Cosa sta succedendo nel Caucaso: Azeri, Armeni, ma anche altri
di Franz Di Maggio
(Volentieri pubblico questa mia intervista – condotta in collaborazione con Kika Bohr – a Franz Di Maggio 1 a proposito del recente conflitto nella regione caucasica. a.s.).
Di una guerra parliamo. Ma “Non esistono guerre giuste” proclama perfino Papa Francesco nella sua ultima enciclica “Tutti Fratelli”. Vogliamo in questo caso dargli torto?
«Certo che no. A maggior ragione, se ce ne fosse bisogno, se si analizza con onestà intellettuale l’assurda contesa della regione del Nagorno Karabakh, nel Caucaso, detta Artsakh degli autoctoni di etnia armena. Leggiamo in questi giorni fantascientifiche ricostruzioni copiate e incollate da comunicati ufficiali del regime azero, regime che, notoriamente, attua un controllo capillare sulla totalità dell’informazione e dei media azeri. Come riportato da prestigiosi e indipendenti indici internazionali, il regime azero è tra i più liberticidi e autoritari al mondo e il presidente azero Ilham Aliyev, dopo aver ereditato il potere dal padre, è giunto al terzo mandato presidenziale consecutivo con l’85% dei voti.»
Ma cosa ha portato al conflitto armato?
«In realtà si tratta dello strascico di una mai risolta contesa, culminata all’inizio degli anni ‘90 del ventesimo secolo nella lotta per l’autodeterminazione del popolo karabaghzi dalla dominazione azera
Questa contesa alla base del conflitto è stata, durante tutta la dominazione sovietica, il negato esercizio del diritto all’autodeterminazione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh dall’Azerbaijan, a quei tempi Repubblica Socialista Sovietica. Si trattava, allora come oggi, di ribellione a un sopruso che nel 1921, su iniziativa di Iosif Stalin, all’epoca Commissario per le Nazionalità, annetteva la regione, storicamente armena (lo testimonia Erodoto, Storie, libro VII, cap. 73, nel V secolo a.C.) e a maggioranza armena, come enclave dell’Azerbaijan con tutte le conseguenti discriminazioni di Baku nei confronti degli armeni nel Nagorno-Karabakh. Alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, incoraggiati dalla relativa libertà di espressione introdotta da glasnost e perestrojka in Unione Sovietica, gli armeni del Nagorno-Karabakh ribadirono il loro diritto all’autodeterminazione (si veda la Carta delle Nazioni Unite) con un referendum per l’indipendenza svoltosi regolarmente il 10 dicembre del 1991, secondo le modalità sancite dalle leggi vigenti e dalla costituzione dell’Urss. Al referendum seguì una vera e propria invasione militare da parte dell’Azerbaijan contro il Nagorno-Karabakh. Per più di un anno la popolazione civile di Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, fu sotto il fuoco diretto di missili Grad e sottoposta a bombardamenti con bombe a grappolo dall’aviazione azera. Il ruolo dell’Armenia nella fase armata del conflitto, in mancanza di forze internazionali di interposizione, era quello di protezione dei civili nonché di assistenza umanitaria, economica e diplomatica; invece, nelle operazioni militari erano coinvolte le forze armene di autodifesa del Nagorno-Karabakh. Il 5 maggio del 1994 fu firmato l’accordo di Bishkek, da tre parti: l’Armenia, l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno Karabakh.
Il regime Aliyev ha poi confezionato una «verità» armenofoba e finora i dissidenti azeri che hanno contestato tale «verità» sono stati arrestati o uccisi. Tutto questo, in aggiunta all’uso dei civili come scudo, rende le responsabilità criminali azere ancora più evidenti.»
Perché si è arrivati alla ripresa degli scontri armati?
«L’Azerbaijan si è più volte rifiutato di negoziare direttamente con il governo democraticamente eletto del Nagorno-Karabakh e ha rimandato al mittente le proposte OSCE sul ritiro dei cecchini dalla linea di contatto e sulla messa a punto di un meccanismo congiunto per indagini sulle violazioni del regime di tregua. L’Armenia invece era determinata ad arrivare a una soluzione negoziata del conflitto, soluzione che escludeva alla base l’utilizzo dello strumento militare per la composizione finale. Posizione questa condivisa dalla comunità internazionale e richiesta alle parti in conflitto.
