B7: UN ATTENTATO ATTENTO
di Liliane Giraudon
traduzione di Silvia Marzocchi
[Presentiamo qui l’ultima sezione del libro di poesia Le travail de la viande di Liliane Giraudon uscito nel 2019 per P.O.L. Questo testo è dedicato alla scrittrice Hélène Bessette, di cui abbiamo proposto su NI delle traduzioni inedite sempre a cura di Silvia Marzocchi. In coda al pezzo, due miei testi critici sul lavoro poetico dell’amica Liliane, che è già apparsa nella rubrica dispatrio qui e qui grazie alle traduzioni di Andrea Raos. Ringraziamo infine l’autrice e l’editore. A. I.]
La vita e la morte non sono quello che pensiamo
Prima o dopo il matrimonio
Qualcuno si divertiva a uccidere
Ci sono i ricchi e i poveri
E Louise? Louise è morta
Più le cose cambiano più tutto resta uguale
Lo stesso stadio nella criminalità
Qualcosa di vago
Di non detto
Di non dicibile
Hanno detto: “è attraente” “è frivola”
Chi sono queste persone?
Chi mi sta dietro?
“È una donna da evitare”
L’incidente di Yvan è stato prima o dopo il matrimonio?
E chi sorvegliava chi?
Di che volantini state parlando?
Non eravamo i soli a distribuire volantini
E il gattino l’abbiamo tenuto
Ho preso un posto da segretaria
Più le cose cambiano più tutto resta uguale
Innamorato di me? Ha voglia di scherzare…
E di che amore si tratterebbe?
Tutto è possibile
Tranne una soluzione sentimentale
Chi mi sta dietro?
Chi detesta il colore dei miei capelli?
Per vent’anni. Per trent’anni
Chi mi sta dietro?
Ho dormito. Dormo molto
Sono esterrefatta di vivere ancora
Di essere una vecchia
Un vero western
Charlot cercatore d’oro
Una cavalcata senza fine
Una corsa a perdifiato. Una fuga folle
Per sfuggire
Sfuggire loro
Tu non c’eri al mio matrimonio
Era persa in partenza quindi
È un momento senza lettura
Senza letteratura
Romanzo incompiuto
Provvisorio e sommario
La grammatica in demolizione non appiana il dramma
Lady Martinetti non muove la testa
Da oggi in poi
da un uomo passeremo a due uomini
a dieci uomini
a milioni di uomini
Il piccolo manuale per la Scuola Elementare
è di una efficacia indiscussa
È morto e non per questo gli piaccio di più
“Sarebbe questa la vamp?” dice il nuovo pastore
Non sono invitata al tè
né alla cena stasera
sin d’ora le loro parole mi danno congedo
Quanti anni avevi? Venti?
Non ho segnato con una croce
sulla mia agenda
Il giorno in cui non c’eri più
Non ne so più di voi
Non so niente o talmente poco
Non so granché
È stancante scrivere ancora
Senza sapere dove dormi
Il fodero e i guanti
li hanno trovati sul divano
Adesso le stanze sono vuote
Un vuoto sorprendente
Si sente ancora la vita pulsare
o la sofferenza
Non so niente
Non so da dove né come viene la voce
Il seguito – La fine – La spiegazione
Mi mancano
Dormo
Sogno: so farlo
È andato a prenderla in stazione
Non lei. Un’altra
È lavoro da uomini
Se c’è qualcuno da buttar fuori, è lo sconosciuto
L’uomo della finestra probabilmente
O la sofferenza
L’odore pesante delle tragedie repentine
Un odore persistente
Un vuoto vivente
Sconosciuti contro sconosciuti
Sconosciuti tra di loro
Sconosciuti gli uni agli altri
Un’azione data
Come a teatro
Chi è quest’uomo?
Chi è questa donna?
Le azioni e i pensieri
Come le persone e le situazioni
Racchiudono una controfigura
No, non sono contagiosa
Più le cose cambiano più tutto resta uguale
L’uomo ammazzato l’altro giorno?
Non aveva i documenti
Nessuno l’ha riconosciuto
I grandi viaggi sono un rischio che non posso permettermi
La prostituzione esotica
“La route noire”
I rastrellamenti tra cantine e granai
Le case nei prati
Non so più che parola
Né che frase
Né chi piangessi
Né chi fosse morto
So di avere torto
Che tutto va storto e male
Il giorno in cui te ne sei andata
“Si” soggetto indefinito soffre
In maniera infinita e non definita
Ma certa
Ce ne andiamo a New York dice G.
