Radio Londra: Il mio nome è Gesuà sive Salvadori Moisé chiamato Marco
La faccia nascosta della luna
di
Mirco Salvadori
racconto pubblicato sulla rivista Sud n°69
Giungevano dalla faccia nascosta della luna, non perché lì fossero nati ma più semplicemente perché il buio, l’indistinto, il non esser visti era la condizione fondamentale che permetteva loro di vivere.
Il sudore imperlava la fronte di quel padre forte come una roccia che spingeva sui pedali, mentre il figlio faticava a mantenersi in bilico sul ferro della vecchia bicicletta, prestata loro da un Santo che abitava sul confine tra la faccia nascosta e quella sempre illuminata della luna. Il tragitto era stato lungo e difficoltoso, Zenson di Piave – Venezia andata e ritorno con la bici caricata come fosse un musso, come dicevano da quelle parti. Mercato nero lo chiamavano ma, per chi era abituato a quel colore, chi da tempo aveva imparato a temerlo e, al tempo stesso a nascondersi tra le sue pieghe, il mercato nero era semplice scambio di merce clandestina in cambio della salvezza. In fin dei conti li avevano spinti a trasformarsi pure loro in clandestini nella propria terra in cambio della salvezza.
Malamente appoggiato al forte braccio del genitore che stringeva saldamente il manubrio, Marco cercava di ricordare cosa fosse successo, quale era il motivo per cui all’improvviso, in una giornata come le altre suo padre lo avesse cercato ordinandogli di salire subito in casa. Si trovava nel bel mezzo di una partita di pallone con gli amici di sempre, ragazzi che conosceva dalla nascita e come lui abitavano nelle alte costruzioni che da centinaia di anni circondavano quel luogo. In quel tempo lui viveva nella faccia illuminata della luna, non doveva ritirarsi nel buio per continuare a giocare a pallone, da solo. C’erano ancora Mario, Luigi, Giacomo, Giuseppe con i quali dribblare e calciare in porta, quella porta idealmente costruita attorno ad uno degli archi che sostenevano il sottoportico del Banco Rosso nel Ghetto di Venezia.
Mario, Luigi, Giacomo, Giuseppe, gli stessi che iniziarono ad evitarlo o guardarlo malamente in una calda giornata di settembre, la cartella sulle spalle e il grembiule sul quale spiccava quello che lui da sempre conosceva come Maghén David e con tono dispregiativo tutti chiamavano Stella di Davide. Era stato marchiato, i suoi amici non lo riconoscevano più come Marco, il forte giocatore di calcio con il quale fare coppia nelle partite a cinque. Improvvisamente era Marco, l’ebreo.
Le gambe gli bruciavano, la schiena urlava di dolore, mentre suo padre continuava a pedalare senza cedere. Lui ce la metteva tutta per non arrendersi, per non chiedergli di fermarsi a fare due passi permettendo alla circolazione sanguigna di riprendere il suo corso. In fin dei conti durante tutto questo tempo trascorso nella faccia nascosta della luna era cresciuto, sulle spalle non portava più una cartella con i libri di scuola ma un moschetto che lo superava in altezza. Non usava più il suo cappellino multicolore ma un berretto della Wehrmacht che portava rovesciato, la stoffa rossa della fodera ad avvertire che ora lui era un partigiano della Brigata Badini.
Mancavano pochi chilometri alla destinazione, la luna in cielo era alta e mostrava sempre quella sua faccia bella tonda e illuminata, sembrava una matrigna sorridente a cui nulla importava di quanto avveniva sotto il suo sguardo. Una vecchia malefica che non immaginava certo di avere come vicini di casa migliaia di anime mimetizzate nel nero della sua oscura coscienza.
“Mora, fai veloce le valigie, una a testa con le cose essenziali, dobbiamo andarcene subito!”. I ricordi tornarono a bruciare come le gambe che si erano trasformate in due pezzi di marmo. “Ho amici in polizia” disse suo padre che, nei primi anni dell’ascesa nera, aveva aderito a quella che sembrava fosse una rivoluzione. “Dobbiamo scappare il prima possibile, stanno arrivando per portarci via tutti”. Le mani stringevano il manubrio allo spasimo, quello era un ricordo che non lo faceva dormire di notte. Sentiva ancora l’angoscia che gli stringeva la gola, le gambe che cedevano alla notizia e una gran confusione che lo immobilizzava seduto nella sua cameretta con a fianco il piccolo fratello che ancora non poteva comprendere cosa stesse succedendo. “Ho avvertito tutti quelli che ho potuto ma molti si rifiutano di credere, dicono sia impossibile possa succedere. In fin dei conti, mi ripetono, sono uomini anche loro, padri di famiglia. Tra le camicie nere ci sono persone che conoscono da sempre, vorrai mica che possano tirarci giù dai letti, metterci in fila indiana e portarci chissà dove. Impossibile dai Bepi! In tanti mi hanno risposto così. Qualcuno comunque sta partendo in silenzio come i Mariani”. Irma! pensò Marco con ansia. Anche lei in fuga con la sua valigia. Come farà il Signor Angelo, sono in nove in quella famiglia, come faranno così numerosi a raggiungere la faccia nascosta della luna?
