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A ferro e fuoco? (appunti da Palo Alto)

di Gian Balsamo

Mettiamo subito le cose in chiaro. Palo Alto è un Caput Mundi. Venticinque secoli fa c’era un solo caput mondi ed era Roma. Nell’era moderna ne sono emerse parecchie, di capitali mondiali: Parigi, Londra, Berlino, New York, Los Angeles. Palo Alto è venuto dopo. Non è facile spiegarsi perché una certa città diventi capitale mondiale. Ma salta subito agli occhi che il paesone di Palo Alto lo è diventato per ragioni diverse dagli altri caput mundi. È la capitale di Silicon Valley, e ciò spiega tutto. O dovrebbe.
Nella Seconda guerra mondiale, i tedeschi bombardavano Londra. I loro bombardieri sorvolavano Cambridge senza nemmeno farci caso. A Cambridge c’era il coprifuoco, e due studenti a turno, da una torretta, tenevano d’occhio i dintorni, casomai ai tedeschi venisse l’assurda idea di sganciare una bomba da quelle parti. Cambridge era una delle capitali mondiali dell’intelligenza, ma a bombardarla non c’era molto da guadagnarci. Infatti, salvo casi sporadici, nessuno ci volle perdere tempo o esplosivi.
Anche a Palo Alto c’è il coprifuoco in questi giorni. Che ci sia il coprifuoco a Washington D. C., la capitale USA, o a Los Angeles, lo sanno tutti. Il coprifuoco a Palo Alto, che conta sui 17.000 abitanti, fa uno strano effetto. Guasta anche un po’ la poesia di questi giorni di rivolta popolare generalizzata, perché la sommossa suburbana è un ossimoro, e sarebbe idiota promuoverla. Non meno di quanto lo sarebbe stato il bombardamento di Cambridge.
Non è che ci sia molto contro cui dimostrare in questa capitale mondiale della tecnologia. Se hai qualcosa di cui lamentarti con Apple, fermi Tim Cook mentre si compra lo yogurt da Whole Foods e glielo dici. E lui sta a ascoltarti. E le guardie del corpo? chiedete. Quali guardie del corpo? vi chiedo io.
Non lamentatevi che sto semplificando. Lo so bene che sto semplificando. Quel che sto cercando di suggerire è che in situazioni come quella attuale i progressisti si frammentano: c’è sempre qualcuno più a sinistra di te. È la destra che si compatta. (In questi giorni sto leggendo Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana.)
C’è molto da rubare a Palo Alto, invece, proprio perché è la capitale mondiale della tecnologia, ci vivono le mogli dei techie asiatici, che sono shopper professionali, e ci sono tanti negozi di lusso; i più ambiti a fini di razzia, tra questi negozi di lusso, sono le due enormi scatole di vetro di Apple. Dunque, da ieri abbiamo i negozi barricati e il coprifuoco.
Il commento più indovinato a questa novità del coprifuoco lo ha fatto mio figlio Tito. “Che differenza fa?” ha chiesto. “Cosa mai può fare la gente a Palo Alto dopo le otto di sera?” Il che è abbastanza vero. L’etica del lavoro dei techie americani è peggio che protestante.  (Lo dico con un certo rispetto.) La sera si va a dormire presto.
Il punto è un altro.
Il punto è che gli USA sono una società molto violenta, come dimostrano queste giornate, perché sono una società molto libera.
Un giorno al Cairo m’ero trovato a chiacchierare con un membro dell’Ambasciata USA. Eravamo a una festa data da un mio collega che, come me, era appena diventato professore alla American University. Io ero anche appena diventato cittadino americano, ed ero un entusiasta sostenitore della Costituzione USA. Lo sono ancora. La Costituzione USA è il frutto dell’unica rivoluzione anticolonialista veramente riuscita. È il frutto, pure, dell’illuminismo. L’illuminismo ha tanti difetti, ma ci ha aiutati a inventare i diritti universali. A me la transizione dalla giovinezza in Italia, dove non mi pareva tanto di avere dei diritti quando dei privilegi commensurati alla più o meno grande influenza della famiglia di origine, ai diritti della mia persona individuale negli USA, ha dato gioia enorme; la provo ancora.
