Taccuino di una quarantena

di Giuseppe Acconcia

1.

È il primo giorno di quarantena nella mia regione rossa e, senza che lo volessi, questo prolungato tempo in isolamento mi ha restituito la voglia di scrivere. E poi ho da poco acquistato un nuovo computer portatile e dismesso in uno scatolone il mio vecchio aggeggio i cui tasti erano quasi tutti saltati e che aveva quasi dieci anni. Quindi mi è più facile scrivere.

Mi è capitato di vivere una condizione simile soltanto una volta nella mia vita. Era il 2011, nei 18 giorni di occupazione di piazza Tahrir in Egitto, e nelle settimane seguenti. Fummo costretti, con altri due amici, a rimanere bloccati nella nostra casa per ore e ore nei pressi del cinema Odeon e a due passi da via Talaat Harb. Potevamo muoverci solo all’interno del nostro quartiere e per poche ore durante il giorno per fare acquisti essenziali. Sopra di noi volavano gli aerei dell’aviazione egiziana che controllavano i manifestanti in piazza e, di notte, si sentivano gli uomini dei comitati popolari organizzarsi per dare un po’ di sicurezza a quartieri che l’avevano persa a causa dell’assenza della polizia. Anche allora i detenuti protestavano nelle carceri, fuggendo quando possibile. Vivevamo uno stato di eccezione del tutto paragonabile a questo.

L’isolamento nella mia Wuhan è molto diverso. Prima di tutto sono solo in casa e questo cambia moltissimo la percezione del tempo e delle cose. Ho molto meno scambi di allora, tralasciando le poche conversazioni online con amici e famiglia che non mi danno lo stesso effetto dei miei coinquilini italiani al Cairo. Poi sono a Padova, una città di provincia del Nord Italia, raccolta tra belle piazze e antichissimi palazzi, dedita soprattutto al benessere degli studenti. Ieri sono uscito per l’ultima volta per comprare qualcosa e, camminando per strada, ho visto un veicolo dell’esercito e un’auto-ambulanza correre a sirene spiegate.

Da domenica siamo bloccati qui. Non possiamo prendere treni se non per motivi straordinari. Insomma, il principio è restare in casa. Certo è una permanenza in casa meno politica di un coprifuoco perché non ci sono ragioni politiche primarie che la motivano ma soprattutto necessità di buon senso e di salute pubblica. Non ci sono gli echi degli slogan delle proteste di piazza e le cariche della polizia. Eppure questa condizione mi ricorda il mio coprifuoco egiziano, una vita parallela rispetto al quotidiano e ordinario andamento dei giorni. Un’occasione per tornare a scrivere, per rimettere in ordine i pensieri, chiudere lavori che erano rimasti in sospeso.

E così continuerà un racconto dalla mia Wuhan se vorrete leggerlo. Potrebbe durare molto di più se la nostra quarantena dovesse andare avanti ma anche molto di meno, se il virus dovesse colpire l’intero palazzo. È vero che una forma di noia prevale nel vivere queste ore, e lo stesso è stato quasi dieci anni fa. Però ricordando quei momenti ora, la noia lascia spazio all’essenzialità della vita, e lo stesso, penso, farà ora per noi tutti.

2.

I giorni della quarantena trascorrono. La zona rossa è stata allargata a tutta Italia e questo rende la mia permanenza a casa un male comune da condividere con altri milioni di persone. Sono uscito per la prima volta a fare la spesa. Un minuscolo supermercato di solito vuoto raccoglieva molte più persone del solito. Da dove venivano? Un ragazzo parlava al telefono con gli auricolari e portava guanti in lattice mentre era intento a scegliere la carne tenendo aperto il frigorifero. Un signore molto alto e più che settantenne si aggirava tra gli scaffali con una mascherina molto spessa. È strano da spiegare ma questa indicazione del distanziamento sociale spinge a fare acquisti molto veloci e a dirigersi il più presto possibile verso le casse. Lì una signora mi ha porto un carrello ma ho preferito tenere le mie arance e la mia insalata tra le mani. La distanza di sicurezza tra i clienti risulta alquanto inusuale per un posto così piccolo e forma delle file anche in assenza di tante persone. Insomma una volta pagato è subito tempo di rientrare.

