Il mistero del violinista Raffaele Nobile
di Kika Bohr
Sto cercando di scrivere qualcosa su un simpatico personaggio pieno di vita che incontravo ogni tanto per le vie e nelle inaugurazioni di mostre a Milano, era sempre accompagnato dal suo violino e ogni tanto da una ragazza che si mascherava da gatto. Era lui il “Gatto Teofilo” che risultava dal suo indirizzo di posta elettronica o era la sua ragazza, il “gatto”? e “Teofilo”?
Un giorno, in uno di questi incontri casuali mi aveva raccontato che aveva dato lezioni di violino a mia sorella alla scuola popolare di musica di via Santa Marta. Lei non ricorda di averlo avuto come maestro, comunque aveva suonato per un po’ il violino e aveva frequentato via Santa Marta… Realtà e fantasia si incrociavano nei suoi racconti come per i migliori cantastorie e lo si ascoltava sempre con gran piacere, come una vecchia conoscenza che si è sicuri di ritrovare improvvisamente girando l’angolo, con la felicità di sentirsi improvvisamente portati fuori dai crucci quotidiani. Perché da tutta la sua persona rubiconda, barba e capelli lunghi, corporatura tondeggiante, emanava una grande allegria e c’era ogni volta una felicità dell’incontro, rari al giorno d’oggi. Un giorno mi ha parlato del suo orto, Raffaele viveva fuori Milano, ma non in periferia, in campagna, forse. (Ultimamente ho saputo che era di Voghera, quindi a una sessantina di chilometri da Milano). Lo immaginavo allora mentre suonava “donna lombarda” (v. ad esempio qui) uno dei suoi pezzi forti, magari all’ombra di una pergola o danzando tra le insalate e i cavoli cappucci: qualcosa di panico si sprigionava dalla sua persona. La vita quotidiana per lui si mischiava spontaneamente alla cultura. Lo trovavo spesso alla Galleria Ostrakon di via Pastrengo a Milano. Lì, c’erano letture di poesia, mostre, presentazioni di libri in un piccolo spazio che offriva sempre novità interessanti. A volte Dorino Iemmi lo invitava a suonare, altre volte Raffaele passava semplicemente a bere un bicchierino e a fare quattro chiacchiere. Stupiva la sua capacità di mischiare cultura “alta” e popolare senza apparenti inibizioni. Ora ho scoperto che già nell’ ‘81 aveva scritto “L’albero del canto” e recentemente aveva pubblicato “Il testamento dell’avvelenato” un’altra piccola raccolta di canti popolari delle “quattro province” – un territorio dell’Appennino tra le province di Genova, Pavia, Alessandria e Piacenza. In realtà di queste misteriose “quattro province” parlava spesso nelle sue – a volte brevi altre lunghissime e piene di aneddoti – introduzioni che lui faceva prima di imbracciare il suo strumento.
Quando suonava però, nell’estasi musicale e nella danza – perché lui sembrava ballare mentre suonava – nella sua verve e con quel suono del violino allo stesso tempo sapiente e popolare, mi ricordava i violinisti di Chagall che ti portano come niente fosse sopra un tetto o in giro per il firmamento.
La sua “musica dei folletti” come la definiva a volte, (e come aveva scritto nell’astuccio dello strumento quando vendeva i suoi cd autoprodotti), non era una cosa da Walt Disney.
Ero sicura di avere qualche video o immagine di lui e ho cercato nei miei confusi archivi di tutti gli ultimi anni. Mi sono accorta che non ne avevo neanche una. Come è possibile? Forse perché quando c’era la sua presenza non si pensava a niente, ci si lasciava trascinare e incantare dal suono del suo violino, della sua voce e dai suoi lazzi, troppo felici di ridiventare bambini.
È scomparso improvvisamente un anno fa e mi sono resa conto di quanto poco si sa delle vite degli altri, anche di persone che ci sono sembrate così vicine….
Su Youtube si trovano parecchi video su di lui: ad esempio qui
Grazie Kika per questo momento di poesia. Cioé di libertá. Cioé…..E i perché o i per come aleggiano nemmeno accennati. E la poesia (della vita, dei cantastorie, dei menestrelli….) si fa piú intensa. Grazie