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Il mio corpo a Carofiglio

di Gian Balsamo

Palo Alto, 15 giugno 2020

Io non sono gay ma ci sono uomini con cui andrei a letto. Placido Domingo, ad esempio. Lui neppure è gay ma io mi farei volentieri avanti, se potesse aiutarlo a sostituire le donne cui ha fatto troppi complimenti o troppi sgarbi. Con me andrebbe sul sicuro e potrebbe tornare a cantare senza remore. Ogni suo do di petto crea una curvatura irreversibile (che ci piaccia o no) nelle falde dell’universo.
Oppure, sempre per fare un esempio, Joyce e Proust.
Sento Armanda che esclama dall’altra stanza: “Ti ha dato di volta il cervello, Gian? Adesso vuoi ‘dare via’ il tuo corpo! Chi ti credi di essere, Antonin Artaud?”
L’altro giorno ho scritto a Andrea Inglese su Nazione Indiana, in caratteri a stampatello: LA FORMULAZIONE DELLA FRASE È UNA SCELTA ETICA.
Proprio così. Non mi sono ancora ripreso dall’averlo detto, una buona volta.
Ma torniamo a Joyce e Proust.
Con Joyce, devo farmi perdonare una cosa: l’ho sacrificato alla carriera accademica. Lo amavo SPERTICATAMENTE, da ragazzo. Ci ho scritto su dei libri, troppi, e ho partecipato a letali conferenze (troppo poche, direbbero i miei ex-colleghi, ma ehi, sono io quello che ha rotto con l’accademia per unirmi al mio amico e lettore Satoshi Nakamoto, mica loro), e insomma, adesso i libri di Joyce sono diventati Kryptonite per me. Ho un debito da scontare, James, e sono pronto, se ti garba.
Con Proust, è vero l’opposto: per tutta la durata dei miei decenni accademici, ho tenuto segreto il mio amore per Proust. Una volta lasciata l’accademia, sono uscito allo scoperto con la mia dichiarazione d’amore (leggi: il mio libro su di lui). Il nostro amore, Marcel, è intatto. Non, je ne regrette rien…
Se ricordi, Armanda, fu nel 1976 che comprammo il primo volume della Ricerca del tempo perduto. A Ginevra. Paperback Gallimard, illustrazione di Van Dongen. Le pagine sono peggio che ingiallite, sono quasi marrone ormai, e naturalmente si scollano dal dorso. Ma quel libro ce l’abbiamo ancora. Da quel giorno in libreria (ricordo che brillava un bel sole d’inizio settembre sul lago Lemàno), non è passato anno senza che io sfogliassi le pagine di Proust. Tu lo sai bene.
Sfogliassi è decisamente un eufemismo. A Proust, lo insulti se ti fermi dopo cento o duecento pagine.
Quando dico che sarei disposto a andare a letto con Joyce oppure con Proust, dovete capire che decisamente mi sbilancio. (Soffro della stessa sensibilità olfattiva di certi personaggi di Gianrico Carofiglio, ci sono giorni che mi scoppiano i seni paranasali.) Gli alcolizzati come Joyce e gli ipocondriaci come Proust puzzano! Ma mi tapperei volentieri il naso, se servisse a farli sentire meglio.
Joyce e Proust: due grandi artisti con cui e per cui, causa mera, brutale gratitudine, farei qualsiasi cosa.
Andrei volentieri anche a letto con Gianrico Carofiglio. Conoscendo la sua opera, e non solo il suo Guido Guerrieri, ci sarebbe da aspettarsi che questa dichiarazione mi valga, a dir poco, una testata sul naso o una ginocchiata sui testicoli. Ma lo dico per la stessa ragione di prima: mera, brutale gratitudine di un amante della letteratura italiana. Se servisse a consolarlo in un momento difficile, rassicurarlo sui suoi meriti di autore, proteggerlo dai malpensanti (o dalle donne mozzafiato che fanno la posta al suo Guerrieri), sarei lieto di mettermi a disposizione. Here I am.
Magari parlo come parlo perché vivo all’estero. Negli anni ’70, leggevo le recensioni cinematografiche di Moravia sull’Espresso e mi dicevo: Tutto qui? Potrei scriverle anch’io, tali e quali, e allora perché toccano a lui? (Naturalmente, Armanda, noi ce lo siamo letto tutto quanto entro il 1975, Moravia – salvo Io e lui, che ti aveva sconvolto da bambina, e poi non credo sia un granché come libro.) Persino con Pasolini, quando sembrò diventare parte integrante del suo odiato Palazzo, uno si sentiva offeso dai troppi articoli di fondo, le troppe rubriche. Naturalmente, ADORARE Pasolini mi sembrava ancora troppo poco, dato il talento, e ho mostrato i suoi film ai miei studenti negli USA fino a ritrovarmi alle soglie del licenziamento. (In Egitto, alla American University, rischiavo molto di peggio del licenziamento.) Ma a un certo punto si aveva l’impressione che parlasse solo più lui, Pasolini, che fosse l’unico ad avere pieno diritto di parola in Italia. Impressione erronea, naturalmente.