Così, a quel party, ho fatto l’errore – che il membro dell’Ambasciata deve aver scambiato per un pitch ai servizi segreti – di spiegare che alla American University insegnavo la letteratura americana delle origini. E che per me, che agli occhi di tutti risultavo cittadino italiano, era oltremodo facile fare gli elogi (sinceri, come avrete capito) della grandezza e unicità della Costituzione USA. Dopo poche settimane al Cairo, lo avevo già compreso bene: un americano non avrebbe potuto parlare dello stesso argomento senza essere accusato di imperialismo. Io, come italiano, ero immune da simili accuse e potevo dire quel che pensavo. Potevo dire la verità.
(Adesso volete sapere se ci fu un seguito a questo pitch ai servizi segreti. Diciamo che ho ragione di pensare che ci sarebbe stato se lo avessi fatto di proposito. Ma siccome avevo detto semplicemente la verità, non sono mai diventato un agente segreto.)
Tutto questo mi serve per reiterare che è difficile immaginare, dall’estero, l’esperienza di libertà del cittadino americano. È sconfinata. Sconfina infatti, come in questi giorni, nel suo opposto.
Così come la libertà illimitata di possedere armi del cittadino americano sconfina nelle stragi di bambini nelle scuole.
Negli anni scorsi, molte scuole americane si sono fatte pattugliare da poliziotti armati, solitamente uno per scuola, al doppio fine di diminuire la minaccia incombente di strage e stabilire un rapporto di fiducia tra le famiglie e le forze dell’ordine preposte alla loro protezione. Di eliminarla del tutto, questa minaccia, non se ne parla nemmeno perché richiederebbe che un certo numero di cittadini veda lese le proprie libertà individuali. È di oggi la notizia che certe scuole del Minnesota hanno deciso di rinunciare alla protezione del poliziotto e al rapporto di fiducia instaurato con le famiglie, sebbene l’iniziativa abbia riscosso un buon successo nel tempo. La spiegazione ufficiale è che c’è il rischio, in quell’iniziativa, di ferire la sensibilità degli studenti di colore a causa della presenza d’un poliziotto in campus. State pensando che come spiegazione ufficiale è insoddisfacente, perché lascia di nuovo mano libera agli assassini di bambini. Ma il fatto che molti ignorano è che la società USA è egualitaria, ossia ognuno si adegua a pensare la stessa cosa (oppure l’opposto, a secondo del polo politico) allo stesso tempo; in questo momento, da sinistra, si pensa tutti in primo luogo al razzismo endemico e in secondo luogo, distanziato di parecchie lunghezze, al Covid19. Alle stragi di bambini torneremo a pensare dopo la prossima.
Quel che non avrei mai immaginato è che la nostra invidiabile libertà potesse sconfinare in una situazione tipo Anni-Trenta. Non è impossibile, insomma, che ci troviamo di fronte a una ripetizione in scala enorme della primavera araba: una Primavera Americana destinata a contagiare di autoritarismo i numerosi paesi del pianeta che non aspettano altro che adottare un governo autoritario che si regga sullo scontro sociale insanabile.
Quando leggevo Fritz il Gatto, subito dopo il ‘68, mi solleticava il pensiero di un paese dove i poliziotti venivano chiamati PIGS. Da giovane sei capace di tutto, ed è giusto in fondo che ti sia perdonato quasi tutto. Talvolta l’azzecchi, diventi partigiano (e se arriva la cavalleria (americana) al momento giusto, fai trionfare giustizia e libertà). Talvolta prendi un bell’abbaglio, diventi terrorista. Il caso vuole che io abbia lasciato l’Egitto poche settimane prima dell’insurrezione contro Mubarak. Dapprima mi è spiaciuto aver mancato di nuovo l’occasione che avevamo già mancato, mezzo secolo fa, tutti noi sessantottini. Ma non sono più un ragazzo e allora ho guardato la rivolta egiziana da vicino. Ha funzionato così: spargimento di sangue, vittoria apparente, sconfitta bruciante, repressione armata, dittatura. Temo che quella sia la planimetria obbligata di ogni rivoluzione. E penso che la rivoluzione americana sia stata l’unica, o almeno una delle poche della modernità, a contraddire quel pattern storico obbligato. A meno che gli americani non stiano per rimediare, con due secoli e mezzo di ritardo, all’occasione mancata di combinare un bel disastro. Trump è pronto.