“Responsabilità” “Gran vita”
Taci saresti capace di compromettere la mia posizione
Sono allibita di essere vecchia
Pensavo davvero di non esserlo mai
Avevamo molti fidanzati
E forse si sfugge
Come i domestici
Le cuoche
Durante 10 anni
Durante 20 anni
Durante 30 anni
Durante 60 anni
Tutto ricomincia
Sono sbigottita di vivere ancora
Ecco il punto morto
L’attimo zero
“Dov’eravate durante tutta la mia vita?”
Qualcosa di guasto
Non il cuore né i polmoni né le viscere
Qualcosa di invisibile che non ne può più
Senza fiato per la parola fine
Perché è finita
E adesso
Nel silenzio immobile del tempo
Ti scrivo
*
ADDENDA
Hélène Bessette a Marsiglia. Qui si è imbarcata e per un breve periodo ha pensato di cercare un lavoro. Magari anche di viverci.
Sempre in questa città si sbarazzerà della carta d’identità e del suo cognome di sposa residente a Noumea in Nuova Caledonia.
“Non ero più niente di quello che figurava su quella carta”.
Ma prima di questo episodio, nel 1946, incinta e in attesa di partorire il secondo figlio e della partenza per la Nuova Caledonia, forse avrà curiosato per le strade, ascoltato da un juke-box nei caffè sull’avenue del Prado la canzone di Georges Ulmer che in quegli anni faceva furore.
Scriverà: “Non sapendo cosa fare, feci l’ascensione di Notre-Dame de la Garde”.
Nel 2018, per il mio compleanno (sono nata nel 1946), chiedo a mio figlio di accompagnarmi fino a Notre-Dame de la Garde sui passi di Hélène Bessette.
Ho appena finito Un attentato attento che ho scritto per lei a partire da una lenta lettura di quattro suoi incredibili testi ancora inediti (A cup of tea, Fading, La lettre à Adrienne, Mer calme Voyage heureux) che l’autunno scorso Claudine Hunault e Cédric Jullion sono venuti a portarmi fino a Marsiglia.
Concepito come un monologo, Un attentato attento si compone esclusivamente di “prelievi”. Sarà la voce fuori campo o il canovaccio del breve film omonimo (realizzato con Marc Antoine Serra) destinato a un intervento al seminario di Cerisy (agosto 2018) per il centenario di questa “grande deviante” che fu Hélène Bessette.
Questo abbozzo di film dall’andamento sconnesso si rivolge al fantasma di lei troppo a lungo ignorata ed è dedicato a Paul Otchakovsky-Laurens.[1]
Doppio canto d’amore avrebbe detto Jean Genet.
[1] N.d.T. Paul Otchakovsky-Laurens fondatore della casa editrice P.O.L, morto in un incidente d’auto nel 2018, era l’editore di Liliane Giraudon.
*
Due schegge critiche
di Andrea Inglese
Da Passi nella poesia francese contemporanea. Resoconto di un attraversamento, in “Poesia 2007-2008. Annuario” a cura di Paolo Febbraro e Giorgio Manacorda.
Se la Quintane, nel suo modo stralunato e nel contempo anatomico, esplora soprattutto il tessuto linguistico del nostro vivere quotidiano, Liliane Giraudon predilige nei suoi testi in prosa una sorta di peregrinazione nei territori dell’inusuale e dell’anomalo. Si può trattare del “diario afgano” di Les talibans n’aiment pas la fiction (Inventare / Invention, 2005), del romanzo di fantascienza eterodossa La fiancée de Makhno (P.O.L, 2004) o della serie di scorci narrativi che costituiscono Greffe de spectres (P.O.L, 2005), ma sempre abbiamo scenari di estrema dislocazione geografica e storica, una dislocazione verso zone del mondo e del tempo dove si sono giocate o si giocano partite crudeli e traumatiche. E anche in Giraudon il rapporto con i generi risulta assai ambiguo. La sua esperienza di scrittrice ha fin dall’inizio un orientamento multiforme. Dominante è la scrittura poetica, ma accompagnata da un’intensa attività di traduttrice e romanziere. Ed è senza dubbio la lunga pratica della poesia, che ha permesso alla Giraudon di elaborare dei congegni narrativi molto particolari. In essi colpisce questo incessante alternarsi di modalità distinte: il diario, il reportage, la finzione. Uno sguardo a Les talibans n’aiment pas la fiction rende immediatamente evidente questa circolazione di elementi intimi, documentari e immaginari, che si alimentano di continuo l’uno con l’altro. Piuttosto che sforzarsi di separare gli impulsi, di articolare le esperienze attraverso categorie ben distinte, la Giraudon costruisce una mosaico in cui all’invadenza dell’evento attuale, di carattere sociale e