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Internauti – day one

di Francesco Forlani & Andrea Inglese

[Ieri cominciava il nostro primo giorno di quarantena in Francia, in quanto sospetti di aver passato la frontiera dall’Italia con il Covid-19 in corpo. Naturalmente è una quarantena dal lavoro, essendo noi insegnanti, ma purtroppo non di 40 ma di soli 14 giorni. In ogni caso, ognuno da casa propria, vi manderemo stralci del nostro giornale di bordo di espatriati al confino. FF e AI]

1. Rêveries

effeffe

Passo da casa alla città con una leggera distrazione che mi fa dimenticare quasi le chiavi di casa dentro. Spengo la luce e dalla penombra della scala mi ritrovo a contare di nuovo le luci dell’enorme palazzo di Place d’Italie che domina il quartiere e ogni volta mi chiedo se siano le stesse finestre sveglie o cambiano a seconda dei giorni. Per arrivare a Garges-lès-Gonesse mi ci vogliono cinquantasei minuti. Linea sette fino a Poissonnière, a piedi fino alla Gare du Nord e poi la RER D per giungere alla stazione e in conclusione prendere un autobus che mi lascia fuori scuola.

Mi accendo una sigaretta contemplando il nulla, seppure caotico, che mi accoglie all’arrivo alla stazione e mentre sto per fare un tiro alla seconda sigaretta del giorno ricevo una telefonata. È l’altra scuola, quella di Val d’Argenteuil in cui ho lezione nel pomeriggio. Abbiamo programmato da settimane un atelier pizza con i piccoli della 6ème per fare “propaganda Italia” e dare manforte alle iscrizioni in italiano dei ragazzi per l’anno prossimo, quando in quinta cominceranno i corsi di lingua in opzione. Rispondo convinto che sia proprio quello il motivo della telefonata. Un problema con gli ingredienti? Forse i due tipi di farina che avevo messo nella lista della spesa trasmessa alla responsabile amministrativa. O allora i grembiuli usa e getta? I guanti? Le cuffie? Tutto l’armamentario che trasforma cuochi provetti in astronauti o in poliziotti della scientifica modello Cassandra Crossing ma prima ancora che l’immagine si componga in una mappa mentale, dall’altro capo del telefono, la voce amica di Claire mi dice:

– Francesco, oggi e per i giorni a venire sei dispensato dal fare lezione. Essendo stato in vacanza in Italia del Nord, secondo la circolare che abbiamo ricevuto, dovrai restare in quarantena, misurarti due volte al giorno la temperatura e in caso di sintomi acclamati – mi parte un colpo di tosse perché il fumo mi è andato di traverso- dovrai chiamare il numero verde che ti mando e seguire tutta la procedura.

In francese esiste una sola espressione che sia in grado di contenere meraviglia, stupore, sgomento: ah bon. E lo dico. Lei aggiunge che gli altri due istituti in cui presto servizio sono al corrente ma che sarebbe stato meglio contattarli.

Chiamo il vicepreside della scuola da cui mi separano solo dieci minuti, a quel punto, di autobus – il 133, proprio quello in cui sfidando le leggi della fisica ogni volta ben quattro passeggini si parcheggiano nella parte centrale. Lui mi conferma la cosa e io mi limito a dire che rimango a disposizione per tutto. E ora?

Ritorno sui miei passi e quasi in mood pilota automatico riprendo la RER fino a Chatelet per poi, con la linea 1, raggiungere Patrizia e Fortunato alla Tour de Babel. Mi ritrovo alla libreria con almeno due ore d’anticipo rispetto all’apertura e decido di sedermi nella terrasse del Boucheron che è giusto di fronte. Ordino un caffè, troppo presto per un Calvados, e mentre lo sorseggio mi colpisce la lenta ripresa della luce e delle persone all’altezza di St.Paul. Quella luce io non la conosco, ovvero non la conoscevo da un po’ visto che in settimana esco con il buio e rientro con lo stesso compagno e mi sento, d’un tratto, come uno studentello che avesse fatto filone a scuola e che si guardasse lo spettacolo del mondo in prima fila avendo tutta una spiaggia davanti a sé e un mare di tempo in cui annegare le cose che si sarebbero fatte e che invece, da circolare, mi viene impedito di fare.

Racconto tutto agli amici ritrovati e per un’oretta me ne sto in libreria pensando a come e a cosa fare di tutta quella libertà tanto insperata quanto assoluta. Cosa fare di questi giorni a venire? Un corso di yoga, di pesca con lenza lunga in lago largo, uno di tango, organizzare l’intervista con Michel Houellebecq, chiamare Andrea ed è questo che faccio. Anche lui è stato appiedato, gentilmente, non come una collega sentita poco dopo che raccontava di una telefonata assassina di una preside che furiosa l’accusava di aver messo a repentaglio la sicurezza di 1500 allievi nella sua scuola e che non avrebbe mai messo più piede in aula. Più, no, solo il tempo di passare la quarantena, le due settimane, come da circolare. I miei tre presidi sono stati invece comprensivi ultra gentili quasi imbarazzati dal mio senso di colpa per avere il giorno prima fatto lezione nelle classi come se niente fosse. Colpo di tosse, da fumatore. Perché poi di niente si tratta. Per il momento. Nessun sintomo ma solo precauzione. E intanto penso. Perché quella strana euforia al momento della telefonata? Perché quella felicità smisurata? Ero davvero tanto infelice poco prima?

