L’indoratrice a fuoco. Eavan Boland: un ritratto
di Viviana Fiorentino
Il 27 Aprile scompare Eavan Boland (1944-2020). Una delle più grandi poete d’Irlanda, Eavan avrebbe dovuto ritirare il premio Irish PEN 2019 proprio in questi mesi. Ci ha lasciato, ma abbiamo solo appena iniziato a considerare con dovuta attenzione il suo contributo alla cultura irlandese e alla letteratura in genere. Infatti, ricordare Eavan Boland significa anche ricordare quanto la storia della letteratura, in Irlanda come in Italia, sia stata una storia di potere e soppressione a danno della scrittura delle donne, da sempre marginalizzata, se non altro, da editori, scrittori e accademici. Le nostre letterature sono ancora monche nelle antologie scolastiche, per esempio. E se adesso si comincia a porre attenzione alla scrittura delle donne, ancora forti sono le spinte per una canonizzazione maschile persino delle voci femminili e di tutte quelle che sono considerate devianti dalla norma. Eavan Boland ha combattuto e rotto questo “canone” durante tutta la sua carriera e vita come donna. Erano i primi anni sessanta quando pubblicò la sua prima raccolta di poesie, nella quale parla della sua esistenza come giovanissima moglie, madre e studentessa universitaria.
Irish PEN la ricorda come una scrittrice pionieristica, coraggiosa, impegnata. Ma soprattutto come una scrittrice senza paura, capace di stroncare editori prominenti al Field Day della fine degli anni 80, scrittori e accademici che “dimenticarono” di includere le così numerose scrittrici irlandesi nella “Anthology of Irish writing”. Eavan, che era stata inclusa, protestò con rabbia all’esclusione delle sue coetanee segnando una svolta nella storia della letteratura irlandese.
Nel 1994, ritornerà con coraggio sullo stesso tema, con un discorso intitolato “Gods Make Your Own Importance” pronunciato sotto gli auspici della Poetry Book Society. Qui uno stralcio: “Sono una poeta irlandese. Una poeta donna. Nella prima categoria accedo con un certo angolo alla tradizione della lingua inglese. Nella seconda, accedo con un angolo ancora più inclinato alla mia stessa tradizione. Devo essere sincera riguardo a ciò perché, ovviamente, queste due identità danno forma e rimodellano ciò che ho da dire oggi. L’autorità del poeta – quel tema ampio e stimolante – è davvero, nel mio caso, una serie di istinti e intuizioni. La differenza nel mio caso è che mentre molti poeti guardano al passato per la storia stessa di quell’autorità, io non lo faccio più. Ho smesso di ascoltare quella storia che conferisce automaticamente autorità al poeta e di conseguenza automaticamente importanza alla poesia. Invece, vedo adesso solo una narrazione soppressa.”* Sulla pagina del Irish PEN, Lia Mills – scrittrice di racconti, narrativa e saggistica – ricorda A Kind of Scar: The Woman Poet in a National Tradition, una pubblicazione della influente Attic Press degli anni 80 nella quale la Boland sfida alcune delle “vacche sacre” della poesia irlandese usando la propria diretta esperienza come obiettivo di messa a fuoco. Eavan, non è stata, difatti, solo una poeta, ma una donna coraggiosa e radicale, capace di anticipare con i suoi interventi ciò che poi si è realizzato molti anni dopo in Irlanda: la sovversione e la ribellione a un punto di vista esclusivamente maschile nella letteratura dell’isola. Lia Mills ricorda anche l’Eavan Boland che “aveva un modo di perforare il nucleo delle parole e spostare il nostro angolo di percezione. Spostamenti non sempre confortevoli, ma efficaci.”
Nata a Dublino nel 1944, nel corso della sua lunga carriera, Eavan Boland ha affinato e saputo raccontare l’ordinario nella vita. Nelle sue numerose raccolte di poesie, nel suo libro di memorie in prosa Object Lessons (1995), come anche nel suo lavoro di antologista e insegnante, ha sempre sovvertito le costruzioni tradizionali della femminilità, per offrire nuove prospettive, sulla cultura, sulla storia e persino sulla mitologia irlandese.
