L’ombra della neve

di Orazio Labbate

 

Nevicava da due notti. Il gelo aveva sommerso i pali della luce interrompendo la corrente in tutto il quartiere. La gente rimaneva in casa come in attesa di un mistero. Il mio vicino di tanto in tanto mostrava un occhio attraverso la tenda, come a spiare un omicidio. La neve aveva sommerso la mia auto, riuscivo a vederne, dalla finestra della cucina, solo alcune parti. Nel cofano c’è un cadavere. L’ho messo lì dentro un giorno fa. Non ho il coraggio di riscoprirlo. Mi limito a studiarne solo i piedi, ritti come la base di una croce. Non so cosa farne. Gettarlo in un vallone? Abbandonarlo in una discarica? Non sono una persona decisa, è da tutta la vita che sono ridotto a succhiare il coraggio altrui. Prima quello di mia madre(ora seppellita nel cimitero di questa città), poi quello di mia moglie che è fuggita con il suo amante. Mi è rimasto da succhiare tutto me stesso. Mi servo della mia ombra come unica fonte di forza. Quando sto seduto alla poltrona la guardo allungarsi sopra la tv, procreo l’atmosfera adatta avvicinando due lampade come se si reggessero a vicenda. Nel momento del sonno, invece, metto l’abatjour sdraiata sul comodino così da ammirarne l’ombra che dorme anch’essa. Non appena so dove si ferma allora la fisso con tutta la concentrazione, e la inserisco dentro di me. Una volta che mi attraversa ho la potenza di tutte le cose sconosciute. Vi spiego… Tutti noi facciamo caso alle ombre, tuttavia nessuno sa che queste hanno una loro vita. Io, invece, ne sono convinto! La loro vita è mistica. Riescono a regalarti, solo se conosciute, una prima sensazione di ciò che proveremo nell’aldilà. È una droga, quindi, cibarsi d’ombre. Eppure era da tre giorni che la mia ombra non bastava al mio spirito. Così, prima che iniziasse a nevicare, vagai tutta la notte in cerca di un’ombra più potente. Nonostante avessi percorso con l’auto le strade deserte, e avessi ammirato ombre bellissime, come quelle dei negozi, dei cani randagi, dei semafori, dei lampioni, non trovai quella giusta. Allora mi diressi verso il bosco. Ricordo che le stelle mi facevano paura. Credo che rilascino più ombre loro sulla terra, che tutta la terra stessa nella propria galassia. Nonostante ciò, non posso rubare l’ombra a Dio… Arrivato nel bosco, ansioso cominciai la mia ricerca. La luna piena permetteva alle ombre di uscire dai loro corpi. Le ombre dei tronchi però erano troppo spente e immobili. Le ombre delle piante, troppo sottili e deboli. Le ombre degli animali, troppo istintive, come gli animali stessi. Non erano quelle giuste per il mio scopo. Allora percorsi un sentiero che portava ad un ruscello. Lì scorsi una meravigliosa ombra appoggiata ad una roccia, ne vedevo la schiena e i piedi ritti come una croce che si scioglieva nell’acqua. Era l’ombra di una donna. Dormiva con la schiena rilassata. L’ombra era potentissima. Me ne innamorai a prima vista. Incominciai a mangiare l’ombra con grande foga. Ero con le mani poggiate alla corteccia di un abete, a cento metri dalla donna. Dovevo avvicinarmi per assaporarla, meglio, faccia a faccia. Mi mossi lento, e così fece pure la mia ombra, dietro di me, che mi seguiva e non se ne andava. Via via si gonfiava. Fu talmente grande da soffocare la donna, io invece ammazzai quest’ultima, a mani nude. A occhi chiusi. Non gemeva. Non gridava. Lo accettò senza emettere nulla. Lontano qualcuno applaudì. Sentivo che alcune case stavano perdendo la corrente perché la neve stava arrivando. E, intanto, mi dicevo: “Non posso lasciare un’ombra bellissima nel corpo di una donna bellissima, soprattutto in vita, perché prima o poi mi abbandonerebbe”. Tutti mi lasciano da solo! Raccolsi il cadavere della donna coprendole il volto con un sacco nero. Pesavano