Dai balconi delle case che circondano la mia sento persone parlare al telefono oppure le vedo sostare. Ma quello che ha attirato più di ogni altra cosa la mia attenzione è stato il rumore di una sanificazione in corso che arrivava proprio vicino al mio appartamento, sul mio stesso piano. Ho chiesto al mio dirimpettaio cosa fosse: la sola interazione reale che ho avuto per giorni. Mi ha spiegato che si trattava di pulizie, niente di più. Nei giorni precedenti avevo sentito colpi di tosse e soffi di naso provenire proprio dagli appartamenti vicini. Mi era anche sembrato che un medico facesse visita al mio vicino ma non posso esserne certo dal rumore dei suoi passi o dalle poche frasi che si sono scambiati. In mattinata una ragazza piangeva e singhiozzava. Spero proprio che non si tratti dei primi morti che lentamente si avvicinano alla porta della mia casa. Spero di aver completamente frainteso o che si tratti soltanto di un paziente trasferito altrove, magari in ospedale.

Con il passare dei giorni fare acquisti diventa sempre più complesso. Ma questa volta ho tentato di essere più organizzato. Prima di tutto ho portato con me delle borse di stoffa per poter raccogliere i prodotti da acquistare. Inoltre, ho una maglietta di stoffa blu che mi alzo su bocca e naso in assenza di una vera mascherina. Per giorni la questione del virus è stata sottovalutata qui, o si diceva che avrebbe dovuto portare la mascherina soltanto chi fosse già malato. Il primo avviso che sarebbe stato necessario un certo distanziamento sociale l’ho avuto quando, incontrato un mio vecchio coinquilino, di ritorno dall’Algeria, mi ha detto che avremmo dovuto salutarci a un metro di distanza secondo le linee guida contro il coronavirus. Non è un modo in cui uso comportarmi, sempre pronto ad abbracciare e baciare quasi tutti.

Questa volta mi sono sentito più preparato per gli acquisti e, buttata via l’immondizia, mi sono diretto verso un supermercato più grande di quello precedente. Le strade erano completamente vuote, sembrava 2001 Odissea nello Spazio con le persone muoversi come in scafandri, come astronauti, tra gli scaffali. Una pattuglia dei carabinieri controllava che tutti rispettassero il decreto “Io resto a casa”, rimanendo a casa appunto se non per motivi di stretta necessità, come proprio acquistare dei prodotti alimentari o medicine. Pochissime persone facevano i loro acquisti. Gli addetti per la prima volta portavano la mascherina tranne qualcuno più spavaldo. Dovevo approvvigionarmi proprio delle cose essenziali dal sale alla pasta ma il momento più incredibile è arrivato dopo aver raccolto le bottiglie di acqua minerale. Una signora dal frigorifero, scafandrata, mi ha chiesto di fermarmi. Probabilmente se mi fossi avvicinato non avrei rispettato le distanze di sicurezza. Oppure la signora era una malata asintomatica del virus e non avrebbe voluto infettarmi. Fatto sta che questo distanziamento sociale sta iniziando ad avere i suoi effetti tra le persone. Alla cassa, un coreano mi guardava mentre in fretta cercavo di concludere il pagamento e affrettarmi a rientrare verso casa.

3.

Alle 18 è imperdibile il bollettino quotidiano sui contagi e le vittime del virus. Diventa un appuntamento sempre più inquietante però perché in Italia le morti si moltiplicano e i contagi salgono in gran fretta. E poi automaticamente passo al controllo delle mappe che riportano contagi e morti per regione e per provincia. L’unica consolazione è che il numero dei morti è molto basso tra i giovani mentre sale sempre di più a mano a mano che sale l’età. E così la quarantena è giustificata specialmente per chi ha più di 70 anni. Mi posso permettere un respiro di sollievo.

Se voglio distogliere lo sguardo da morti e bollettini, non resta che affidarmi al web. È diventato in pochi giorni una fucina di meme, video e audio davvero notevoli sul tema dell’isolamento di massa in casa. Tutti vogliono condividere la loro quarantena. All’inizio uno schiaffo tra Batman e Robin esilarante invitava tutti a rimanere a casa. Poi, dopo l’annuncio della chiusura di palestre e piscine, un meme sui quintali che verranno raggiunti nell’estate 2020 da ognuno mostra un gruppo di amici obesi che si divertono al mare.

