Invisibilità e autorialità a proposito di Elena Ferrante

di Viviana Scarinci

 
Il 29 agosto scorso in occasione dell’uscita de La vita bugiarda degli adulti in trentacinque Paesi, Elena Ferrante su Robinson rilascia una delle più lunghe e singolari interviste di sempre. Ferrante risponde alle domande provenienti da alcuni Paesi coinvolti dall’uscita del libro. Dal Brasile alla Danimarca, da Shangai al Portogallo passando per Formia, traduttori, editor e librai hanno posto all’autrice domande che entrano nello specifico non solo della sua opera ma anche di alcuni aspetti inerenti all’autorialità come fondamentale presupposto del suo profilo pubblico.

Una delle risposte riguarda per così dire la cassetta degli attrezzi di chi scrive e il tipo di lavoro di cesello che l’autrice o l’autore compie sul testo. È il linguaggio, cioè qualcosa che va oltre la sintassi, connettendosi imprevedibilmente al tema trattato, ciò che definisce la resa effettiva di un testo letterario. Perché riguarda l’esclusività della relazione tra chi scrive e chi legge (e spesso anche chi traduce e edita) ma anche l’alterità di un contenuto e l’imponderabile originalità che questo può esprimere rispetto ai parametri letterari in vigore.
“L’editing più pericoloso” scrive Ferrante in proposito: “è quello che vigila sul rispetto del canone vigente”. A ben guardare non è un’affermazione di poco conto se posta in relazione alla filiera editoriale che può condurre in libreria certi libri e altri no. O stravolgere l’alterità e l’originalità dei contenuti di libri diciamo “fuori formato” se vengono valutati da un punto di vista che si riferisce strettamente a un canone letterario in vigore in un Paese piuttosto che in un altro. Oppure non visti affatto quando l’ottica con la quale è valutato un testo si lega a prese di posizione culturali inattuali, marcatamente connotate o semplicemente disinformate.
Domani 3 ottobre nell’ambito della manifestazione FEMINISM 3 fiera dell’editoria delle donne presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma la Società Italiana delle Letterate dedica il suo incontro nazionale del 2020 a una domanda che affonda il dito nella piaga: “Invisibili?”. Il punto di partenza è il significato simbolico dell’invisibilità di Elena Ferrante legato agli aspetti precipui dell’autorialità femminile. E soprattutto le condizioni di minore visibilità, o non visibilità, di questi aspetti messi a confronto con la visibilità globale che ha raggiunto l’opera di Elena Ferrante essendone espressione.
L’incontro continua sotto l’egida dello stesso interrogativo in merito alla visibilità: la Società Italiana delle Letterate punta da sempre l’attenzione sul canone letterario e la necessità, oltre che il significato sociale, di un’analisi critica puntuale e dedicata, posta in essere con strumenti finalmente adeguati all’emersione e all’assimilazione culturale dell’opera, più o meno, ignorata dalla critica ufficiale delle moltissime autrici (romanziere, poete, saggiste e traduttrici) del Novecento, escluse dal canone, e di quelle contemporanee non adeguatamente, o per nulla, affrontate da un punto di vista veramente libero da pregiudizi di genere.
L’incontro si concluderà tematicamente convergendo sul tema della necessità della parità di genere a scuola a partire da una manualistica formativa e didattica finalmente avvertita non solo dei risultati di un lungo percorso di studi e una vasta rosa di pubblicazioni dedicate in Italia alla scrittura delle donne ma anche dei risultati degli studi accademici relativi alle politiche di genere inquadrati in un contesto nazionale e internazionale.
Secondo quanto pubblicato dal sito di Rivista Studio l’8 settembre scorso ossia a una settimana dall’uscita dell’ultimo libro di Ferrante all’estero: “A giudicare dall’entusiasmo incontenibile degli articoli usciti negli ultimi giorni, sembra che il nuovo libro di Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, abbia ricevuto un’accoglienza molto più calorosa negli Usa e in Uk che in Italia, dove è sì immediatamente balzato al numero uno (finora ha venduto circa 250.000 copie, è stato in classifica per trentadue settimane) ma non ha ricevuto una tale quantità di accurate analisi critiche. Se le recensioni italiane tendono a riflettere sul fenomeno Ferrante in generale (non siamo abituati a un caso editoriale di questa portata: continua a stupirci), quelle inglesi e americane si concentrano maggiormente sul libro in sé e sul materiale puro della scrittura”.
La questione della ricezione dell’opera di Elena Ferrante presso i suoi connazionali mette in luce alcuni problemi rispetto alla gerarchia di valori applicata da alcuni recensori all’analisi dei libri scritti da donne e nella loro valutazione giornalistica oltre che critica. L’evidenza di questa questione non è affatto materia nuova di cimento accademico, oltre che di curiosità, per chi guarda al panorama letterario italiano dal di fuori.
Un recente esempio ci viene fornito dal saggio di Cecilia Schwartz docente dell’Università di Stoccolma che sul numero 40 della rivista online The italianist pubblicata il 5 maggio del 2020 dedica un intero studio alla ricezione dell’opera di Elena Ferrante, nell’esclusivo ambito della stampa italiana prima e dopo la consacrazione internazionale dell’opera dell’autrice.