Figlia di padre diplomatico e madre pittrice, Boland ha trascorso la sua infanzia a Londra e New York, tornando in Irlanda per frequentare la scuola secondaria a Killiney e successivamente l’università al Trinity College di Dublino. Ancora studentessa, pubblicò la sua prima raccolta, 23 Poems (1962), nella quale esplora le sue esperienze come giovane moglie e madre e la sua crescente consapevolezza del ruolo problematico delle donne nella storia e nella cultura irlandese. In una intervista sul sito web «A Smartish Pace», la stessa Boland ci descrive la “situazione difficile” dei suoi primi anni come poeta: “Ho iniziato a scrivere in un’Irlanda in cui la parola donna e la parola poeta sembravano essere in una sorta di opposizione magnetica” (…) “Volevo parlare della vita che avevo vissuto. E la vita che ho vissuto è stata la vita di una donna. E non potevo accettare la possibilità che la vita della donna non potesse, o non volesse essere, nominata nella poesia della mia stessa nazione”.
L’amica e poeta Mary Robinson la ricorda come una poeta molto pratica, “una che ha saputo fin da subito come usare un computer”. Adorava insegnare, credeva che l’insegnamento “generasse ossigeno” – ossigeno letterario. Eilís Ní Dhuibhne, drammaturga, scrittrice di racconti e romanziera, racconta di una Eavan coraggiosa, schietta, passionale e di come citasse sempre durante le sue lezioni un partecipante anonimo di un passato seminario, una donna che avrebbe detto: “Se sapessero che ho scritto poesie, la gente penserebbe che non lavo le finestre di casa.” Racconta ancora di lei Eilís Ní Dhuibhneci: “Era così intelligente, sicura di sé, eloquente, (…) Nella sua poesia, è stata rivoluzionaria: ha confermato che nutrire un bambino, tirare fuori bottiglie di latte, vivere “in periferia” può essere roba per la poesia.”
Il suo quinto libro, In Her Own Image (1980), portò alla Boland riconoscimenti e consensi internazionali. Esplorando argomenti come la violenza domestica, l’anoressia, l’infanticidio e il cancro, il libro ha testimoniato la continua attenzione e preoccupazione della Boland perché non venissero forniti ritratti imprecisi, ipocriti e ovattati delle donne nella letteratura e nella società irlandese.
Eavan Boland ha ricevuto numerosi riconoscimenti durante la sua lunga carriera, tra cui il Lannan Foundation Award, il PEN Award per la saggistica creativa con A Journey with Two Maps: Becoming a Woman Poet, la Corrington Medal per Literary Excellence e la Bucknell Medal of Distinction. Ha conseguito lauree honoris causa dalla, tra le altre, University College di Dublino, dal Trinity College di Dublino e dalla Strathclyde University in Scozia. Nel 2016, è stata nominata membro dell’American Academy of Arts and Sciences e nel 2017 è stata eletta membro onorario della Royal Irish Academy. Viveva tra Palo Alto e Dublino. La sua raccolta di poesie The Historians uscirà postuma questo autunno.
Come scrittrice e donna, vorrei ringraziare Eavan Boland, a nome di tutte le scrittrici donne, per il tuo straordinario sostegno verso le donne, le poete e le scrittrici emarginate.
Qui di seguito alcune sue poesie tradotte in italiano.
The fire gilder
She loved silver, she loved gold,
my mother. She spoke about the influence
of metals, the congruence of atoms,
the art classes where she learned
these things: think of it
she would say as she told me
to gild any surface a master craftsman
had to meld gold with mercury,
had to heat both so one was volatile,
one was not
and to do it right
had to separate them and then
burn, burn, burn mercury
until it fled and left behind
a skin of light. The only thing, she added—
but what came after that I forgot.
What she spent a lifetime forgetting
could be my subject:
the fenced-in small towns of Leinster,
the coastal villages where the language
of the sea was handed on,
phrases bruised by storms,
by shipwrecks. But isn’t.
My subject is the part wishing plays in
the way villages are made
to vanish, in the way I learned
to separate memory from knowledge,
so one was volatile, one was not
and how I started writing,
burning light,
building heat until all at once
I was the fire gilder
ready to lay radiance down,
ready to decorate it happened
with it never did when
all at once I remember what it was
she said: the only thing is
it is extremely dangerous.
L’indoratrice a fuoco
Amò l’argento, amò l’oro,
mia madre. Parlava dell’influsso
dei metalli, della congruenza di atomi,
di lezioni d’arte dove imparava
queste cose: pensaci
avrebbe detto mentre mi spiegava
come dorare qualsiasi superficie un maestro artigiano
doveva fondere oro con mercurio,
doveva riscaldare entrambi poiché uno era volatile,
uno non lo era
e per farlo bene
si doveva tenerli separarti e poi
bruciare, bruciare, bruciare mercurio
fino a quando esso volava via e lasciava alle spalle
una pelle di luce. L’unica cosa, aggiunse lei –
ma quello che disse dopo lo dimenticai.
