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Chandra Livia Candiani, La domanda della sete

(Dal 22 settembre è nelle librerie il nuovo libro di Chandra Livia Candiani, “La domanda della sete” (Einaudi 2020). Pubblico qui una piccola antologia della raccolta con una nota di Giorgio Morale).

Le mani rotolano la terra
la farina l’acqua il sale
impastano, bevono
e distinguono, raccolgono,
addormentano, addomesticano
il dolore, accarezzano, come un gesto
che prende il posto del pensiero, i suoi
manovali. Le mani sono ricche e vuote
conoscono molte altre mani
e caldo e freddo e le voci le attraversano
e loro sanno buono quando è buono
e cattivo quando è cattivo.
Le mani perpendicolari al filo
si stendono sull’abisso e dicono:
stai quieto stai quieto,
come con un mare in burrasca.
Vecchie molto vecchie
le mani.
(pag.7)


*

La pelle è sempre in prima linea
come i cappotti le madri i villaggi,
è un confuso conoscitore di mondi
è serbatoio e cemento
trasale fa barriera
è distendibile e delicatamente resistente
sanguina respira. Nuca mani e piedi
spalle petto fianchi conoscono
il mondo senza l’assedio della narrazione
stormiscono e scompensano il pensiero.
La pelle è educazione sentimentale
ogni parola un branco che preme i pori
e ne fa porte sul cielo vuoto dell’interno,
dove soffia la memoria
l’aria del tempo.
Per primo viene il tatto
quando mettiamo una parola
al mondo. Invecchiando la pelle
diventa piú sottile
perché aumenta il desiderio
di mistero, diminuisce
la paura di attacco.
È nuda su questa terra,
si sbriciola nel passaggio.
In lei la vita umana si consuma
e poi si spegne o forse vola
fuori di lei, la lascia.
(pag.10)

*

La vita è vasta
ha bisogno di temperature elevate
e di capacità glaciali
di scompiglio del sangue
e di evaporazione,
di sgombero e sedimento.
La vita è grande
le dottrine avare
le menti mercenarie
non la riguardano,
nemmeno la punteggiatura
se non è musicale
la sfiora
perché ha andature immisurabili
e non consente punti fermi
né enunciazioni.
Ha movenze prodigiose
e tregue vulnerabili
nel fitto dell’inaspettato.
La vita ci sfoglia,
siamo appunti serali.
(pag. 36)

*

Stanare una ferita
guardare appena
leggere fino in fondo
avere confidenza
servirla
farla servitore
dello stesso fuoco.
Accostarsi al fuoco
grazie alle abitudini
della pianura,
sentire cose insopportabili.
Come i sapienti animali.
(pag. 42)

*

Tenere tra le braccia
la voce del mondo
ospitare i suoni ammucchiati
senza chiedere senso
cullare lingue e pelli
ossa di diverse misure
parole fredde e calde urli e bisbigli
una fioritura spinosa
e corrodere le frontiere
e fare uno strepito sorridente:
sí vieni, ben arrivato
nel mio sbando
c’è sempre posto per te.
(pag 107)

*

Imparo a guardare
a imprestare lo sguardo
a chi ha urgenza di tana
imparo a ospitare.
Custodisco con cura le parole
poi le silenzio per il suono
di un’altra lingua
per questo sentire nostro
acuto e pugnalante
che non attenua gli urti
lascia il male cosí com’è
e accoglie tutte le ferite
come cani randagi
con improvvisate ciotole d’acqua
e parole poche smarrite
maldestre. Mani grandi
sorrisi abitabili.
Vivere è ospitare.
(pag. 111)

*

Vivere è ospitare
nota di Giorgio Morale

“Vivere è ospitare”. L’assioma, presente nella sua nuova raccolta poetica, “La domanda della sete” (Einaudi 2020), definisce un’etica per il nostro tempo che Chandra Livia Candiani è venuta costruendo, raccolta dopo raccolta, almeno a partire da “Io con vestito leggero” del 2005. Come scrive Charles Taylor (“Le radici dell’io”), l’etica presuppone un quadro di riferimento e una conoscenza della nostra posizione in relazione a tale piano. È ciò che da sempre le persone cercano nella poesia: un aiuto a rintracciare nel mondo dei “quadri di riferimento”, quindi un aiuto a percepire un significato nel mondo e a concepire la vita come degna di essere vissuta. È un compito non facile oggi, quando l’entrata in crisi dei “quadri di riferimento” delle società premoderne ha creato un “vuoto terrificante”. Chandra Candiani però non ripropone gli assoluti. La condotta che emerge dalle sue poesie non nasce da un ritorno agli antichi ideali costruiti sulle astrazioni di un intelletto isolato. “La vita è grande / le dottrine avare”, scrive. Il mondo della vita trascende le definizioni perché “ha andature immisurabili / e non consente punti fermi / né enunciazioni”. L’etica proposta nasce da un approdo al corpo e alla relazione. L’etica dell’ospitalità nasce infatti dalla relazione: “Imparo a guardare / a imprestare lo sguardo / a chi ha urgenza di tana / imparo a ospitare”. E tutta la sezione iniziale de “La domanda della sete”, dedicata a “Il corpo battello”, realizza una fenomenologia che ci mostra l’essere del corpo come “un gesto / che prende il posto del pensiero”. Così ad esempio, “La pelle è educazione sentimentale”, mentre “Le mani sono ricche e vuote / conoscono molte altre mani” e “sanno buono quando è buono / e cattivo quando è cattivo”. Ma attenti ad evitare chiusure dogmatiche attorno a queste affermazioni. In queste poesie c’è un ritorno al mondo della vita e al presente, come è tipico della poesia lirica: “essa offre una precisa visione del mondo – non un universo finzionale ma il nostro mondo, in tutta la sua cupa e seducente nefandezza” (Jonathan Culler, “Theory of the Lyric”). E le acquisizioni di Chandra Candiani sono impiantate in un concreto e particolare esperire: “sí vieni, ben arrivato / nel mio sbando / c’è sempre posto per te”. L’io è “leggero” ma non si è eclissato. Anzi si mette in gioco continuamente con “questo sentire nostro / acuto e pugnalante / che non attenua gli urti / lascia il male cosí com’è / e accoglie tutte le ferite”. Ma è proprio questa mancanza di spersonalizzazione che ci comunica, con l’intensificazione di senso che la poesia permette, il vissuto “di temperature elevate / e di capacità glaciali”. È questo mettersi in gioco che costruisce una relazione con il lettore e che rende la poesia di Chandra Candiani una di quelle poesie che entrano a far parte della nostra vita.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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