 

 

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6 Commenti

  1. Non ho ben inteso la tesi espressa in questo pezzo: il movimento statunitense di denuncia delle violenze poliziesche e del razzismo che le legittima è considerato una sorta di sciagura, in quanto produrrà una controrivoluzione autoritaria in vari paesi del mondo, che non attendono altro? Quali sarebbero questi paesi? E perché voler assimilare una tale movimento con la primavera araba e in particolare il caso egiziano? I partecipanti al movimento di protesta statunitense vogliono abbattere l’attuale regime democratico, o semplicemente ne denunciano la contraddizione enorme che lo abita, e combattono perché questa contraddizione sia tolta, e tutti i cittadini americani siano trattati come tali?
    E che rapporto c’è tra una società “egualitaria” e il fatto che “ognuno si adegui a pensare alla stessa cosa”? Con questo s’intende dire che l’attuale movimento di protesta negli USA è frutto di un conformismo intellettuale, e non al contrario l’espressione di una condivisione ampia di uno sguardo critico sulle istituzioni del proprio paese?

    • Bello, Andrea. Bravo. Io ti conosco bene perché Jacopo Ramonda, il poeta, è mio cugino. Sono onorato che tu mi abbia letto. Tutto quello che dici è sacrosanto, e non contraddice quello che scrivo io. Il problema è solo che io commetto un sacrilegio, e mi permetto il registro dell’ironia persino in politica. Anyway. Credo fermamente che l’ondata autoritaria, principalmente nel mondo arabo, nell’Europa dell’est, in Africa, in America Latina, e probabilmente, alla lunga, sia nel paese dove risiedi che in quello dove sei nato, sia incontenibile. Spero di sbagliare. Ma gli USA (Trump è forte) non devono diventare la forza trainante di questa involuzione. Credo fermamente che i movimenti di protesta americani siano e siano sempre stati (a partire dal ’68) indecifrabili dal punto di vista di paesi e soggetti ignoranti del regime di libertà e diritti civili che caratterizza gli USA. Non credo di sbagliare. Mi rattrista infine come molti cittadini americani, essendo cresciuti ed istruiti esclusivamente in questo regime di diritti e libertà individuali, sovente portino ad esempio, come modelli alternativi della società civile, quelli di paesi che io ritengo di conoscere in un’altra luce. Ci sono due matrici non facilmente conciliabili nella tradizione politica e istituzionale americana: l’individualismo e l’egualitarismo. Io sottoscrivo al primo. Al momento attuale, mi risulta che parecchi storici concordino nel dire che il secondo ha prevalso sul primo. Tu sei un poeta, nemico dell’anonimato: l’egualitarismo ti ucciderebbe. È di stamani la notizia che, in tutta probabilità, la città di Minneapolis scioglierà del tutto il proprio corpo di polizia. Nel mio brano accenno all’egualitarismo per mettere in luce come certi politici, disposti a tutto pur di rimanere in carica, siano propensi a manipolare le opinioni. Le opinioni egualitarie, ovvero (in my book) omogenee, sono più facili da manipolare di quelle individualistiche. Se l’altro giorno ritenevo che sguarnire i campus delle scuole dal poliziotto (nero, sovente) adibito alla protezione degli studenti fosse una mossa populista irresponsabile, ritengo che sguarnire un’intera città dalle forze dell’ordine sia… Per me è surreale. Nel ’68 riuscivamo a stento ad autogestire i corsi di studio alternativi nelle università, e ora, di colpo, dei consiglieri comunali di provincia vogliono autogestire dal traffico stradale ai disastri naturali al disciplinamento della pandemia alla criminalità piccola e grande. Io ci ho abitato due anni a Minneapolis. È una città caratterizzata da conflitti e disarmonie sociali profondi. Le probabilità di successo dell’utopia dell’autogestione sono proporzionali al numero di vite che siamo disposti a sacrificare. Permettimi di tornare all’ironia, perché il discorso politico si riduce sempre a chi fa le liste più lunghe a favore del proprio punto di vista. Nel ’68, in tanti si è creduto nella dittatura del proletariato e nello spargimento di sangue che avrebbe inevitabilmente comportato. Bene, oggi, 8 giugno 2020, io mi dichiaro contrario a qualsiasi spargimento di sangue.