Il suo trascorrere una vita dimenticando
potrebbe essere il mio tema:
le cittadine recintate del Leinster,
i villaggi costieri dove la lingua
del mare è stata tramandata,
frasi contuse da tempeste,
da naufragi. Ma non lo è.
Il mio tema è la parte che magari inscena
come i villaggi sono stati
fatti scomparire, come ho imparato
a separare la memoria dalla conoscenza,
poiché una era volatile, una non lo era
e come ho iniziato a scrivere,
a bruciare luce,
prendere calore finché d’un tratto
divenni l’indoratrice a fuoco
pronta a stendere luminosità,
pronta a decorare il è accaduto
con mai fatto poi
d’un tratto mi ricordo cos’era
lei disse: l’unica cosa è che
è estremamente pericoloso.
The Pomegranate
The only legend I have ever loved is
the story of a daughter lost in hell.
And found and rescued there.
Love and blackmail are the gist of it.
Ceres and Persephone the names.
And the best thing about the legend is
I can enter it anywhere. And have.
As a child in exile in
a city of fogs and strange consonants,
I read it first and at first I was
an exiled child in the crackling dusk of
the underworld, the stars blighted. Later
I walked out in a summer twilight
searching for my daughter at bed-time.
When she came running I was ready
to make any bargain to keep her.
I carried her back past whitebeams
and wasps and honey-scented buddleias.
But I was Ceres then and I knew
winter was in store for every leaf
on every tree on that road.
Was inescapable for each one we passed.
And for me.
It is winter
and the stars are hidden.
I climb the stairs and stand where I can see
my child asleep beside her teen magazines,
her can of Coke, her plate of uncut fruit.
The pomegranate! How did I forget it?
She could have come home and been safe
and ended the story and all
our heart-broken searching but she reached
out a hand and plucked a pomegranate.
She put out her hand and pulled down
the French sound for apple and
the noise of stone and the proof
that even in the place of death,
at the heart of legend, in the midst
of rocks full of unshed tears
ready to be diamonds by the time
the story was told, a child can be
hungry. I could warn her. There is still a chance.
The rain is cold. The road is flint-coloured.
The suburb has cars and cable television.
The veiled stars are above ground.
It is another world. But what else
can a mother give her daughter but such
beautiful rifts in time?
If I defer the grief I will diminish the gift.
The legend will be hers as well as mine.
She will enter it. As I have.
She will wake up. She will hold
the papery flushed skin in her hand.
And to her lips. I will say nothing.
La melagrana
L’unica leggenda che io abbia mai amato è
la storia di una figlia persa all’inferno.
E trovata e salvata lì.
Amore e ricatto ne sono l’essenza.
Cerere e Persefone i nomi.
E la cosa migliore di questa leggenda è
che posso accederle da dovunque. E averla.
Da bambina in esilio in
una città di nebbie e strane consonanti,
la lessi per la prima volta e io per prima ero
una bambina esiliata nel crepuscolo crepitante degli
inferi, di stelle bruciate. Più tardi
venni fuori in un tramonto estivo
alla ricerca di mia figlia all’ora di dormire.
Quando veniva di corsa ero pronta
a qualsiasi patto pur di trattenerla.
Le portai sorbi
e vespe e le Buddleja profumate di miele.
Ma allora ero Cerere e sapevo
l’inverno era imminente per ogni foglia
su ogni albero della strada.
Era inevitabile per ciascuno che incontravamo.
E per me.
È inverno
e le stelle sono segrete.
Salgo le scale e mi fermo dove posso vedere
mia figlia dormire accanto alle sue riviste da adolescente,
la sua lattina di Coca-Cola, il suo piatto di frutta intonsa.
La melagrana! Come ho potuto dimenticarla?
Sarebbe potuta tornare a casa ed essere al sicuro
e finita la storia e tutta l’intera
nostra affranta ricerca ma lei allungò
una mano e colse la melagrana.
Tirò fuori la sua mano e tirò giù
il suono francese per mela e
il rumore della pietra e la prova
che anche nel luogo della morte,
nel cuore della leggenda, nel mezzo
di rocce piene di lacrime non versate
pronte a essere diamanti quando
la storia fu raccontata, un bambino può essere
affamato. Potrei avvertirla. C’è ancora una possibilità.
La pioggia è fredda. La strada è color selce.
La periferia ha auto e televisione via cavo.
Coperte da un velo le stelle sono al di sopra della terra.
È un altro mondo. Ma cos’altro
può una madre dare a sua figlia se non
bellissime fessure del tempo?
Se allontano il dolore, diminuirò il dono.
