Francesco Aprile: insisti se puoi nel fare il polline
di Francesco Aprile
Passaggio (I)
non si volevano fare esplodere i dati,
ma la necessità del mercato. la terapia
non dava i suoi frutti. paziente dopo
paziente, mitraglia per mitraglia, per
cintura una costola d’agnello dei tempi
andati, non di dio, della violenza.
non si volevano fare esplodere i dati,
per cui si lascia da parte la dizione,
l’ostracismo delle zolle, per le macchine,
insisti se puoi oltre l’omero, e accogli
nelle mani tagliate la forma dei rami.
sono le collere dei capitoli accesi
a rimarcare la dose, non si volevano
mica esplodere i dati, ma la necessità
del mercato. insisti se puoi nel fare
il polline, mentre i corpi abbagliati
si armano.
1.
a quel tempo era tutto un distendersi di rami a perdita d’occhio. tutto iniziava dalle serre, piccole colline senza pretesa di assoluto, che mantenevano un profilo basso e una continuità di sguardo con le montagne d’albania, dall’altra parte. tutto iniziava dalle serre, e tutto a quel tempo era un distendersi di rami a perdita d’occhio, montati sopra gli occhi, ma senza pretesa di assoluto. non erano ancora santi e conservavano il dominio della forma, senza parola. a noi restava il proposito di una smisurata passione, ora per la luce, ora per la forma. sulle pietre si stendevano le ombre, corse dietro le forme a registrare i tragitti di breve durata della luce.
2.
credetemi, non abbiamo mai rinunciato a seminare il terrore.
7.
quando smagra, lo sciamano sbellica la forma, con rissore, sempre, di chi ama del gesto l’eccedenza. ma qui era il rissore, l’audacia, la pioggia, vedi le rane, le lumache, le strade verdi. se non fosse un santo, avrebbe il corpo d’argento, al sole. se non fosse un santo ne avremmo fatto legna, per l’inverno. pietra dopo pietra, lo sciamano considera lo scibile e rifiuta l’asilo alla parola. ma qui erano pietre gialle, docili, ma qui erano pietre bianche, durabili cascate di cotone, di stagno, verdi di rane, di pioggia, ancora da spaccare. ma qui erano santuari dell’ignoto. fosse stato un albero, avrebbe avuto dominio della forma. senza parola.
20.
sono caduti dal finestrino tutti gli insetti tenuti a forza come ventose, sono caduti dal finestrino tutti gli insetti, né la velocità né i cambi di direzione, i sorpassi azzardati, niente, sono caduti dal finestrino tutti gli insetti, c’è voluta l’acqua striminzita della prima pioggia a portare terra sui vetri e sabbie a pollini dai deserti. sono caduti dal finestrino tutti gli insetti mentre smontavano le piattaforme e il corriere faceva le foto, ecco, non si vede più niente sulla spiaggia, ma noi sappiamo, noi sappiamo che sono caduti tutti gli insetti, sono caduti mentre imponevano coi soldi le piattaforme. noi sappiamo che a ripeterlo il fatto non diventa poesia. sono caduti tutti gli insetti, forse testuggini senza uova, forse lanuggini consonanti, piume vocaliche e svolazzi immacolati. sono caduti tutti gli insetti, insieme alle alghe, alle pietre, alle forme di palude dietro la corrente a muovere la luce tra le piante. sono cadute le piante a tronco cavo, come gli insetti, caduti con la prima pioggia, curvati alla mutilazione. sono cadute le piante a tronco cavo, ma noi sappiamo che lo stoccaggio, anche se si ripete, non trasforma il fatto in poesia.
24.
fare ordine. concepire il mondo senza il mondo. fossero stati santi non avrebbero avuto un corpo, solo forma, senza spazio, solo luce. un tempo erano sciamani abili per l’argento, un tempo erano promotori di racconti appena pronunciati, solo brillavano. ora sono santi, hanno abolito il corpo, disperato ogni luce.
Estratti da: La forma dei rami (marzo 2020)
raccolta finalista al premio Montano, sezione raccolta inedita, 2020