  2. Bello, Andrea. Bravo. Io ti conosco bene perché Jacopo Ramonda, il poeta, è mio cugino. Sono onorato che tu mi abbia letto. Tutto quello che dici è sacrosanto e non contraddice quello che scrivo io. Non ho niente da ridire contro la tua retorica della protesta. Il problema è solo che io commetto un sacrilegio, e mi permetto il registro dell’ironia persino in politica. Anyway. Credo fermamente che l’ondata autoritaria, principalmente nel mondo arabo, nell’Europa dell’Est, in Africa, in America Latina, e probabilmente, alla lunga, sia nel paese dove credo tu risieda che in quello dove sei nato, sia incontenibile. Spero di sbagliare. Ma gli USA (Trump è forte) non devono diventare la forza trainante di questa involuzione. Credo fermamente che i movimenti di protesta americani siano e siano sempre stati (a partire dal ’68) indecifrabili dal punto di vista di paesi e soggetti ignoranti del regime di libertà e diritti civili che caratterizza gli USA. Non credo di sbagliare. Mi rattrista infine come molti cittadini americani, essendo cresciuti ed istruiti esclusivamente in questo regime di diritti e libertà individuali, sovente portino ad esempio, come modelli alternativi della società civile, quelli di paesi che io ritengo di conoscere in un’altra luce. Ci sono due matrici non facilmente conciliabili nella tradizione politica e istituzionale americana: l’individualismo e l’egualitarismo. Io sottoscrivo al primo. Al momento attuale, mi risulta che parecchi storici concordino nel dire che il secondo ha prevalso sul primo. Tu sei un poeta, nemico dell’anonimato: l’egualitarismo ti ucciderebbe. È di stamani la notizia che, in tutta probabilità, la città di Minneapolis scioglierà del tutto il proprio corpo di polizia. Nel mio brano accenno all’egualitarismo per mettere in luce come certi politici, disposti a tutto pur di rimanere in carica, siano propensi a manipolare le opinioni. Le opinioni egualitarie, ovvero (in my book) omogenee, sono più facili da manipolare di quelle individualistiche; con una mossa sola ti procacci migliaia di voti favorevoli. Se l’altro giorno ritenevo che sguarnire i campus delle scuole dal poliziotto (nero, sovente) adibito alla protezione degli studenti fosse una mossa populista irresponsabile, ritengo che sguarnire un’intera città dalle forze dell’ordine sia… Per me è surreale. Nel ’68 riuscivamo a stento ad autogestire i corsi di studio alternativi nelle università, e ora, di colpo, dei consiglieri comunali di provincia vogliono autogestire l’ordine pubblico – dal traffico stradale ai disastri naturali al disciplinamento della pandemia alla criminalità piccola e grande. Io ci ho abitato due anni a Minneapolis. È una città caratterizzata da conflitti e disarmonie sociali profondi. Le probabilità di successo dell’utopia dell’autogestione sono proporzionali al numero di vite che siamo disposti a sacrificare. Permettimi di tornare all’ironia, perché il discorso politico si riduce sempre a chi fa le liste più lunghe in favore del proprio punto di vista. Nel ’68, in tanti si è creduto nella dittatura del proletariato e nello spargimento di sangue che avrebbe inevitabilmente comportato. Bene, oggi, 8 giugno 2020, io mi dichiaro contrario a qualsiasi spargimento di sangue.

  3. Beh, il mondo è davvero piccolo. Piacere di conoscerti Gian, e in effetti sono amico e apprezzo molto il lavoro di Jacopo. Ti ringrazio della risposta articolata, ma ancora mi sfugge una cosa. Nel 1992, dopo il verdetto che assolse i picchiatori di Rodney King, a Los Angeles si scateno’ l’inferno, e ci furono migliaia di feriti e più di cinquanta persone uccise. Posto che anche in Francia le periferie esplodono sempre in conseguenza di un’uccisione di cui è responsabile la polizia, questa volta a trent’anni di distanza dal caso King, oltre agli incendi e ai saccheggi, c’è stato un movimento di protesta su scala nazionale mai visto, e di protesta per lo più pacifica e sufficientemente organizzata. E non solo questo movimento di protesta sembra avere un impatto potente sugli USA nonostante (o forse anche grazie a) Trump. Ma tale movimento ha innescato un eco in Europa e in altri paesi del mondo, con conseguenza anche queste molto importanti. E’ notizia di questa sera che in Francia il ministro degli interni sospende l’utilizzo da parte della polizia del “soffocamento”, tecnica legittima per mettere un individuo a terra (è cosa diversa dal “placage ventrale”, ossia il blocco a terra faccia in giù). Insomma, fino ad ora abbiamo assistito al contrario di uno spargimento di sangue indiscriminato, e questo anche per la maturità politica che negli anni recenti di Black lives matter il movimento di protesta afroamericano sembra aver assunto. Insomma, tutto cio’, assieme all’ arresto del poliziotto Chauvin immediato e l’accusa di omicidio volontario sembrano segnali piuttosto positivi, sopratutto se li confrontiamo alla vicenda Rodney King.

