Il club dei bugiardi
di Gianni Biondillo
Mary Karr, Il club dei bugiardi, edizioni e/o, 2017, 413 pagine, traduzione Claudia Lionetti
L’intera opera di Mary Karr sembra dimostrare la semplicistica teoria di ogni scrittore improvvisato: ognuno ha una storia necessaria, urgente, da raccontare. La propria. Certo, si potrebbe replicare: bisogna aver vissuto una vita interessante. E quella raccontata in questo memoir, Il club dei bugiardi, lo è: una famiglia scombinata, un padre operaio contaballe e rissoso, una madre da un passato sconosciuto e un presente fatto di alcolismo e depressione, uno scenario desolato (Leechfield, cittadina petrolifera di indicibile squallore), un’infanzia difficile, fatta di abusi sessuali, risse, pregiudizi, con unico baluardo di fronte alle difficoltà quotidiane Lecia, la sorella di soli due anni più grande.
Eppure neppure questo basterebbe. Conosco persone che hanno vissuto vite altrettanto complicate, se non addirittura più estreme, devastanti. La stessa Mary Karr, dopo il successo incredibile avuto alla pubblicazione di questo libro, racconta delle centinaia di lettere ricevute che mettono a nudo storie altrettanto al limite. L’autrice, in realtà, con questo libro magistrale dimostra che è sempre e comunque la scrittura che fa la differenza, con, in più, il particolare dono di una memoria elefantiaca: ricorda tutto della sua infanzia, non solo le situazioni, ma persino i particolari più marginali. Leggendo ci si immerge nella vita di quella bambina, si fa esperienza degli odori, i sapori, i colori. Karr scrive con onestà ammirevole, non nega nulla, nulla nasconde: anche le piccinerie, le vigliaccherie, i capricci. E, cosciente che anche una memoria così solida può fallire, non nega a chi legge i buchi, i vuoti del suo passato, disegnando nel complesso un ritratto di traboccante umanità.
Insomma, non basta avere una storia da raccontare per farlo. Occorre avere un (grande) scrittore.
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(precedentemente pubblicato su Cooperazione, numero 5 del 30 gennaio 2018)