Un fantasioso m’isolo mi ha fatto tornare ai sette nani in tempo di quarantena mentre una ragazza, vestita di tutto punto, si mette del profumo solo per andare in cucina e la madre le chiede dove vada conciata in quel modo. Le persone sembrano quasi impazzite a restare chiuse in casa. Alcuni vanno avanti e indietro sui loro balconi, altri cantano a squarciagola canzoni neomelodiche. Circolano anche auto-certificazioni strampalate sui motivi per rompere l’isolamento forzato. Un uomo si giustifica dicendo che deve dar da mangiare ai suoi maiali. Degli orientali improvvisano danze mentre uno di loro si fa male tentando di appendere un chiodo, dei ciclisti vanno in giro con la bici in casa.

Una famiglia fa la conta per chi deve andare a gettare la spazzatura: sembra essere l’unico svago della giornata. Una bambina spiega di non poter uscire per il “coravirus”, un uomo balla, come in una discoteca, attaccato al suo fornello. Alcuni comici si mettono nei panni dei più anziani finalmente liberi dei loro nipoti per timore del contagio. Tra tutti una mappa di un’Italia tutta rossa, sia per il virus sia come se fosse per la prima volta comunista, diventa virale. Alcuni vanno in giro per le strade con peluche finti per giustificarsi agli occhi dei carabinieri, altri si scattano foto in famiglia costruendo scenette come se stessero al mare.

Le conversazioni online con famiglia e amici si fanno più frequenti e diventano l’unico momento in cui condividere timori e in cui spiegare i motivi per cui è importante non uscire di casa forse neppure per fare la spesa, almeno per i più grandi. Aiutano molto anche le condivisioni dei contatti, per esempio i suggerimenti di film girati da donne di Chiara mi ha permesso di scoprire Tutto a posto e Niente in ordine di Lina Wertmuller e le Meraviglie tra una notizia e l’altra sui contagi. Anche la riscoperta di Fuori orario, un tempo pane quotidiano, mi ha tenuto incollato tra i bei the Image Book di Godard e il film filippino the Woman who left, facendomi riscoprire una vecchia abitudine di vedere film di notte che avevo ormai perso.

Non sono mancate le minacce di arresto dei governatori di alcune regioni italiane rivolte a chi continua ad aggirarsi per le strade o gli strafalcioni di vari sindaci che non sanno nemmeno pronunciare una parola in inglese. Di notte infine sono arrivati gli audio degli alcolizzati che restano in giro da soli in città fino all’alba.

4.

In realtà non è solo l’Italia a rischio. Si tratta di una pandemia ma che arriva in momenti diversi in aree geografiche diverse. Quando arrivavano le immagini del mercato di Wuhan in Europa sembrava che il virus fosse lontanissimo, che non sarebbe mai arrivato. Pensare poi che i cinesi in Italia fossero un problema appariva come al solito un discorso razzista e insensato.

A preoccuparmi più di ogni altro paese è l’Iran, sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti e in gravi difficoltà dopo l’assassinio del capo delle milizie al-Quds. Le immagini che circolano sulla stampa internazionale parlano di fosse comuni, di migliaia di morti, molti di più delle cifre riportate dalle fonti ufficiali. Tanti politici sono stati colpiti, l’ayatollah Khamenei si è mostrato sorridente alle telecamere mentre con i guanti piantava un albero in giardino. Eppure i cadaveri negli ospedali, i medici senza mezzi sufficienti impegnati in danze disperate nelle corsie non rincuorano. Sorush, un mio amico di Rasht, mi aggiorna sulla mancanza di rispetto delle regole del distanziamento sociale nella sua fattoria. I morti sarebbero decine e decine solo in questa città del Nord del paese. Continuo a ripetergli di trincerarsi in casa e soprattutto di non far uscire i suoi genitori, di evitare che salutino con baci e abbracci le persone che incontrano. Anche per gli operai della sua azienda dovrebbero essere previste delle regole rigide per evitare il contagio. E lui mi assicura che lavorano alternativamente.

