Buena Vista Social: Basaglia legge il destino

Questa nuova rubrica è dedicata alle “cose belle” trovate sui Social, a dimostrazione del fatto che fare rete è oggi, più che mai, una risorsa. effeffe

Il Franco destino

di

Isabella Borghese

La mia adolescenza racconta gli anni in cui ho iniziato a confrontarmi con la malattia mentale. Gli anni in cui ho iniziato a conoscere mio padre prima di tutto come un individuo a sé, un essere umano. Mi sono scontrata con la mia incapacità di accettare il suo bipolarismo, con quella forza, anche, che mi ha portata per anni a odiarlo, a combattere contro i suoi mostri, contro tutto quello che di male accadeva alla sua vita e inevitabilmente al modo in cui noi in famiglia subivamo ogni suo comportamento, figlio di eccessi – fasi up e fasi down – difficili da affrontare. Scappare da e tornare a casa era la mia abitudine. Nell’anno più complicato della mia vita personale, rispetto al mio rapporto con lui, un evento specifico mi mise davanti a una scelta: o mi faccio del male o cerco aiuto. O cerco di salvaguardarmi o mi distruggo. Il contesto sociale in cui vivevo mi aiutò molto; le mie amiche del cuore di allora e i miei amici, sono i miei congiunti di oggi.

Così, grazie anche a loro, cercai e parlai con uno degli psichiatri che seguiva mio papà e fui affidata a una psicologa – affidare è il verbo per me più adatto – e intrapresi così il mio percorso terapeutico più importante, di certo il più incisivo nella mia vita. Quello che oggi, direi, mi indicò la direzione migliore, quella della cura. Prima della mia, poi di quella che io potevo avere per lui in una condizione di consapevolezza e accettazione della sua malattia. Ho avuto la fortuna di interfacciarmi ed essere accolta dai medici che negli anni lo hanno curato ogni volta che un dubbio o una paura mi assalivano con forza. A volte, mi rendo conto, di avere avuto quasi la pretesa di essere aiutata, e solo perché volevo e dovevo stare bene. Ma stare bene non è sempre facile. È spesso frutto di una profonda volontà, di un percorso che si sceglie di intraprendere con metodo, rigore, e guidati dalla ragione, perché se essa la si abbandona è più facile che l’istinto ci porti a crollare, a perdere la lucidità.

Se non ci fosse stato Franco Basaglia mio padre sarebbe finito in un manicomio e non avremmo potuto lottare, ciascuno da solo, e anche insieme per la sua vita e quella di noi tutti familiari. Non avrei potuto confrontarmi con gli psichiatri che lo seguivano e con cui avevo spesso colloqui, non avrei familiarizzato con la sensibilità e la fragilità diversa con cui ciascuno è chiamato a vivere. Quando è morto Guido Martinotti, uno degli psichiatri che lo ha avuto in cura e in clinica per molti anni, a periodi alternati, ho sentito di aver perso un altro padre, perché chiunque si prende cura dei nostri cari e di noi con la dedizione che sapeva metterci Martinotti, è una guida. Un riferimento. Ma tutto questo senza Franco Basaglia, non ci sarebbe potuto essere. Dobbiamo a lui il grande merito di riconoscere il valore di ogni essere umano. Anche per questo, grazie a Franco Basaglia, a 42 anni dalla Legge che porta il suo nome, i suoi ideali, la sua umanità.

Roma 12 maggio 2020.

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2 Commenti

  1. Grazie a Isabella per aver scritto e a Francesco per aver ospitato Isabella.
    Si parla troppo poco di questi retroscena, della vita dura che sta nel duro, che a volte scarnifica, a volte va in piena. E quanto vorrei fosse ancora vivo Basaglia, anche solo per vedere quanto delle sue idee stia andando sfumando in una società che ci vorrebbe tutti uguali, con lo stampino, formattati, e che ha disumanizzato l’umano che si ritrova di nuovo dietro alle sbarre che hanno il nome diverso (spdc) ma che spesso sono come manicomi. Spero presto di tornare a dar voce anch’io a queste sofferenze – ma anche agli spiragli di cure buone di cui scrivi.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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