Chissà se mai la rivedrò, la fiera Irma.
“Papà credo di non farcela più, fermiamoci solo cinque minuti, il tempo per fare due passi”… “Li vedi?!” la voce di suo padre era gelida, tagliente, affilata come la più affilata delle lame. Marco guardò in lontananza e li vide. Erano in sei, le loro camicie riflettevano il nero della notte e il fiocco dei loro berretti sventolava alla brezza che giungeva dai campi.
Appena giunti a Zenson di Piave, mio padre ci portò subito dal parroco del paese che a sua volta ci condusse in una grande villa di proprietà del Conte Badini. Apparivamo a tutti come degli sfollati da Venezia e solo lui sapeva chi realmente eravamo così come solo lui sapeva che la pena per chi nascondeva degli ebrei era la fucilazione. Eppure ci mise a disposizione quanto poteva, ci diede dei documenti falsi e qualche tempo dopo mi arruolò come staffetta nella sua brigata partigiana. Era lui il Santo che abitava sul confine tra le nostre e le loro vite.
Le pulsazioni del mio cuore facevano sbandare la bicicletta: “che facciamo papà?! frena! torna indietro, buttiamoci nel fosso! Troppo tardi Marco, ci hanno visto. Regola il respiro, cerca di star il più calmo possibile, ce la faremo, dai che sei un uomo ormai”.
La nera macchia umana che lordava con la sua presenza la calma notte della campagna veneta, si avvicinava sempre più, riuscivo a vedere i loro sguardi, il bianco dei loro occhi puntati su noi. Le mani sui fucili, erano pronti a far fuoco o, peggio ancora, a divertirsi massacrandoci a calci e manganellate. Erano vicini, troppo vicini!
Un ultimo cigolio dei pedali, i loro putridi sguardi che cercavano di capire cosa nascondevamo nel buio nella notte, il caporale che impugnava la pistola e la voce possente di mio padre che, calma ma decisa, urlò VIVA IL DUCE!
Il mio braccio partì senza che il cervello lanciasse il segnale, bello diritto teso in un saluto romano eseguito alla perfezione. Le sei camicie nere si irrigidirono all’unisono, immobili nella posizione dell’attenti, contraccambiando il saluto in coro: VIVA IL DUCE!
Alla E di Duce eravamo già lontani, a distanza di sicurezza, nuovamente immersi nella faccia nascosta della luna.
Con moto lento sfilò il vinile dalla busta racchiusa in quel disco che tutti dicevano contenesse pura magia. La copertina mostrava un prisma attraversato da un raggio di luce bianca che usciva trasformandosi nei mille colori dell’iride. Il titolo gli piaceva così come quella formazione che da sempre riusciva a trasportarlo verso dimensioni lontane. “The Dark Side Of The Moon”, lesse queste parole sottovoce, quasi fossero un codice segreto conosciuto da pochissime persone. La faccia nascosta della luna, lì dove suo nonno, suo padre, sua madre e tutta la sua famiglia si era nascosta salvandosi la vita, tutti tranne il Santo, il Conte Gustavo Badini Comandante della Brigata Partigiana che portava il suo nome, colui che abitava sul confine tra il buio e la luce. Il tradimento era giunto nelle vesti di un pugile professionista che lo massacrò di pugni e bastonate, finendolo con pallottole sparate a bruciapelo.
Us and them and after all we’re only ordinary men… sì, pensò posizionando le cuffie sulla testa e alzando il volume, tutto sommato noi siamo persone comuni, noi non abbiamo mai vissuto come loro, lì sulla faccia nascosta della luna.
Il mio nome è Gesuà sive Salvadori Moisé
chiamato Marco
25 aprile 2020
Un progetto di Mirco Salvadori.
Registrazioni e ricerca storica:
Prof. Gabriele Mancuso
Musica di
Giulio Aldinucci Autofocus
Estratti video presi da:
– Istituto Luce
– L’Associazione “Amici del Pasinetti”
– British Pathé
I commenti a questo post sono chiusi
Bellissima lettura
emozionante la testimonianza
Ti ringrazio di cuore, Riccardo.