tanto, lei e l’ombra. I piedi le strisciavano. I piedi avevano l’ombra ritta come una croce. Ogni dieci secondi mi giravo per paura che corresse via nelle profondità del bosco. Sentivo così tanta pace. Mi dissi: “Dio sarebbe fiero di me. Amo così tanto al punto di ammazzare l’ombra del mio nuovo amore”. Un gufo mi guardava da un ramo. Il suo sguardo mi pedinava. Aveva gli occhi gialli. Ho paura dei gufi da quando ho capito che hanno l’ombra a punta per via delle orecchie. Penso ce l’abbia così pure il diavolo. La bocca della donna perdeva saliva che scintillava nel pietrisco. Affannato raggiunsi l’auto. Aprii il cofano con il pulsante sulla chiave di accensione. Con il braccio destro adagiai il corpo sulla tappezzeria sporca all’interno del cofano. Entrai in macchina. Cadde la prima neve dell’anno. Il vento ne portò lentamente un’abbondanza. Accesi l’auto. I fari fendevano la neve. Nel sedile del passeggero era proiettata la mia ombra. Oltrepassai le strade. A occhi aperti vidi la montagna sopra la città addormentata. Il semaforo rosso mi costrinse a frenare. A occhi chiusi la neve fu nera. Accesi di nuovo la macchina non appena lampeggiò il verde. Superai i quartieri che stavano imbiancandosi. Vidi le finestre delle case, di colpo, spegnersi. La corrente abbandonava tutti i quartieri della città. La neve vorticava e si aggrappava ai cavi elettrici che emettevano scintille bianchissime. Non acceleravo. Sembrava trasportassi il feretro di mia madre. Raggiunsi casa mia. Premetti il pulsante perché si sollevasse la saracinesca del garage. Posteggiai l’auto nel garage. Inspirai tanta aria chiusa. Indugiai un minuto nel silenzio perché capissi cosa stava succedendo. Non lo compresi. Estrassi dal cofano il cadavere. Una volta arrivato in casa lo stesi nel mio letto matrimoniale. Presi di fretta tutte le lampade della camera da letto, le misi in fila, l’una accanto all’altra, ai lati del letto. Poi ne rubai altre dal soggiorno e le disposi davanti al letto. Quelle rimaste le posizionai, infine, dietro il letto, dopo averlo spostato due centimetri dal muro. Ottenni quell’ombra bellissima di cui godetti nel bosco! Per due giorni me ne cibai. Felice. Mi genuflettevo all’interno di tutte le dimensioni che l’ombra rifletteva. Mangiavo. Eppure dopo due giorni, d’un tratto ne fui sazio. L’ombra mi appariva dimagrita. Come senza più carne. Non seppi cosa farne. Quella cosa inutile! Quel corpo morto che dormiva nel mio letto! Mi faceva schifo. Non aveva più potenza. Frattanto nevicava, e non voleva smettere. La corrente non tornava.
Ora, nella terza notte, dopo aver nascosto il corpo della donna nel cofano, non so cosa farne. Lo studio spaventato. I piedi sono sempre ritti come croci. Mi impressionano. E la maledetta corrente non riparte. Siedo di tanto in tanto sul divano dove la televisione è spenta. Da quella posizione guardo fuori e so che nevica ancora. Se ci fossero stati i lampioni avrei potuto vedere la neve. Adesso non vedo neppure questa. Mi alzo. Non mi rifletto nelle invetriate della finestra principale. “Il vicino giocherà ancora con la tenda, e si chiederà le mie stesse cose”, penso. Fisso la mia auto. È un’auto funebre. Ed io sono colui che ha ammazzato l’ombra e la sua donna. “Va bene. Il cadavere rimarrà nel cofano”, sibilo. Ritorno alla poltrona. L’ombra alle mie spalle è quella che mi farà più paura. Starà lì per sempre. La mia ombra.

 

*(racconto tratto da Stelle ossee (LiberAria) di prossima pubblicazione in autunno sul primo numero di “The Shoutflower” – rivista letteraria di Philadelphia – tradotto da Anne Milano Appel).

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mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
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