
scoperti mediocri e nella storia
triturati insieme al resto,
si è andati a occhi chiusi
in palestra, a Valencia, in gegneria
per parlare, confrontarsi, meditare:
i pomeriggi passano comunque.
*
Non ce ne accorgeremo nemmeno
che sia un prato oppure le scale
di un condominio o la sabbia,
il fondo di un bar, sai non importa.
Sembreremo intenti nei discorsi belli
spregiando le brutture, d’amaro sorridenti,
lo sai: non ce ne accorgeremo nemmeno.
*
Dappertutto suoni immagini
e suoni dappertutto:
in questo si riassume
la polvere vita.
Nelle epoche tutte eguali
nell’infinite incomprensioni
i significati che vengono
mai vanno, e noi nemmeno.
*
Il 1700 non credere mai
ad esempio di averlo vissuto,
compreso: non m’importa se hai
letto Algarotti, l’histoire de ma vie
d’Alfieri in giù, ma nemmeno Furet.
Forse non crederesti – come altri –
che nessuno là v’abbia chiuso gl’occhi
o sospirato; ma poi comunque
ti manca il tempo, che mai stato,
è rimastoci a pezzi, triturato
dall’historia: tempo che mai
abbiamo né avremo: non hai
sentito Jommelli, e un finxit
del Canaletto non ci può bastare.
*
Del corpo il dolore spegne tutti
i significati: urla, un gesto
non pensano altro che un sollievo
o poco più: la carne chiede questo.
La sofferenza di cui parli spegne
invece significanti: non parlano
sapori di cose o d’uomini,
ma tutto è ricondotto sempre
a un pensiero fisso e oscuro
di cui non si può liberarsi.
Libero dai vincoli, dai lacci
della materia pensante, è un anelito
a un altrove senza forma,
pur sapendo non poter privarsi
mai della smorfia del dolor pensante
ch’è in realtà parte insignificante
di una complessità impensabile.
*
Mi chiedo spesso come soffri:
se aua alla tedesca o ahia
all’italiana: forse non sapra(h)i
che mi dire, che pensare de la
lang(ue) che ci crea e distrugge
simili al nulla de Lavoisier.