politico, non è mai permesso di cancellare la relativa sordità dell’individuo di fronte ad esso. L’individuo, infatti, appare sempre coinvolto in un filo di memorie, affetti e fantasie che divergono dalle circostanze della realtà presente. Ma la forma stessa del diario, per come la concepisce la Giraudon, è idonea a “organizzare” queste divergenze, senza le quali ogni pretesa esperienza si falsificherebbe proprio inseguendo un’ideale di purezza (la purezza della sensazioni e dei sentimenti privati, la purezza del documento o del dato di realtà, la purezza della libera costruzione immaginaria, la purezza inconscia del quaderno dei sogni). Un diario come un reportage non è mai un’occasione di registrazione fedele della realtà, ma neppure un’occasione per raccogliere in via preliminare un materiale grezzo che l’invenzione romanzesca raffinerà. Il lavoro realizzato in un testo come Les talibans n’aiment pas la fiction consiste proprio nel comporre dei possibili itinerari attraverso varie dimensioni (il politico, l’intimo, l’onirico, il fantastico) che rifiutano di essere amalgamate ed ordinate gerarchicamente in vista di un’attribuzione di senso specifica. La narrazione non si pone come un percorso compiuto, così come il diario non risponde a nessuna cronologia determinata, ma ogni evento può essere pertinente, nel momento stesso in cui non si pretende di trovare la chiave di lettura per leggere la realtà del proprio io o del mondo. I mosaici in prosa della Giraudon neppure rischiano la tentazione dell’esotismo, magari nella forma oggi dominante dell’estetizzazione dell’orrore. Lo stile da lei scelto rifugge da ogni enfasi, alla ricerca di una lingua precisa, scarna, addirittura cruda. D’altra parte, una certa crudezza della lingua riflette l’asprezza e la crudeltà che ricorrono nelle sue narrazioni, emergendo tanto dai fatti più personali ed affettivi delle biografie quanto da quelli storico-politici, che riguardano intere collettività (guerre, persecuzioni, esodi).
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Da Quattro poeti donne: Collobert, Giraudon, Pittolo, Poitrasson, in “il verri”, n° 50 (2012)
I testi che ho proposto di Liliane Giraudon sono tratti da L’Omelette rouge, un libro costruito sulla trama di 34 nomi propri, 34 scorci biografici di persone realmente esistenti, da Paolo di Tarso a Ghérasim Luca e Louise Bourgeois. Nel lavoro recente della Giraudon, le biografie, soprattutto di filosofi, scrittori e artisti, hanno un ruolo predominante. L’ultimo suo libro, apparso nel 2012, s’intitola Les Pénétrables ed è costituito da 25 capitoli in prosa, ognuno dei quali dedicato a uno scrittore o a una scrittrice, vissuti in un arco di tempo che, anche in questo caso, va dall’antichità ai giorni nostri. Nella Giraudon, la passione per le vite degli scrittori, personaggi sempre e comunque socialmente “minori”, è usata come contravveleno ai fantasmi di compiutezza formale della letteratura: l’opera dev’essere costantemente aperta alle incursioni, alle miserie e agli strazi della vita, senza potersi mai ripiegare in qualche zona franca, là dove la lingua risuonerebbe cristallina e ariosa, ripulita da tutto il volgare fragore della voce. Le biografie degli scrittori, allora, alludono al rumore di fondo mai riducibile, che ogni opera fondamentale porta in sé, rumore di ciò che viene da fuori, dal suo margine esterno: rumore del mondo mai domato, rumore della vita mai ordinata.
Anche nei testi tratti da L’Omelette rouge[1] siamo confrontati a dei versi-schegge, che assomigliano a scoppi di voci, a frasi lanciate con un intento atletico più che semantico, come se si trattasse di ridurre una complessità di stimoli e rimandi, a qualche gesto energico e riassuntivo, che nella sua tonicità verbale non ammette replica o interrogazione. La trama dei nomi propri, allora, che sottende la successione dei testi, rimanda anche alla scrittura come esplorazione degli spettri e attraversamento di memorie eterogenee e acquisite. La voce propria è sempre un’articolazione di voci altrui.
[1] Il titolo fa riferimento al soprannome che Sarah Bernhardt aveva ricevuto dai suoi molti nemici.
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L’immagine è di Liliane Giraudon.