L’uovo del cielo
di Mariasole Ariot
Cade un mondo dalla testa, amplifica la velocità del tremendo, quando si china e non mi chiama, un capo abbassato conficcato nella terra, quando resta la parte clandestina che non apre, quanto preme, quanto muore e se non muore: vedere il bosco uscire dalle labbra, una pelle scorticata per le attese, il silenzio che muove, il vento di aprile, il frutto acerbo delle età immobili, e fugge, sugge il fiore, e fugge le gesta, non aggiusta le cose masticate, un verme che distingue il buono dal buono: ho mangiato il piatto della chiusa, una santificazione inginocchiata.
Dimentica la presa, dimentica i primati
I primi s’inerpicano, un recinto degli sprechi, chiocciole senza guscio, gusci senza l’animale del silenzio, il sudario è una metafora, il tu ruba il posto all’io, uno iato tra le stelle.
Non ci saremo tra il letto e l’uovo del cielo, con le ossa unghiate, quando le ore non dicono è ora, se mi dondoli e non culli, se mi allenti a mezzo fine, si contorce una storia non narrata, si prepara il relitto dei miei anni: bruciare nel nuziale, condannare le iniziali,
la testa brucia e brucia, si affretta veloce sulle cose, le case moderate, le cose terminate, le termìti che disciolgono parole: sei mutata come un muto avvicendarsi dei congiunti, incrèdula ora la tua notte.
Le ferite a vista, la vista dei rituali
Poi arrivano : poi si fanno fiume : poi fumano i ceppi : un prestito per le celle in costruzione. Attraversando le domeniche dei suoli, il sottosuolo addomesticato dalle scimmie, puoi sentirmi, puoi parlare, parla la lingua e tre linguaggi, posa i palmi ed apri il varco sulla nuca, le gesta disposte alle promesse, il suo sottrarsi che figlia nel suo l’insieme. Non tornare nelle cose acconsentite : la mia bilancia non fa presa, ho il sangue piatto, le gambe aperte come occhi, la temperatura costante del rossore. Il dolore che protegge, l’intenzione della veste – e quando e quanto e come vivi, e quanto non vivi, quanto il tuo coraggio è travestito, se mi attraversi come un resto, se ti appresti a fecondare.
Le spine della rosa, la rosa che ho ferito