Dall’Egitto non arrivano di certo notizie più incoraggianti. Hanno chiuso le scuole, è difficile stabilire se ci sia completa trasparenza sui numeri del contagio. Un’imbarcazione piena di turisti è stata fermata sul Nilo con a bordo presunti contagiati. Il mio amico Galal mi ha inviato un video che mostra il primo morto prelevato al Cairo da una squadra di medici nell’ilarità generale. Non sembra per niente che si rispettino norme di distanziamento sociale e potrebbe essere a breve una fucina di nuovi contagi. Dicono che al sole e con il caldo il virus si indebolisca, ma anche i numeri dell’Algeria non sono meno preoccupanti. Sono pochi i morti ma tanti i contagiati. Hanno chiuso le scuole e proibito le manifestazioni del movimento Hirak. Molti credono che il virus sia un pretesto per impedire gli assembramenti. L’Algeria in questo momento mi sta particolarmente a cuore perché sarei potuto essere là, sono rientrato da Algeri facendo scalo a Barcellona appena 14 giorni fa. Sarebbe stato probabilmente più piacevole passare lì questi giorni e questo mi avrebbe evitato la quarantena, forse.

Proprio la Spagna è il paese con il numero di contagi e di morti che più si avvicina all’Italia. Anche lì hanno bloccato tutto e si canta dai balconi. Mentre in Germania i provvedimenti sono partiti a rilento, i morti sono inferiori. Un mio amico di Hannover fatica a capire la differenza tra questo virus e una semplice influenza e neppure comprende le preoccupazioni del fratello che vorrebbe preservare i genitori. E se Macron ci tiene molto a tenere gli ultra settantenni in casa che non devono uscire neppure per fare la spesa, il premier inglese Johnson è sembrato davvero agghiacciante. Il suo discorso è che è meglio andare avanti e far ammalare il più alto numero possibile di inglesi, forse il 50%. Bisogna abituarsi a perdere “i propri cari”, secondo lui. Lo stesso discorso di Trump in qualche maniera. Il sistema sanitario pubblico non serve a niente, chi ha i mezzi si faccia curare e gli altri possono morire. Se muoiono centinaia di migliaia di persone sarà un dispendio minore per le casse dello stato. Pessimi.

Di sicuro dobbiamo tornare ai cinesi, solo loro possono dare una mano per porre freno ai contagi, indicando la strada migliore per evitare che la curva delle vittime cresca, donando il plasma con gli anticorpi, spiegando le strategie di contrasto alla diffusione per filo e per segno, indicando i metodi usati che vengono dalla medicina tradizionale cinese. Una terapia, sperimentata dai medici di Napoli, è usare un farmaco che blocchi l’infiammazione prodotta dal corpo e che è presente tra i pazienti più gravi.

L’idea del distanziamento sociale è proprio quella di ridurre al minimo le occasioni per trasmettere il virus. Baciandosi, abbracciandosi si viene in stretto contatto e saliva o goccioline dalle mani possono passare agli occhi o alla bocca e questo causa il contagio. In casi più rari il virus si può prendere toccando delle superfici contaminate. Di sicuro non fa bene stare in luoghi chiusi dove ci sono molte persone, basterebbe un infettato per passare la malattia a tanti altri. E così la soluzione migliore è stare lontano, aspettare il picco dei contagi per i comportamenti sbagliati che ci sono stati fino a pochi giorni prima. E che gradualmente i numeri scendano. Ma tutto questo potrebbe durare mesi. E la quarantena si allungherebbe.

5.

Le mie giornate di quarantena trascorrono in maniera davvero ripetitiva. La mattina cerco di svegliarmi il più tardi possibile, tra le dieci e le undici. Passo la notte tra la camera da letto e il soggiorno/cucina. A volte dormo vestito e senza coperte, altre dormo in maglietta e coperto da un piumone. Appena sveglio, apro le imposte di legno delle mie finestre per far entrare una luce spesso intensa di giornate soleggiate di fine inverno. Preparo il mio solito caffè e mangio alcuni datteri algerini. Avevo comprato tre confezioni che volevo regalare e invece di giorno in giorno le sto consumando.

In mattinata leggo gli articoli arretrati. Poiché sono un ipocondriaco cronico, già da giorni avverto strani sintomi. Ho una tosse con muco, un raffreddore persistente, ora avverto una febbre che va e viene. A volte sento un dolore fortissimo al mio fianco sinistro e più in alto verso l’ascella. Cerco di non pensarci. Penso di dover avere sintomi più marcati per chiamare un medico. Mi hanno detto di usare paracetamolo ed evitare ibuprofene e altre medicine simili. Ho con me una scatola di voltaren che ho preso per una storta che mi è occorsa l’ultimo giorno che eravamo in Algeria.

