Pandemia: top ten

Playlist della pandemia ovvero il peggio che ci possa capitare nell’universo della musica contemporanea in dieci semplici passi (non oltre, non di più…)

di

Claudio Loi

 In questi giorni pandemici si passa il tempo a fare cose che non servono a nulla. Almeno apparentemente se si ragiona con lo statuto dell’efficienza a tutti i costi. Perciò ben vengano le facezie, le sottili e inebrianti perdite di tempo, il nulla che si avvolge in sé stesso e ci rimanda a uno stato mentale carico di rimembranze e sorridenti incertezze. Il virus è umanità che si autoflagella, è amore che uccide, un bacio che regala torture. Ci porta a uno stato di irrequietezza e instabilità, riscrive i canoni del vivere, del comunicare, dell’amore. Torneremo a non essere noi stessi? Torneremo ai nostri fasti quotidiani così gravidi di consumo e aperitivi all’alba? Non si sa ancora. Intanto vi propongo una playlist virale tanto inutile quanto bisognosa di terapie intensive.

 

  1. Renato Zero. Contagio. 1982.

Questa canzone di Renato Zero si trova nell’album Via Tagliamento 1965/1970 pubblicato nel 1982 e dedicato al Piper storico locale romano che immagino Renato abbia frequentato. Il testo è perfetto per i nostri giorni e sembra scritto proprio per noi: “Pericolo di contagio, che nessuno esca dalla città, guai a chi s’azzarda a guardare laggiù oltre quel muro, oltre il futuro… L’epidemia che si spande, l’isolamento è un dovere oramai… Dare la mano è vietato, se mai soltanto un dito e l’errore”. Il paziente Zero (cit.) è tanto disinvolto quanto sincero e profondo. Musica non così tanto leggera e dai risvolti imprevedibili.

 

  1. The The. Infected. 1984

Matt Johnson (The The) negli anni Ottanta faceva sfracelli ed era una delle menti più instabili del calderone post punk. Pochi punti di riferimento, nessuna direzione preconcetta, tante influenze da consolidare e approfondire: dal rock più schietto al blues rurale malaticcio e fuori sincrono. Passione smodata per le percussioni e relativi rimandi ai beat dell’africa meno didascalica. Il brano in questione da il titolo al suo secondo album licenziato nel 1986 e l’infezione è relativa ad amori che non lasciano tregua. Una palude di sentimenti da cui non si viene fuori facilmente. Ma è proprio un bacio che ci ucciderà…

 

  1. Front Line Assembly. Virus. 1986

Siamo in Canada in compagnia di un duo che ha lavorato con tenacia sulle possibilità offerte dalla musica elettronica nelle sue varianti più dark (tipo Biohazard per capirci). Una sorta di techno futuribile e polverosa con pochi sprazzi di onesta felicità. Ritmi pesanti e suoni oscuri che lasciano diverse scorie nel nostro organismo. Musica che richiede anticorpi che forse ancora non abbiamo creato.

 

  1. Contaminant PCB. 1993

Industrial music che rispecchia tutte le caratteristiche del genere con evidenti riferimenti ai Clock DVA e ai primi DAF. Un suono metallico e pressante che ci fa pensare alle fabbriche ancora chiuse. Chi ha nostalgia di suoni forti, dai brividi prodotti dalle grandi carpenterie industriali troverà conforto in questi solchi. Musica che crea qualche dissapore, che infesta il nostro organismo, scava caverne nella carne e ci sfinisce. Da ascoltare con le dovute precauzioni e con un controllato distanziamento sociale.

 

  1. Bad Religion. Infected. 1994

Una delle band storiche dell’hardcore punk americano. Nel 1994 sono al massimo delle loro possibilità e la loro musica è sempre piena di pathos, di urgenza comunicativa, dalla voglia di esprimersi senza troppe precauzioni. Il brano in questione è tratto dall’ottavo disco della band americana (Stranger Than Fiction) e si trova anche in formato singolo con la copertina che ci fa capire da che parte andare: una mano con un guanto da chirurgo che tiene un cervello palesemente infetto. “You and me have a disease / You affect me, you infect me / I’m afflicted you’re addicted / You and me, you and me”. Che altro aggiungere?

 

  1. Iron Maiden. Virus. 1996

Lo stupro della mente è un disordine sociale. I cinici, l’indifferenza. dell’essere sempre i migliori”. Il virus secondo gli Iron Maiden degli anni Novanta è qualcosa che ha a che fare con i rapporti umani e con i sistemi sociali contemporanei, un sorta di malattia sociale che intacca e destruttura. Siamo lontani dal fulgore metallico dei primi Maiden ma non manca l’onestà di sempre e la voglia di comunicare disagio, insofferenza, tradimenti. Insomma le solite menate della vita pre Covid-19.

 

  1. Infected. 2001

Barthezz, è lo pseudonimo di Bart Claessen disc jockey e producer olandese di musica trance. Quando uscì questa traccia lei era molto giovane e piena di vita, di esplodere e conquistare il mondo. Poi ha ripreso il suo vero nome e oggi è una delle più stimate producer della scena dance internazionale. Mi piace questo brano per il suo approccio superficiale tanto da essere quasi didascalico. Poche parole, solo suoni digitali creati in vitro con il solo scopo di far muovere i nostri corpi con sonorità che non producono preoccupanti effetti collaterali. Rimane una stolida sensazione di kitsch industriale e di indolente distrazione. Ci può stare.

 

  1. Pandemia. 2007.

Rap di razza dalla penisola italica. Lui è Marco Fiorito meglio conosciuto come Kaos One nome storico della scena rap romana (Cfr. Colle del fomento, DJ Gruff, Neffa). Questa traccia la trovate all’interno dell’album Karma del 2007 e rappresenta il rap dei nostri anni. Rabbia, furore, parole che pesano. “Nel nome del padre del figlio e dello spirito aspetta un momento qua c’è un equivoco quanto di santo in questa croce che è in bilico? darci il veleno e ricattarci con l’antidoto”.

 

  1. Pandemia Sonora. 2016.

Spagnoli di cui so molto poco. Il territorio frequentato è quello dell’elettronica cheap e sfranta, tribal, hard techno, mental e cosette così e i beat incalzano minacciosi come microrganismi che cercano alloggio all’interno dei nostri corpi. Siamo negli anni Zero e avanza minacciosa un’idea di mondo da ristrutturare, da ridefinire. Basta poco e tutto si fermerà. Per quanto tempo non è dato sapere.

 

  1. Andrà tutto bene. 2020.

Qui siamo proprio sul pezzo. Elisa, nobile e delicata cantautoressa triestina, si lancia con apprezzabile tempestività in questi giorni strani, malati, indefinibili. La canzone scivola leggera come polline di primavera in compagnia di Tommaso Paradiso (The Giornalisti). La canzone è stata creata attraverso interazioni social alla giusta distanza: questo richiedono i nostri tempi. Elisa cerca di consolarci e di farci star bene. Per un po’ funziona poi ti affacci alla finestra e qualcosa non torna. Andra tutto bene?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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3 Commenti

  1. Francé, io salvo solo No time for love like now di Stipe, uscita da poco ma scritta un anno fa. L’hai sentita?

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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