Neve in agosto
(Avendo io frequentato, e continuando a frequentare, la “scrittura alimentare” non posso che essere felice di questa raccolta di “articoli alimentari”: primo volume di una serie, spero esaustiva, che raccoglie gli articoli che Tommaso Labranca scriveva da freelance per riviste e quotidiani. Il curatore mi ha regalato la sua introduzione che qui volentieri pubblico, ringraziandolo. Il libro è ordinabile in libreria oppure acquistabile online su questo sito. G.B.)
di Luca Rossi
Quella che segue è una raccolta abbastanza completa di articoli scritti da Tommaso Labranca ed è stata fatta con l’intento di strappare un’altra piccola parte del suo lavoro dall’oblio.
Non so se sarà mai possibile rileggere in una nuova edizione i libri che T-La (scritto come J-Lo) ha pubblicato prima di ventizeronovanta.
Quindi il volume che state sfogliando, a fronte di lacune delle quali mi assumo ogni colpa, avendo curato ogni aspetto, è un’operazione di salvataggio del suo pensiero, quello che nell’anime Ghost in The Shell, uscito lo stesso anno di Andy Warhol era un coatto veniva chiamato “salvataggio cerebrale”: salvare i dati di un cervello umano su una memoria esterna. Oggi larga parte quello che rimane del cervello di Tommaso Labranca è fatto di pochi megabyte dispersi in rete. Opere che ha reso pubbliche, file e siti internet periodicamente cancellati. Quello che rimane riposa nelle pance di quei cetacei editoriali che sono i quotidiani e i loro archivi digitali.
Non si dovrebbe dire nelle prefazioni – ma, da sempre uno dei cardini di questa microimpresa editoriale è la sincerità (con tutte le conseguenze del caso) – questa collezione (e collazione) di articoli non è l’opera perfetta e non è l’opera definitiva su Tommaso Labranca. È quello che si è potuto strappare alla morte (e alla legge sul diritto d’autore) di un autore così originale da non essere mai banale anche in quegli articoli che gli permettevano: «Di frequentare con una certa assiduità i negozi di alimentari.»
Aprile è il mese più crudele di tutti i mesi. Genera lillà dalla terra morta, mescola / memoria e desiderio, desta / radici sopite con pioggia di primavera.
Eliot nel primo frammento della Terra desolata sbaglia di quattro mesi, perché per chi vive di collaborazioni è agosto il mese più crudele: redazioni desertificate, caldo soffocante, il Mc Donald’s di Piazza Oberdan con l’aria condizionata rotta, il gusto del mese di Agosto di Grom che era il gusto del mese di un altro mese ripescato. Un sapore banale e una Milano spettrale battuta solo da cadaveri di rifugiati stesi al sole a parco Sempione o tossici meno che ventenni che si lavano nelle vedove in piazza Mistral.
Meglio stare a casa a sbobinare, cronicamente in ritardo sulla consegna, la biografia di Riccardo Fogli come se non ci fosse un domani (e così è stato).
Ecco perché l’agosto nel titolo, agosto è il vero aprile, la cui pioggia aggiunge noia al mese dello spleen labranchiano. Un mese che ti faceva sentire morto, che ti faceva sentire l’ultimo e che lui passava in sella alla sua bici argentata percorrendo il perimetro di Linate per poi arrivare a Rogoredo e cercare l’ombra o il Wi-Fi in un McDonald’s, in fuga da un temporale estivo che aggiunge solo umidità a una città tropicalizzata. In questo mese aveva scritto Le poesie dell’agosto oscuro, che io e pochi intimi conserviamo in edizione limitata, con copertina in velluto nero e stellina argentata, rilegata a mano. Questa era la personale Terra desolata, per chi aveva fatto voto di non avere ferie:
Quel cadavere che lo scorso anno piantasti in giardino / ha cominciato a germogliare? Fiorirà / quest’anno? O il gelo improvviso / ne ha danneggiato l’aiuola? Oh tieni il Cane lontano / che è amico dell’uomo, senno con le unghie / lo metterà allo scoperto! Tu hypocrite lecteur – mon ensemble, mon frere!