La mia casa è molto piccola ma dopo tutti questi giorni di reclusione mi sembra di essermi allargato. Sicuramente è così perché è impossibile svolgere qualsiasi attività ma sento anche che la mia percezione degli oggetti e delle pareti è cambiata. L’unica voce che ho sentito è quella di alcuni canti che vengono dai balconi vicini o dagli appartamenti dei vicini di casa. In alcuni momenti della giornata una vettura con altoparlanti che invita a rimanere a casa passa tra le strette strade del centro storico.

Mi preparo il pranzo con i pochi viveri che mi rimangono e prendo il mio caffè prima di ascoltare le notizie. Nel pomeriggio proseguo con le mie letture svogliatamente, guardando spesso i messaggi di amici e conoscenti che inviano video o condividono la loro quarantena, provenienti lentamente da tutto il mondo.

Alle 18 aspetto il bollettino e poi confronto i dati resi noti con gli articoli aggiornati che vengono diffusi dai media online. Alle 19 ascolto di nuovo le notizie che spesso sono dense di tristezza. E confronto i media italiani con i siti internazionali dal Guardian alla Bbc, da Le monde a El Pais. Chiacchiero con la mia famiglia in video. Raccontiamo la nostra giornata ma si tratta soprattutto di momenti in cui ribadire a chi è in là con gli anni di rimanere a casa. Non è facile, pochi giorni prima della quarantena in tutta Italia, i miei genitori, in un’età a rischio, sono usciti a fare la spesa e a mettere benzina. Il giorno seguente sono andati a fare dei prelievi. Insomma non hanno ben chiaro che dovranno rimanere in isolamento forse per mesi.

Iniziano ad ammalarsi in tanti, inclusi attori e politici, forse proprio chi è più a contatto con la gente da Sepulveda a Zingaretti, da Hanks a Giuliana De Sio fino a vari calciatori colpevoli di aver giocato nonostante la diffusione aumentasse. Di sicuro questo contribuisce a rendere il virus più affascinante ma non meno grave.

Le serate passano veramente nel tedio tra un episodio di Shameless e l’altro. Ieri ho scoperto che era possibile vedere Capri Revolution di Martone che racconta la vita di una comune a Capri e le reazioni tradizionaliste di una famiglia locale quando la loro unica figlia decide di unirsi a loro. E poi chiudo battenti e porte, prima di stendermi nel cuore della notte.

6.

Insieme al virus, è tornata aria di crisi. Era dal 2008 che non si respirava un clima del genere. Nelle carceri italiane per giorni si sono svolte le proteste dei detenuti per gli spazi angusti che potrebbero favorire la diffusione del virus e per la decisione di sospendere le visite dei familiari. Nelle fabbriche sono state numerose le proteste dei lavoratori per la continuità nell’attività produttiva nonostante il distanziamento sociale. Non solo, negozi e ristoranti chiusi, l’assenza di turisti, qualsiasi evento pubblico cancellato, i confini chiusi non fanno certo pensare in un futuro prospero.

Di sicuro questo virus mostra le fragilità del sistema capitalistico. Le borse che calano a picco, lo spread che aumenta inesorabilmente, l’incapacità dell’Unione europea di gestire la crisi puntando come sempre sulla penalizzazione degli anelli deboli, come confermato dai discorsi di Lagarde, a guida della Bce.

Come se non bastasse, si aggiunge una certa incertezza nella gestione del virus. Da una parte sulla gravità della malattia. Fino a pochi giorni prima dell’inizio della quarantena si parlava di poco più di un’influenza. Poi nella difficoltà di svolgere tamponi che certifichino chi ha il virus, capita che chi è guarito torna ad essere positivo. Incertezza che si riflette nelle cure: alcuni sconsigliano di somministrare cortisone e ibuprofene; altri propongono cure che richiamano i medicinali usati per l’artrite reumatoide. Non si sa neppure quante persone siano davvero contagiate, potrebbero essere moltissimi gli asintomatici o chi non viene mai testato. Non si sa quanti davvero potrebbero morire perché le percentuali in Europa sembrano più alte della Cina. Non è possibile prevenire il virus perché non esiste al momento un vaccino. Non è possibile stabilire chi già ha avuto il virus e poi è guarito perché non esiste un metodo per verificare la presenza di anticorpi nel sangue consolidato. Per esempio una persona potrebbe essere stata già in contatto con il virus nei mesi passati ed essere quindi immune ormai.