La leggenda sarà la sua come la mia.
Vi accederà. Come ho fatto io.
Si sveglierà. E terrà
la sottile membrana arrossata nella mano.
E alle sue labbra. Non dirò nulla.
My Country In Darkness
After the wolves and before the elms
the bardic order ended in Ireland.
Only a few remained to continue
a dead art in a dying land:
This is a man
on the road from Youghal to Cahirmoyle.
He has no comfort, no food and no future.
He has no fire to recite his friendless measures by.
His riddles and flatteries will have no reward.
His patrons sheath their swords in Flanders and Madrid.
Reader of poems, lover of poetry—
in case you thought this was a gentle art
follow this man on a moonless night
to the wretched bed he will have to make:
The Gaelic world stretches out under a hawthorn tree
and burns in the rain. This is its home,
its last frail shelter. All of it—
Limerick, the Wild Geese and what went before—
falters into cadence before he sleeps:
He shuts his eyes. Darkness falls on it.
Il mio paese nell’oscurità
Dopo i lupi e prima degli olmi
Finì l’ordine dei bardi in Irlanda.
Solo pochi rimasero a continuare
Un’arte morta in una terra morente:
Questo è un uomo
sulla strada da Youghal a Cahirmoyle.
Non ha conforto, né cibo né futuro.
Non ha fuoco per recitare battute senza amici.
Non avranno i suoi enigmi e le sue adulazioni ricompensa.
Nascondono i suoi mecenati le loro spade nelle Fiandre e a Madrid.
Lettore di liriche, amante della poesia—
nel caso tu pensassi essa fosse un’arte gentile
segui quest’uomo in una notte senza luna
fino a quel letto miserabile che si dovrà preparare:
Il mondo gaelico si stende sotto un albero di biancospino
e brucia nella pioggia. Questa è la sua casa,
il suo ultimo fragile rifugio. Tutto questo—
Limerick, le oche selvatiche e ciò che è accaduto prima—
vacilla nella cadenza prima che lui dorma:
Chiude gli occhi. L’oscurità cade su tutto.
Quarantine
In the worst hour of the worst season
of the worst year of a whole people
a man set out from the workhouse with his wife.
He was walking — they were both walking — north.
She was sick with famine fever and could not keep up.
He lifted her and put her on his back.
He walked like that west and west and north.
Until at nightfall under freezing stars they arrived.
In the morning they were both found dead.
Of cold. Of hunger. Of the toxins of a whole history.
But her feet were held against his breastbone.
The last heat of his flesh was his last gift to her.
Let no love poem ever come to this threshold.
There is no place here for the inexact
praise of the easy graces and sensuality of the body.
There is only time for this merciless inventory:
Their death together in the winter of 1847.
Also what they suffered. How they lived.
And what there is between a man and woman.
And in which darkness it can best be proved.
Quarantena
Nell’ora peggiore della stagione peggiore
Dell’anno peggiore di un intero popolo
un uomo partì dalla workhouse con sua moglie.
Stava camminando – entrambi stavano camminando – verso nord.
Lei era malata per la febbre da carestia e non riusciva a tenere il passo.
Lui la sollevò e la mise sulla schiena.
Camminò così verso ovest e ovest e nord.
Finché sotto stelle gelide al calar della notte arrivarono.
Al mattino entrambi furono trovati morti.
Di freddo. Di fame. Delle tossine di un’intera storia.
Ma i piedi di lei premevano contro il suo sterno.
L’ultimo calore della sua carne fu il suo ultimo dono per lei.
Non lasciate che nessuna poesia d’amore arrivi mai a questa soglia.
Non c’è posto qui per l’inesatta
lode alle facili grazie e alla sensualità del corpo.
C’è solo tempo per questo impietoso inventario:
La loro morte insieme nell’inverno del 1847.
E quello che hanno sofferto. Come hanno vissuto.
E cosa c’è tra un uomo e una donna.
E in quale oscurità essa può essere messa alla più dura prova.
*‘I am an Irish poet. A woman poet. In the first category I enter the tradition of the English language at an angle. In the second, I enter my own tradition at an even more steep angle. I need to be candid about this because, of course, these two identities shape and re-shape what I have to say today. The authority of the poet – that broad and challenging theme – is really, in my case, a series of instincts and hunches. The difference in my case, is that while many poets look to the past for the story of that authority, I no longer do so. I have stopped listening to the story which grants automatic authority to the poet and automatic importance to the poem. Instead, I have come to see a suppressed narrative.’ (Eavan Boland – stralcio dal discorso “Gods Make Your Own Importance” per la Poetry Book Society, 1994)