Ma chi non soccombe a certe malevolenze italiche? Mi sa, infatti, che qualche italiano che conosco sia sospettoso di Carofiglio perché dopotutto anche lo scrittore barese è ormai divenuto cittadino del Palazzo. O così potrebbe sembrare. (Anche perché nel frattempo il Palazzo è diventato l’establishment, la creatura più vasta, onnivora, che tutti, da destra a sinistra, vorremmo abbattere, ma non sappiamo come, né cosa sostituirgli.) Invece, dal mio punto di vista estero, non ho difficoltà a comprendere e affermare che Carofiglio è un artista e un essere umano ammirevole. Basta leggerlo con attenzione.
Io l’ho letto tutto.
Caveat lector! Oh my, oh my! Ho fatto in questo momento un Google search per scoprire che Carofiglio è candidato al Premio Strega, che viene assegnato fra sei giorni! E dieci minuti fa, il poeta Jacopo Ramonda mi ha rivelato su WhatsApp di uno scandalo riguardante Carofiglio e un certo Vincenzo Ostuni risalente allo Strega del 2012. Sono andato a controllare. Càspita, Nazione Indiana è eloquente al proposito. Mostro quel dibattito a Armanda nell’altra stanza.
Lei dà una scorsa. “Gian, sei davvero sicuro che stai preparando questo pezzo per Giacomo Sartori di Nazione Indiana? Quelli ti bruciano vivo.”
Il sorriso che le rivolgo non è troppo spavaldo, lo sento.
A proposito, tu, Armanda, eri ancora minorenne quando prendemmo insieme un treno da Torino diretto a Catania, da lì un altro treno per Siracusa, e poi ci addentrammo a piedi in Ortigia, in pellegrinaggio alla casa nativa di Elio Vittorini. Anche con Vittorini sarei andato a letto, come sai, se fosse servito. E devi considerare che nemmeno quella sarebbe stata un’esperienza olfattiva facile. Ai tempi del grande Vittorini di Einaudi, gli italiani odoravano forte! Fingiamo di essercene dimenticati, ma allora, e anche dopo, durante la mia gioventù, all’ingresso in una stanza ogni italiano era annunciato e preceduto dal proprio odore. Le cose stavano così.
E poi, in fondo, chi lo dice che quel revisionista di Vittorini avesse bisogno di consolazioni?
La casa di Vittorini è ancora lì, lapide e tutto. C’era due anni fa, voglio dire.
Io amo profondamente Carofiglio. Ho letto quasi tutti i suoi libri – l’ho già detto. Ho trascorso ore ed ore a ascoltare la sua bella voce leggere certuni dei suoi libri. Pure gli altri libri li ho ascoltati, perché Armanda ed io ce li leggiamo a alta voce, la sera. Dopo aver letto le prime pagine del Bordo vertiginoso delle cose, ho subito pensato a Vittorini. Conversazione in Sicilia = Conversazione in Puglia? Stesso esordio… Ai tempi di Vittorini, un grande scrittore scriveva capolavori. Un giovane entusiasta come me interiorizzava la memoria di ogni grande libro come se fosse scolpita su un blocco di granito. Ai tempi di Carofiglio, invece, un grande scrittore confeziona best-seller per contratto.
Un segno dei tempi. Ma anche questo è un dettaglio toccante, non trovate? La pecca, appunto, o il rammarico, che sono pronto a attenuare col dono del mio corpo, se dovesse aiutare.
Parla Armanda: “Gian, vieni a sapere che Carofiglio è candidato allo Strega per un certo libro che hai letto e conosci bene, ed ecco che scrivi il tuo brano su un altro libro, di cui nessuno si ricorda magari più. Non ti smentisci mai!”
Ars gratia artis.
Lei ed io non abbiamo ancora finito di leggere Il bordo vertiginoso delle cose. A voce alta si va più a rilento. Ma sono super-curioso di sapere come va a finire. Salvatore il terrorista è già morto, ma il personaggio di Celeste non è ancora rientrato in scena. Celeste dovrebbe essere la Musa Redentrice del protagonista. Magari mi sbaglio. Per un momento, ho pensato e sperato che durante la sua supplenza in filosofia al liceo del protagonista Enrico, Celeste fosse segretamente fidanzata con Salvatore e complice del suo attivismo di ultrasinistra. Ora sono quasi a metà del romanzo e immagino che le cose non siano andate così, per quei due. Lo saprò presto. Sono aperto a ogni sorpresa, e ogni giorno non vedo l’ora che venga il dopocena per saperne di più.