Potrei aver già contratto il virus e averlo passato alla mia famiglia. Il 23 dicembre, in una cena con amici, eravamo tutti malconci. Tra i commensali c’era una mia amica che lavora con la Cina, molto influenzata. Pochi giorni dopo suo nonno è mancato per un collasso del sistema respiratorio. Potrebbe aver passato all’anziano nonno e a tutti noi il virus senza saperlo!

Non esiste un vaccino per evitare che la malattia si presenti. La corsa al vaccino va avanti, gli Stati Uniti di Trump sono in testa e vorrebbero sfruttare a loro solo vantaggio gli studi fatti fin qui da olandesi e tedeschi.

Di certo la quarantena di milioni di persone fa bene all’ambiente. L’inquinamento è calato proprio nelle zone più produttive dove i morti, guarda caso, sono di più. In altre parole si muore di più dove i polmoni sono già provati dall’inquinamento dovuto all’alta attività industriale. Paradossalmente però lo stop alle attività potrebbe provocare meno morti per inquinamento. Questo numero sarebbe davvero maggiore rispetto ai morti per il virus.

Poi esistono i teorici delle curve epidemiologiche. Da una parte, alcuni studiosi inglesi vorrebbero perseguire un’ “immunità di gregge” che provocherebbe centinaia di migliaia di morti con il semplice obiettivo di tenere in piedi l’attività produttiva, secondo i peggiori dettami neoliberisti. Altri invece, difendono il distanziamento sociale, come unico mezzo per appiattire la curva del contagio.

La contemporaneità del contagio in tutt’Europa poi e per la prima volta, permette di confrontare in maniera sistematica le reazioni politiche dei politici degli stati membri in una maniera chiarissima. Se Spagna e Francia hanno bloccato tutto seguendo il modello italiano, Gran Bretagna e Germania sembrano voler arrivare allo stesso punto gradualmente. Ma la cosa più interessante è analizzare le contromisure economiche prese dai singoli stati. Con i confini europei chiusi, solo Macron ha potuto annunciare lo stop alle tasse e agli affitti mentre i provvedimenti italiani sono sembrati, come al solito, molto meno diffusi e ancora parziali, minimi sono i sostegni a chi perde il lavoro. Ancora una volta, la crisi c’è per tutti ma di nuovo le fasce più deboli e marginalizzate la sentiranno di più e i paesi più a rischio ne sentiranno amplificati gli effetti sia a livello sanitario sia economico. E così raccontare questi giorni e romanticizzarli ed esorcizzarli, come faccio in queste righe, è già un privilegio di classe.

7.

Sono ormai passati quasi venti giorni di quarantena. Solitudine e tristezza la fanno da padrone. La solitudine non è per me una novità né mi spaventa: mi permette di riflettere, di scrivere, di ragionare. Però non bastano più i contatti online, le spese veloci, le voci dei vicini per alleviare questo stato d’animo. L’uso di guanti e mascherine, la distanza dalle persone, il timore che anche le superfici raccolgano il virus, la continua sanificazione del pianerottolo e delle scale, la discesa delle scale per evitare l’uso dell’ascensore, il tenere lontani gli abiti che si usano per uscire rendono le giornate estremamente pesanti. L’igienismo non è mai stato il mio forte e lo è ancora di meno ora. Pensare soltanto che usciremo fuori da questa quarantena con più misure sanitarie, con il distanziamento nei ristoranti, nei bar, i contingentamenti all’entrata, le app per controllare gli spostamenti dei malati, la temperatura misurata a ogni lavoratore che abbia toccato il cibo che compriamo al supermercato o in salumeria è un vero incubo per me.

Forse è meglio stare in quarantena. Eppure le giornate si fanno insopportabili. Centinaia e centinaia, tra 600 e 700, sono i morti che ogni giorno vengono seppelliti senza funerale nelle città che mi circondano. L’esercito accompagna le bare lontano dalla città di Bergamo. Sono scene che mai avrei pensato di vivere. E i numeri non accennano a scendere nonostante il distanziamento sociale, mentre scrivo abbiamo superato di gran lunga gli 8mila morti.