    • Grazie della domanda, Andrea.
      Siccome me lo sento, che non riuscirò a concludere con la massima che ho in mente, devo usarla in apertura. La formulazione della frase è una scelta etica.
      Lo scrivo con cautela perché Jacopo Ramonda potrebbe pensare che sto dicendo che la frase va limata e cesellata. No, la puoi anche scrivere di getto, ma deve scaturire da una scelta etica.
      Perdonami, è evidente che oggi devo procedere per aforismi.
      Negli USA si fa un gran parlare dell’analogia tra il ’68 e le proteste di questi giorni. Si torna a consultare Jessie Jackson (che, bofonchiando, m’è parso rifiutare l’analogia) e il resto della leadership sopravvissuta da quei tempi. (Un ultimo sprazzo di gloria per noi boomers.)
      Se non fosse stato per il ’68, sarei un impiegato di banca (in pensione) nel mio paese natale, Carrù. Il direttore della banca “doveva un favore” a mio padre. Quell’impiego sarebbe stato il favore. Un bell’emblema dell’Italia. Invece il ’68 m’ha fatto decollare diversamente. A Carrù me lo rimproverano ancora, d’aver fatto il ’68. È stata la Chiesa, onnipresente laggiù, a portare a termine, con decenni di ritardo, il lavoro del ’68. Adesso trovo, se càpito da quelle parti, gente che “tollera” (o “ama” cattolicamente) gli immigrati, gli extra-comunitari, i gay, le lesbiche, e gli scioperanti. Ma a me, d’aver fatto l’Autunno Caldo con gli operai del Sud di Torino, praticato in anticipo la rivoluzione sessuale e la sessualità fluida, e non essere entrato in banca, mica l’hanno ancora perdonato. Ecco un bell’esempio di egualitarismo, il nemico dell’individualismo.
      Sto dicendo che certe ondate di protesta hanno effetti duraturi sia macro, a livello politico, sia micro, a livello individuale. In certi casi, contano di più quelli individuali.
      È certo che molti dei miei “compagni di lotta” sono poi entrati nell’azienda del papà, altro che catena di montaggio FIAT!
      Ma se hai avuto la pazienza di seguirmi fin qui, adesso parlerò a livello macro.
      Quando è saltato fuori Cinque Stelle da queste parti, ho cercato di spiegare a quei ragazzi che la politica la si impara sui testi di Lenin: tattica e strategia. (Non sono un tipo persuasivo, a giudicare dai risultati.)
      I miei appunti da Palo Alto erano animati da una preoccupazione strategica.
      La sinistra soffre da sempre di un complesso di superiorità. Una volta lo giustificavamo perché a noi riusciva di leggere Das Kapital, e a loro no. Ormai è solo più un lascito, un’inerzia ereditata dal passato. Berlusconi è stupido. Salvini è stupido. Reagan era stupido. Arnold Schwarzenegger è stupido. George W. Bush è stupido. Trump è stupido.
      Se facessimo invece lo sforzo di capire che il politico alla Trump non è il policy maker alla Condoleezza Rice, sarebbe un enorme passo avanti. Dalla seconda ci aspettiamo discorsi forbiti di scienza politica. (Ho qui nella stanza accanto una testa calda che direbbe: “Però non le riescono mai.”) Da Trump, i suoi sostenitori, e ne ha moltissimi, si aspettano esattamente quel che produce da più di tre anni a questa parte. TRUMP È UN GENIO DELLA POLITICA CONSERVATRICE PIÙ RADICALE. Ergo, semplicemente, scrivevo quegli appunti in un clima da coprifuoco, preoccupato che ad approfittarne non fosse solo la colonna di auto che si preparava a saccheggiare le strade di Palo Alto. Quella, mi dicono, l’ha bloccata – guarda un po’ – la polizia. (La fonte è fidata.) Ero preoccupato che l’esercito scendesse in strada; di lì in avanti il copione sarebbe stato obbligato.
      Stando ai media progressisti, quel pericolo è rientrato. Non che i media progressisti l’azzecchino sempre, anzi.
      Se il movimento di protesta otterrà di smorzare oppure di accelerare la svolta autoritaria in corso sul pianeta, va ben al di là delle mie capacità di previsione.
      Tu non lo sai, ma sono anch’io scrittore.
      Neanche oggi ho formulato una singola frase politicamente corretta a proposito della protesta in corso. Penso sia perché, come scrittore, aderisco all’etica del lavoro protestante. L’originalità costa tempo e fatica. No short cuts. (Nota per Jacopo: confesso che non c’è una singola parola scritta di getto in questa pagina.) Giacomo Sartori lo sa bene: una volta (non molti anni fa) ero grafomane. Ora, nelle rare occasioni in cui metto mano alla penna, cerco di non imitare nessuno, nemmeno me stesso.
      Non dico d’avere ragione.
      Non dico nemmeno di aver risposto con chiarezza alla tua domanda.
      Un abbraccio fraterno, se posso.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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