Gianrico, se stai leggendo questa pagina, per favore, tappati la bocca. Lo credo che lo sai bene come va a finire; l’hai scritto tu, quel romanzo! Non voglio anticipazioni di sorta.
In un certo senso, Gianrico, se sono super-curioso è perché non sto leggendo un tuo grande libro, sto leggendo un tuo best-seller. Cosa che trovo toccante, l’ho già detto: la maniera in cui un grande talento come il tuo si piega, salta e fa le acrobazie, al fine di allestire materiali da best-seller. Nel caso del Bordo vertiginoso delle cose, me ne sono accorto, sai? Spremi a fondo tutte le tue vecchie formule collaudate, da quelle marginali a quelle che ti contraddistinguono di più: il culto del libro e la visita, sovente notturna, in libreria; l’incontro terapeutico con uno sconosciuto, uomo o donna, di una certa età; la condizione di mediocrità che sconfina nell’eccellenza; l’incontro con due turiste straniere un po’ troppo intraprendenti; l’amicizia col ragazzo più vecchio e molto dotato, ma antisociale; il fallimento nella vita di coppia appaiato all’incontro con la Donna Musa; la citazione emblematica (vuoi da Fitzgerald o Hanna Arendt); l’addestramento segreto allo scontro a mani nude e a mano armata; la scazzottata con un manigoldo. Guarda, non mi dilungo in questa lista perché ho il sospetto che qualche critico ostile l’abbia già completata a fini diversi dai miei. Nel bordo vertiginoso delle cose, però, novità assoluta per te (o almeno credo), sei andato a rispolverare la narrazione in seconda persona singolare, un reperto risalente ai tempi di Bright Lights, Big City, quando il mondo occidentale scopriva la scrittura creativa all’americana.
Se non fossi anch’io uno scrittore italiano, ex-docente di creative writing, ti risparmierei la seguente digressione: Ormai l’Italia ha pienamente assimilato quel modello di creative writing (Thanks for nothing, Baricco), tanto che le “grandi” agenzie letterarie italiane ne hanno fatto un business per fessi. Al proposito, la mia crudeltà ha qualcosa di inspiegabile che rasenta l’idiozia. Ho cercato di spiegarlo a Giacomo Sartori quando è passato da queste parti. Io ho pagato il pizzo di certe “grandi” agenzie letterarie perché volevo vedere quanto in basso potessero scendere con le loro “valutazioni.” Ed è molto, molto più in basso di quanto potresti immaginare, credimi. Mandano per strada questi giocatori di bussolotti. Tu metti giù il pizzo. Loro ti ruotano i tre bussolotti sotto il naso. Tu ne sollevi uno e ti becchi la pallina nera.
Anyway, tutti dobbiamo campare, non solo i giocatori di bussolotti, e tu, Carofiglio, scegli di intrattenerci al di sotto delle tue virtù letterarie scrivendo un trascinante bestseller. SACRIFICHI LE VIRTÙ PER SFRUTTARE PIÙ A FONDO LE DOTI.
Perché dovrei nascondertelo: sta qui, in stampatello, il nocciolo, la scelta etica del mio brano.
Ma potrei sbagliarmi. Se ho visto giusto, Gianrico, non posso e non voglio darti torto. Come dice Modiano, quando si ama veramente, non si giudica: si comprende. Io, per me, come lettore, reclamo solo il privilegio dell’affetto e della riconoscenza.
(Abbiamo parlato del lupo. Tanto vale ramazzare questa pedana a colpi di coda. Insomma, Armanda vede “troppi” paralleli tra Carofiglio e Modiano. Io lo conosco come le mie tasche, Modiano, e non sono d’accordo. Solo tu puoi dirci come stanno veramente le cose.)
A ogni buon conto, hai fatto un rinnegato di questo amante inveterato della Sicilia, Gianrico. Ormai, non vedo l’ora di visitare la tua Bari, capoluogo della “cooliest region in Italy” (cito a memoria le tue due intraprendenti turiste scandinave). Ma bada bene, non ci verrei, o verrò, per reclamare un ingiustificato credito sodomitico. Se Armanda proprio non potesse accompagnarmi, fa un fischio a quelle due scandinave e siamo a cavallo.
Ieri ho rivolto questa domanda ad Armanda: È meglio essere un eccellente scrittore di Sellerio oppure un ricco scrittore di Rizzoli? Lei ha risposto senza battere ciglio: un ricco scrittore di Rizzoli. Tanti anni insieme non sono acqua. Tutto diventa aforisma.

 

l’immagine:Yves Klein, “Anthropométrie” (ANT 49)

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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