Jack Spicer: “una poesia non è mai soltanto sé stessa”
«Più che d’opera aperta (e in effetti non v’è opera più chiusa di questa) viene ideato dal poeta un lettore aperto, un organismo da attraversare per generare, nel reale, una realtà poetica» scrive Andrea Franzoni nella sua introduzione a Un rosario di bugie. Il volume, stampato da Argolibri per la collana Talee, riunisce tre raccolte – Ammonimenti, Un libro di musica, Quindici false proposizioni contro dio – composte da Jack Spicer nell’anno 1958.
Ospitare qui una combinazione di poesie tratte dal libro significa allargare in qualche maniera il movimento che le ha fatte dapprima cozzare; significa dissotterrare dal libro altri combaciamenti, sgravare sovrapposizioni, teorie del saluto repentino; essere richiamati nel sonoro colloquio del testo. Per il lettore aperto, la lettura opera il senso, tradisce la scrittura stessa.
«Le poesie dovrebbero echeggiare e riecheggiare una contro l’altra, creare risonanze. Non possono vivere da sole, non più di quanto lo possiamo noi» avvisa Spicer in una lettera contenuta in Ammonimenti. Ecco allora che con questo breve frammento ci vengono consegnati -allo stesso tempo- l’orizzonte del libro da ricomporre, e la materia del rosario da sgranare.
da Ammonimenti (1958)
Caro Robin,
troverai qui la prima pubblicazione della White Rabbit Press. La seconda sarà certamente più bella. Hai ragione a dire che non ho più bisogno delle tue critiche sulle singole poesie. Ma io le voglio ancora. Credo sia una vecchia abitudine – un’abitudine fin troppo vecchia. A metà di After Lorca ho capito infatti che stavo scrivendo un libro e non più una serie di poesie, e tutte le singole critiche, di chiunque fossero, sono improvvisamente divenute meno importanti. E questo vale anche per i miei Ammonimenti, che ti invierò non appena saranno finiti (ne ho già otto e credo saranno quattordici in tutto, inclusa, ovviamente, questa lettera).
Il trucco è semplicemente quello che Duncan ha scoperto anni fa e ha provato a insegnarci – di non cercare la poesia perfetta ma lasciare che la scrittura del momento vada libera per la propria strada, esplori e poi ritorni indietro, ma senza essere mai pienamente realizzata (confinata) entro i margini di una sola poesia. Su questo aveva ragione lui e noi ci sbagliavamo, anche se poi ci ha complicato le cose dicendo che non esiste la buona o la cattiva poesia. Esiste, ma non in relazione alle singole poesie. Non esistono, in verità, singole poesie.
È per questo che tutto ciò che ho scritto finora (eccetto le Elegie e il Troilus) mi sembra marcio. Le poesie non hanno appartenenza. Sono avventure di una notte, piene d’emozioni (per le migliori di loro), ma senza alcun obiettivo, insignificanti tanto quanto il sesso in un bagno turco. Non erano la mia rabbia o la mia frustrazione a ostacolare la mia poesia, ma il mio considerare ogni episodio di rabbia o di frustrazione come qualcosa di unico – qualcosa da convertire in poesia, come si fa con una valuta straniera. È quello che ho imparato al Dipartimento di Inglese (e al Dipartimento d’Inglese dell’anima – questo grande pantano che si annida sul fondo di ognuno di noi) e ha rovinato dieci anni della mia poesia. Guardale quelle poesie. Ammirale se vuoi. Sono belle, sì, ma sono mute.
Le poesie dovrebbero echeggiare e riecheggiare una contro l’altra. Creare risonanze. Non possono vivere da sole, non più di quanto lo possiamo noi.
Perciò non inviare il pacco con le vecchie poesie a Don Allen. Brucialo, oppure aprilo con Don e piangi su ogni possibile libro che ci ho seppellito dentro – le Canzoni contro Apollo, la Galleria degli dèi magnifici, le Canzoni da bere – tutti incompleti, tutti abortiti – tutti incompleti, tutti abortiti perché, come ogni persona che abortisce, pensavo che ciò che non è perfetto non merita davvero di esistere.
Le cose combaciano. Lo sapevamo – è il principio della magia. Due cose inconseguenti possono formare, se combinate assieme, una conseguenza. E questo vale anche per la poesia. Una poesia non deve mai essere giudicata solo per sé stessa. Una poesia non è mai soltanto sé stessa.
Questa è la lettera più importante che tu abbia mai ricevuto.
Con affetto, Jack.
da Un libro di musica
(con le parole di Jack Spicer)
Cantata
Ridicolo
Come lo spazio tra tre violini
Possa minacciare tutta la nostra poesia.
Facciamo gruppo come degli
Scout a un picnic. Un urlo acuto.
Minaccia pioggia. Quell’istante di terrore.
Curioso come tutto ciò in cui crediamo
Scompaia.
da Quindici False Proposizioni Contro Dio (1958)
VII
Gli alberi in gioventù sembrano più giovani
Di quasi tutto
Voglio dire
Che in primavera
Quando mettono le foglie verdi e provano
A sembrare dei veri alberi
Giuro su Dio mi si stringe il cuore
Quando li vedo provare.
Viene Agosto e brilla il sole e la nebbia e solo il legno
cresce
E loro lì con le loro foglie ruvide stupiti
Che non sia più estate.
S’insinua la nebbia fredda e a Novembre
Non sembrano più le stesse (le foglie intendo) le foglie cadono
Un motivo così duro da cercare.
Una tale trave
Del cuore.
X
«Alberi. Quelle cose confuse?» domandò il nonno di Williams
o forse era sua nonna sulla strada per l’ospedale. Un viaggio
Che tutti dovremo fare.
Non ricordo bene la poesia ma so che la bellezza
Sempre diventerà confusa
E l’amore sarà confuso
E il fatto stesso di morire sarà confuso
Come un grande albero.
Allora, lasciate ch’io abbatta una ad una
Qualunque cosa blocchi la mia vista
Gente, alberi, i miei stessi peduncoli oculari.
Lasciate ch’io smembri
Con queste nude mani
Questa foresta confusa.
XV
Caro Signore:
ho provato in queste poesie a trovare il Dio a Tre Teste in cui a
tratti ho creduto parlando con voi e vivendo con voi.
L’abissale negozio di giocattoli
S’intromette.
(È un inferno dove nessuno
Ipotizza l’altro. È dopo
Ogni cosa.)
Nessun pensiero coerente o sensazione. Sono le cinque
del mattino.
Se non cinguetta il bel fringuello
Mamma ti comprerà un anello
Questo è l’ultimo mistero della gioia.
La fine di tutte le ipotesi.
Notizie bio-bibliografiche
Nato a Los Angeles, Jack Spicer (1925-1965) si trasferisce in seguito a Berkeley, per raggiungere l’Università della California, dove insegna linguistica e stringe rapporti di amicizia con Ro- bin Blaser e Robert Duncan, oltre a numerosi artisti e studiosi che presero parte alla cosiddetta «San Francisco Renaissance». Morì nel 1965, a causa del suo alcolismo, dopo aver pubblicato alcuni libri in piccole edizioni fatiscenti. Contro il mercato del libro (chiamava il libro «il cimitero»), operò per una diffusione soprattutto orale della poesia, concentrando tutta la sua facoltà poetica nell’espressione di un rapporto continuo tra il poeta e le voci circolanti nella vita del poeta, reali o irreali che fossero. La sua personalità irriverente, congiunte a una palese erudizione e genialità, hanno contribuito a creare intorno a lui un interesse sempre maggiore nella comunità poetica.