Stiamo parlando – voglio ricordarlo – del confronto tra un regime dittatoriale che si perpetua (la famiglia Aliyev) da una parte, e dall’altra il diritto di autodeterminazione di un popolo che ha meritato la propria indipendenza non con le armi, ma attraverso processi politici pluralistici e istituzioni democratiche. Questa è la migliore prova di esistenza dello Stato che è la Repubblica del Nagorno-Karabakh e la risposta a coloro che lo giudicano uno “Stato che non c’è”.»
La distruzione di questo “Stato” sarebbe in linea con la visione nazionalista e autoritaria portata avanti dall’attuale regime turco?
«Certamente. La realizzazione di quel grande stato “panturchico” dal Caspio al Mediterraneo, sulla strada del quale si trova, lo scomodo, innocente e già sottoposto a genocidio popolo armeno. Come nel 1915 ci chiediamo se la comunità internazionale possa restare cieca e sorda a quanto accade in Artsakh e anche se gli attori di questo conflitto, non voluto dagli armeni e tantomeno dal popolo karabaghzi, debbano rimanere quelli regionali con l’entrata in campo delle due forze che nel medio Oriente e nel nord Africa decidono ogni conflitto: Turchia da una parte e Russia dall’altra.»
La Russia sembra voler giocare di anticipo. I ministri degli esteri azeri e armeni sono stati convocati a Mosca. Cosa si vuole ottenere?
«Sono comprensibili le preoccupazioni russe. Da una parte ci sono le basi militari russe in Armenia. Dall’altra il petrolio azero. E i turchi che continuano il loro progetto espansionistico verso oriente. Ma non dimentichiamoci gli altri attori del territorio. Se Israele ha fornito irresponsabilmente armi agli azeri, diventa complice di questa nuova ferita. Assurdo che un governo nato da un genocidio come quello ebraico, appoggi i fautori di un nuovo genocidio. Israele deve chiarire immediatamente la sua posizione e interrompere i flussi di armi verso l’Azerbaijan. Anche il governo italiano deve smarcarsi. Di Maio deve sapere che quando stringe la mano del ministro degli esteri turco, stringe una mano sporca di sangue. Il governo turco sta usando contro i suoi stessi cittadini di etnia curda e yezidi i jihadisti mercenari. E ora li sta indirizzando contro gli armeni, ma in un territorio non turco, ma “amico”. Anche l’Iran dopo aver rispettato per oltre un millennio accordi tra gli antichi dominatori persiani e i principi armeni delle montagne del Artsakh deve chiarire la sua posizione. Ovvio che il petrolio azero e la posizione geo-politica della Turchia spostano interessi pesanti. Infine attenzione alla Cina, che guarda a queste tensioni con interesse, dato che il progetto panturchico dovrà prima o poi confrontarsi con le mire cinesi nei territori sulla via della seta come Uzbekistan e Kirghisistan. Insomma, un panorama molto preoccupante, col rischio di una balcanizzazione del conflitto evidente.»
- Franz Di Maggio – coordinatore politico de “la Scuola di Atene”, centro di formazione politico ispirato alle tesi di Massimo Cacciari – si occupa da una decade della prevenzione dei genocidi attraverso un’attività di teatro di impegno sociale. L’associazione di cui è presidente è stata scelta come “ambasciatrice italiana” dal governo armeno nel 2015 in occasione delle celebrazioni del centenario del genocidio perpetrato dal governo dei “giovani turchi” (e mai riconosciuto) nei confronti dell’etnia armena presente nel territorio ottomano↩
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Possibile che non ci sia solo condanna del governo azero e turco ? Gli Armeni sembano solo vittime. In questo modo si rischia di identificarci con le vittime spostando fuori inostri aspetti aggressivi. Sicuramente la responsabilità di eventi ellici non è sempre equamente divisa ma è altrettanto improbabile che ci sia un unico responsabile.