Montanelli, noi, la storia
di Fabio Ciancone
Il dibattito sulla vicenda che ha coinvolto la statua e, di conseguenza, la figura di Indro Montanelli suscita molte domande e apre a molte possibilità di riflessione. Il mio scopo è quello di contribuire a questa riflessione, provando a mettere in luce alcuni elementi chiave e alcune fallacie, a mio parere, del dibattito in corso.
Ci si è molto interrogati e scontrati sul valore della storia e della memoria all’interno di una società, su cosa voglia dire ricordare e commemorare una figura celebre del passato di una nazione, se la memoria possa influire sul nostro agire quotidiano. Sembra dunque necessario partire da un’analisi (necessariamente parziale) del rapporto tra storia e collettività. Non spetta a me ricordare che non è possibile stabilire una versione definitiva del nostro passato: la storia è prima di tutto una narrazione e come ogni narrazione necessita di un narratore che, come ogni narratore, deve adottare per scrivere un punto di vista. Alla luce di questo bisognerebbe forse prendere coscienza del fatto che oggi narrazioni collettive univoche e universalmente accettate nel loro contesto di produzione, quindi anche la Storia come è spesso intesa, sono ormai pressoché impossibili. Stanno emergendo in maniera sempre più decisiva le voci di chi prima non aveva un ruolo attivo nella scrittura della storia: donne, minoranze etniche e religiose all’interno degli stati nazionali, intere aree del mondo. Lo stesso evento non sarà mai raccontato nella medesima versione da due parti contrapposte e sarebbe d’altronde irrealistico immaginare la possibilità di una pacificazione globale e di una perfetta sintesi dei fatti.
Mi sembra dunque di aver avvertito l’enorme difficoltà, da parte di chi si appella alla Storia per scongiurare la rimozione della statua, a prendere coscienza di questo policentrismo. Non sarà forse necessario ripensare i nostri modelli educativi?
Storicizzare, poi, è certamente un atto necessario a “prendere le distanze” da un evento: a pensarlo, ad analizzarlo, a modellarlo sui nostri schemi individuali e collettivi. È per questo che, da un lato, mettere questo momento di fervente lotta politica in relazione diretta con la storia è complesso e azzardato: si rischia di asservire la storia al dibattito, operazione del tutto antiscientifica e inutile da un punto di vista prettamente educativo. Dall’altro, nessun evento, neanche il più remoto, potrà mai essere neutro agli occhi di chi lo osserva e di chi lo studia: è per questo che si studia. Proprio in virtù di ciò ripensare il passato e la critica non è soltanto naturale, ma anche necessario.
Venendo a questioni meno generiche, è necessario porsi criticamente di fronte al personaggio Montanelli e al suo monumento. Senza l’intenzione di processare l’uomo, bisogna però riflettere sul senso politico di un monumento in suo onore. Come è stato detto da più parti, la statua intesa come oggetto fisico non è parlante, è solo, semmai, rappresentazione. Ogni oggetto dialoga con lo spazio che gli sta attorno e assume senso e valore anche in relazione a quello. Lo spazio pubblico è per definizione di tutti, e il “tutto” nella dimensione presente non è “critico”, una società nel suo complesso non può auto-commentarsi e staccarsi da sé: è semmai il conflitto tra le parti a generare il progresso. Attribuire dunque alla statua inserita in un luogo pubblico una funzione di analisi del passato è semplicemente impossibile. Diverso, invece, sarebbe collocarla in un contesto espositivo, in cui ciò è possibile. Mettere Montanelli in un museo e toglierlo dalla strada sarebbe, a mio parere, l’unico modo per contestualizzare la sua figura e renderla “storica”. Si potrebbe ribattere dicendo che anche lo spazio pubblico può essere pensato come espositivo, ma assumerebbe allora in automatico una funzione critica, che comunque non può prescindere dalla primaria dimensione collettiva.
Non ritengo corretto definire la rabbia dei manifestanti come furia iconoclasta o deriva autoritaria: la percepisco, piuttosto, come tentativo di appropriazione di qualcosa che spetta loro, cioè uno spazio. Non farà certamente piacere a un afroamericano passare tutte le mattine sotto la statua di un colonizzatore e sentirà inevitabilmente quel luogo meno proprio. Rimane certo un forte dubbio sulla possibilità di immaginare l’esistenza di uno spazio neutro o quella di neutralizzarlo. Ma è il conflitto, non la neutralità, ad essere alla base dell’evoluzione, e tutto ciò per cui combattiamo e che oggi ci sembra giusto e necessario sarà prima o poi superato.
È naturale inoltre che determinate figure storiche provochino reazioni differenti agli occhi di ciascuna persona: nessuno, nel XXI secolo, si sentirebbe minacciato nel proprio essere cittadino di Roma dalla statua di Augusto o cittadino francese da quella di Luigi XIV. La differenza è banale e sembra quasi superfluo ricordarlo: siamo toccati soltanto da chi, con le sue azioni o con le sue idee, appartiene ancora in maniera più o meno diretta al presente. Se esisteranno in futuro questioni complesse che hanno connessioni con il passato anche molto remoto, sarà dunque necessario sempre di più risalire fino alle più lontane origini del problema, immaginando un presente “a maglie larghe”, che con il passato dialoga fino al punto di svolta che sentiamo di dover combattere.
Mi preme chiudere, provocatoriamente, ponendo un quesito: non potrebbero forse queste manifestazioni rappresentare in futuro un evento storico di grandi dimensioni e, al loro pari, le azioni contro le statue? Riportare tutto allo status quo non sarebbe, oltre a un grave atto politico, anche un gesto che rischierebbe di cancellare la storia?