Sono vietati matrimoni e funerali: l’intera società è sospesa. Tutti sperano in un giorno in cui sia possibile tornare a camminare e correre per le strade. E se anche qui le cose dovessero andare meglio, bisognerà sempre aspettare che migliorino in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e dovunque nel mondo, altrimenti si diffonderanno contagi di ritorno. Si ricomincerebbe tutto d’accapo. Ormai tutti in Europa e anche in Africa hanno chiuso i battenti. E se in Italia si fanno file per approvvigionarsi a supermercati e salumerie, in Francia molti si accalcano a comprare vibratori, in Olanda a fare rifornimenti di erba, negli Stati Uniti di armi, ognuno seguendo l’istinto principale che sente più importante.

Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale sono stati cancellati i giochi olimpici che si sarebbero dovuti svolgere in Giappone. Non avrei mai creduto di vivere una situazione del genere: il mondo intero fermo, bloccato forse per un anno, migliaia di morti dovunque e l’impossibilità di programmare o fare qualsiasi cosa. Finalmente i termini “vecchio” e “giovane” hanno riconquistato i loro significati. Chi ha più di 60 anni è ritenuto più a rischio e chi ne ha meno di 50 meno. Tuttavia, non mancano le eccezioni di 90enni che escono indenni dopo aver contratto il virus e ventenni che muoiono. In questo senso la quotidianità riacquista significato dando valore all’età. Non si è giovani per sempre e non si può vivere un’anzianità infinita: sembrano cose chiare, palesi ma queste idee si erano perse in una società che ha badato sempre e solo a procrastinare.

Ieri sera in bagno ho sputato del sangue. Per un momento ho pensato che fosse dovuto alla polmonite interstiziale che è causata dal virus ed è mortale. Sono stato certo di stare per morire. Poi mi sono accorto che era semplicemente un minuscolo taglio che mi ero procurato alle gengive. La mia ipocondria è senza freni. Credo di poter avere tutte le malattie se mi si descrivono nei particolari i sintomi. Per esempio, da quando parlano di perdita dell’olfatto, sento le mie papille gustative fluttuare e la mia bocca avvertire sapori variegati o la loro assenza. E non so dirvi quanto mi inquieti il continuo via vai delle ambulanze e le loro sirene mentre si dirigono verso l’ospedale.

All’una arriva come ogni notte il bollettino dei contagi nella città dove sono nato. I giornalisti locali descrivono caso per caso ogni contagio, in ogni paese, in base alla residenza presente sul documento di identità. Quindi c’è l’anziano di Molina morto, contagiato dalla figlia milanese, il santone che ha svolto il ritiro neocatecumenale, l’anziana di Casalpusterlengo che ha contagiato l’intera famiglia, l’insegnate morto a San Valentino, il 48enne e la donna ricoverata al Moscati, il parlamentare contagiato a Pagani e con lui altri dieci, la biologa e l’estetista del Cilento. Non mancano i contagi attribuiti alla provincia ma provenienti da località esterne. Buonanotte.

 

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giuseppe acconcia
giuseppe acconcia
Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente di Geopolitica del Medio Oriente all'Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze Politiche all'Università di Londra, è stato Visiting Scholar all'Università della California (UCLA – Centro Studi per il Vicino Oriente), docente all'Università Bocconi e all'Università Cattolica di Milano (Aseri). Si occupa di movimenti sociali e giovanili, Studi iraniani e curdi, Stato e trasformazione in Medio Oriente. Si è laureato alla School of Oriental and African Studies di Londra, è stato corrispondente dal Medio Oriente per testate italiane, inglesi ed egiziane (Il Manifesto, The Independent, Al-Ahram), vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo (2013), autore del documentario radiofonico per Radio 3 Rai “Il Cairo dalle strade della rivoluzione”. Intervistato dai principali media mainstream internazionali (New York Times, al-Jazeera, Rai), è autore de Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), The Great Iran (Padova University Press, 2018), Liberi tutti (Oedipus, 2015), Egitto. Democrazia militare (Exorma, 2014) e La primavera egiziana (Infinito, 2012). Ha pubblicato tra gli altri per International Sociology, Global Environmental Politics, MERIP, Zapruder, Il Mulino, Chicago University Press, Le Monde diplomatique, Social Movement Studies, Carnegie Endowment for International Peace, Policy Press, Edward Elgar, Limes e Palgrave.
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