Il cadavere di Tommaso, quattro anni dopo ha iniziato a germogliare? E gli ipocriti lettori, gli amici, i colleghi che con una mano twittavano la perdita della più grande mente di una generazione, mentre con l’altra inviavano il coccodrillo in redazione, oggi dove sono? Claudio Giunta in Le alternative non esistono ha scritto che l’effetto Labranca ha portato in Italia una nuova figura d’intellettuale, più pop; che oggi è più facile parlare di pop con intelligenza. Come se la lezione di Labranca avesse aperto la strada a un nuovo modo di trattare il pop, lontano dalle cattedre e dagli scranni. Io penso però che il sacrificio sia stato troppo grande e troppo flebile è il colpo di coda dei nuovi salmoni del trash che hanno smesso di risalire la corrente e a 25 anni da Andy Warhol era un coatto (ma anche dopo Eco e Dorfles) applicano indistintamente le etichette di “trash”, “kitsch” e “camp”ai programmi della D’Urso, come alle televendite di poltrone motorizzate dell’highlander Mastrota, a Casa Surace e ai video di TikTok.
Questi versi di Eliot e gli ultimi messaggi di Tommaso hanno la stessa urgenza, il poeta statunitense usa l’enjambement, quello di Pantigliate la brevità sincopata per punirmi per essermi allontanato dalla vita agra per pochi giorni – proprio nel mezzo del mese terribile: «Cosa fai? Io Fogli.» «Faccio colazione, poi Fogli.» «Mi gira la testa, ora mi riposo, poi Fogli.» «Vado al discount in bici, poi Fogli.» «Non ce la faccio più, vado a letto. Domani mattina sveglia presto e… Fogli.» Ma tra una pagina e l’altra di quella biografia in realtà appena abbozzata, c’è stato quell’articolo per Libero che si era alzato prestissimo per scrivere e l’idea fulminante mandata in redazione «Quando ancora non sono arrivati così aprono la mail prima della riunione e la propongono». Articoli alimentari che come le biografie gli permettevano di andare al discount a comprare yogurt sottomarca, incollare la vignetta al parabrezza per andare a Coldrerio e riempire il baule della 500 di zuppe liofilizzate, per vestirsi con le t-shirt nere H&M Basic a manica lunga che acquistava in confezioni da cinque e metteva nell’armadio pieno di vestiti uguali come quello di Paperino e ancora di pagare la rata dell’iPad mini su cui guardare le costellazioni la sera prima di addormentarsi, confondendole con i lustrini delle giacche di Fogli.
C’è una fotografia che conservo gelosamente in un archivio protetto del mio cervello: Tommaso sta scrivendo un articolo che gli hanno commissionato un’ora fa. Lo vedo battere furiosamente i tasti del suo MacBook. Mentre scrive legge muovendo le labbra, pensando che non lo veda da dietro il milkshake. Invece lo guardo ridere per la frase che ha appena scritto. C’è un frammento di anima in ogni parola che Labranca ha scritto, per questo poi non ce n’era più per lui. Quei pochi grammi rimasti sono raccolti in Neve in agosto.
Non si tratta sempre di articoli scritti in punta di penna, ma che non scadono mai nel piatto cronachismo dei compilatori seriali di quotidiani. Questi articoli non sono meno importanti dei libri che Labranca ha scritto, perché è grazie a loro che quello che con colpevole ritardo, sarebbe stato definito «un intellettuale fuori dagli schemi» e «un pensatore libero e originale» ha strappato la sua libertà una sillaba alla volta.
Questo primo volume raccoglie articoli pubblicati tra il 2009 e il 2016 su Cronaca vera, Libero e Oggi. Si va dai Simpsons al grattacielo Pirelli, passando per la disco music, l’arte contemporanea, Orietta Berti, il glam rock e il panettone.
Ringrazio Giuseppe Biselli senza il quale non esisterebbe più ventizeronovanta e con lei questo libro. Grazie a Claudio Giunta che ha geolocalizzato Labranca sulla mappa della cultura italiana. Grazie al direttore Umberto Brindani e a Dea Verna di Oggi. Grazie a Stefano Cecchini e a tutta la redazione di Libero. Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questi volumi che cercano di strappare un altro lembo di Tommaso alla cenere.
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