Nell’abstract Schwartz dichiara: “Lo scopo dello studio è duplice: innanzitutto prende in esame come le opere di Ferrante siano state valutate nella stampa italiana e, dall’altra, si propone di indagare se la ricezione italiana sia stata influenzata dalla fortuna internazionale, soprattutto quella statunitense”.
Oltre alle recensioni sulla versione cartacea e digitale dei principali quotidiani e inserti culturali, l’autrice del saggio prende in esame gli interventi su Elena Ferrante pubblicati dai principali blog di letteratura tra cui Critica letteraria, Doppiozero e Nazione Indiana in un periodo compreso tra il 2011 e il 2014 ossia il lasso di tempo interessato dalla pubblicazione della tetralogia de L’amica geniale in Italia ma anche dal 2012 in poi dalla pubblicazione con la traduzione di Ann Goldstein della stessa negli USA. “L’analisi rivela” continua Schwartz “che la ricezione delle prime due parti della tetralogia di Ferrante ha somiglianze con gli schemi paternalistici rilevati da Williams, mentre le recensioni pubblicate dopo il successo internazionale sono più elogiative. Questi risultati dell’analisi sono anche discussi in rapporto ai processi di consacrazione e canonizzazione letteraria mettendo in risalto il discorso su Ferrante in alcuni volumi recenti sulla letteratura italiana contemporanea”.
Per inciso: a proposito di autorialità e punto di vista femminile, su Nazione Indiana ricordiamo tra gli altri l’importante intervento di Tiziana de Rogatis dell’ottobre del 2016 (ndr: presente insieme a Viviana Scarinci e Isabella Pinto all’incontro su Elena Ferrante del 3 ottobre organizzato da SIL, Leggendaria e Letterate Magazine).
Tra gli altri elementi di estremo interesse che il saggio di Schwartz mette in luce, non ci sono solo quelli relativi alla deficitaria comprensione dell’importanza dell’opera di Ferrante in Italia, in quanto Schwartz illustra anche gli orientamenti di quella critica letteraria italiana che si è dimostrata fin dal principio, pubblicando articoli non accademici diffusi attraverso quotidiani e blog, bene attrezzata per la lettura di un’opera indubbiamente così complessa come quella dell’autrice di cui stiamo parlando. Complessità riferita anche al modo in cui le donne ritratte nell’opera di Ferrante si inseriscono nella storia della società del loro Paese a partire dal secondo dopoguerra. E ancora di più alla genealogia del romanzo italiano scritto da donne, campo che di fatto è illustrato da un discreto numero di studi e pubblicazioni italiane la cui visibilità o invisibilità, spesso dipende dallo stesso motivo della mancata o falsata ricezione dell’opera letteraria di Elena Ferrante presso i media italiani.
Nell’arco di venticinque anni infatti la Società Italiana delle Letterate ha elaborato e prodotto, attraverso convegni, seminari, focus delle riviste un ricco bagaglio di studi e pubblicazioni che sono state fondamentali per l’elaborazione di quella genealogia delle produzioni artistiche femminili a cui la stessa Elena Ferrante fa riferimento ne L’invenzione occasionale quando scrive nel capitolo “Libertà creativa”: “la posta in gioco non è più essere cooptate all’interno della lunga, autorevole tradizione estetica creativa degli uomini. La posta in gioco è più alta: contribuire a rafforzare una nostra genealogia artistica” (p.82). Un esempio tangibile di questo contributo dato dalla Società Italiana delle Letterate nel tempo: la collana Workshop di Iacobelli in cui testi come Oltrecanone, Dell’ambivalenza, L’invenzione delle Personagge sono risultati fondamentali per lo studio di molte e molti che in Italia hanno approcciato l’opera di Elena Ferrante prima della sua consacrazione internazionale.
Magra consolazione ma va detto: non è un problema che riguarda solo l’Italia quello dell’inadeguata e lacunosa “misurazione” di valore offerta dal canone letterario ufficiale, sulla falsa riga del quale muove la formazione di alcuni esponenti della stampa di un Paese. Ciò che a volte viene scritto, o ignorato, sulle pagine culturali dei quotidiani e su alcuni blog letterari, quando si riferisce a scritture “fuori formato”, come quelle che sono espressione dell’autorialità femminile, le relega ancora di più all’invisibilità.
In un passaggio del ricco saggio di Schwartz leggiamo: “L’ispirazione metodologica per questa indagine è principalmente tratta dallo studio diacronico di Anna Williams sulla descrizione e la valutazione delle scrittrici nei libri di storia della letteratura svedese pubblicati nel ventesimo secolo. Sebbene lo studio di Williams copra quasi un intero secolo, mostra che l’approccio alle scrittrici nei libri di storia della letteratura è sorprendentemente statico per tutto questo periodo: tendono ad essere associate a generi di basso rango, non sono paragonate ad altri scrittori e, cosa cruciale, non sono collocate in una tradizione letteraria. In quasi tutte le storie della letteratura svedese, le poche scrittrici che effettivamente compaiono sono “stelle senza costellazioni”, una metafora usata nel titolo svedese dello studio di Williams”. Cosa aggiungere. Mal comune mezzo gaudio?

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