Gli eroi sono partiti
di Francesca Mazzotta
TAUROMACHIA
L’invidia degli dèi non ti risparmia
mentre severo assisti a quella gara
di bestie nere polvere bufera
tra te il presente e te il passato e te
poi sopra i corpi scende la preghiera
– il toro morto ha ucciso l’altro toro:
le cantilene sposano l’abisso.
Né vinto né vincente ti allontani
lasci la sedia vuota, amaro guardi
il faro dell’arena affievolirsi.
Ma tornerai ancora, come torna
la cenere fedele ai roghi spenti
che coglierai dall’aria diligente
di giorno in giorno, per colmare l’urna.
ELENA
Un canto spezza l’aria
non siamo ancora morti
scrosta il guscio d’uovo nel lavabo
affiora poco a poco il bianco lucido
ha un cuore non più vergine
ovatta nelle vene, perde il conto
dei sassi lanciati contro i vetri
la casa di stoffa abbandonata.
Le strade sono zero rettilinei
bocche aride, identiche alla sete
dell’occhio che la spia dalla fessura
la spoglia della pelle lungo i femori
Cosa ne sai del mare di incisivi
racchiuso nel bicchiere rovesciato
l’elemosina di un bacio, l’odore
dei sogni che insapona nel catino.
ESTATE
Spicciolavi le nespole dai rami
nell’imbuto del caldo ti ho pensato
albero abbattuto
ho temuto il suono
il tuono sordo contro il suolo il prato
docile spianato
s’instrada sempre audace ed è terrore:
il falco veglia fisso la contrada
dove sediamo, tra l’attesa e il grano
inondati di luce.
SHANGHAI
La donna si fa il segno della croce
e l’hostess mima muta i salvataggi
l’ottava volta della settimana
poi celere consegna le salviette
scuciamo i meridiani, il cielo attorto
per tutto il volo simili a shanghai
a un sarto alle sue mani ciecamente
all’unico indovino grato a Zeus
*
tra il passaporto e la carta d’imbarco
ho in pugno un punto di buio un segreto
che tengo stretto, o precipiteremo
cadremo, se lo perdo, nell’oceano
*
non andartene prima del declino
del baleno che cerca moribondo
una mano
nella pinna d’aereo
non andartene oltre l’arco che fanno
i due cigni uncinati sull’acqua
occhi negli occhi
di musica muti
come i platani di Kensington Gardens
quel loro sibilare al sottosuolo
la sillaba di un’ombra sul selciato.
PSICHE
Aratro dolce il rito della mano
con cui piano mi pettini la nuca
latro come un avanzo di cane
di caduca carne
con gli occhi chiusi vedo grattacieli
esanimi aquiloni, serrature
la coda di un pavone, sette suore
in fila esatta per la processione
tu vedi gatti neri trasalire
in ululati umani, gli asfodeli
coperti di scorpioni, un gioielliere
i suoi orologi esposti luccicare.
GRIDO
Nel mio bicchiere nuotano orche bianche
mentre rivedo un volto che mi manca
svettano città subacquee promontori
spioventi
i cardini di pantheon immani
scansati per miracolo dai venti,
le tormente
dune di sale come un grido cieco
da spezzare la corteccia degli ulivi
disperso dentro il deserto niente
di una livida stanza d’ospedale
dove scrivesti sul biglietto
casa, hotel
ed intendevi dire che morivi.
SOLSTIZIO
Che moristi lo ricorda
la palma a fianco ai pini
una poltrona a righe biancoverdi
il vento che vira la lucciola
Orsa sul cielo di grano, mesce
le nostre ombre scomposte sul muro
quanto ancora ci irrora il solstizio
il lampione titano inceppato, questo
capovolto miraggio
quanto a fondo l’orma del paesaggio
trainata dal treno, e noi in ostaggio
nel fluire che ci catapulta vivi.