Decido dopo consultazione con Patrizia e Fortunato, di rispettare il protocollo e dare il via al mio primo giorno da internauta. È una questione di responsabilità sostenibile. Casa. E un oceano di tempo in cui appoggiare quel fragile naviglio che si chiama desiderio, con il termometro a portata di mano, per misurare la temperatura due volte al giorno, come da circolare.

*

2. Piccola meditazione sulla pandemia, ossia la rivoluzione per interposto virus

Andrea Inglese

Sono dispensato dal lavoro d’insegnante, mia figlia è dispensata dall’obbligo di istruirsi, per precauzione, perché potremmo essere contagiosi, essendo stati a Milano qualche giorno durante la seconda settimana di febbraio, e ora in Francia hanno stabilito delle misure abbastanza severe nei confronti non solo di chi viene dalla Cina, ma anche dalla vicinissima Italia. Potrei essere portatore di virus, potrei esser stato contagiato, come anche mia figlia, ma non provo la minima inquietudine, e se fosse per me, per il mio sentimento interno, con totale e delittuosa irresponsabilità, me ne andrei in giro con FF (alias Francesco Forlani), dal momento che anche lui gode della dispensa statale, e per quattordici giorni può farsi delle grasses matinées, come le chiamano i francesi, ossia quelle magnifiche mattinate, dove ci si sveglia senza trilli, dove s’indugia sotto il piumone, ripercorrendo con calma i resti ancora nitidi del sogno notturno, soprattutto se era un sogno erotico, di quelli particolarmente ignominiosi, fraudolenti, extraconiugali. Invece il mondo circostante, all’unisono, ci mette al passo: pochi grilli per la testa, restatevene davvero in casa, uscite il meno possibile, fate vita monacale. Allora, se devo fare il monaco, mi concedo un po’ di meditazione, fosse pure improvvisata.

 

La faccenda del Coronavirus è da seguire con attenzione. Bella scoperta, direte voi, ne va della nostra vita. Vero. Ma ne va anche della nostra mente, della nostra competenza emotiva, si potrebbe persino dire. E ne va anche, soprattutto, delle nostre istituzioni, del rapporto tra sicurezza e libertà, tra democrazia e autorità. Io partirei da una domanda poco pertinente: siamo sicuri che non ci piaccia avere paura? Proviamo a fare molta attenzione, nei media, allo slittamento che in questi giorni si continua a fare – non sempre, certo – tra epidemia e pandemia. Intendo dire che si parla, a volte, della pandemia come se già ci fosse, e non come un rischio. Può capitare, soprattutto nella foga del discorso. Foga appunto. Diciamo che l’idea della pandemia in realtà ha un grande potere seduttore sui nostri animi. Che sono animi “storici” ovviamente. Il mondo va molto male, non cessiamo di ripetercelo. L’Occidente è malmesso. Quando è populista, irragionevole, prepotente, avido, come nelle politiche e nelle vociferazioni di Trump, mantiene una sua innegabile potenza di fuoco, ma è odioso, manifesta un volto di cui non ci si può non vergognare. Quando, invece, l’Occidente è democratico, cioè dibatte, discute, sciopera, manifesta, è debole, inaffidabile, caotico. Tipo la Francia, sotto Macron, con i gilet gialli, gli scioperi a non più finire, le manifestazioni a pioggia. Va bè, ma si sapeva. Quelli poi che sono ammirevoli sul piano produttivo, economico, tecnologico, quelli con la bella crescita, sono poco sensibili ai diritti dei cittadini, li trattano invece che con i guanti col temibile pugno di ferro. Vedi i governanti cinesi. Poi c’è il pianeta, che è o in fiamme, o fonde a vista d’occhio. Quando uno si stufa di piangere la sparizione degli insetti e dei rapaci, basta che guardi quel che accade agli uomini. Non è che abbiamo smesso di ammazzarci massivamente, o di torturarci, o di lasciarci morire di fame e sete. Chi passasse qualche ora senza ricordarsi di tutto ciò è perché ha lo smartphone scarico o sta giocando a Candy Crush.

Diciamo che, anche a livello individuale, quando le cose stanno andando male in un certo particolare momento, le persone tendono a vedere nero. Non è una visione oggettiva delle cose, ma è in genere ben motivata, e soprattutto ha dei possibili effetti nefasti: la profezia negativa che si autoavvera. Io sento nell’aria da un po’ di tempo (un po’ di anni), questo particolare gusto per la catastrofe, per il grande spavento, per farsela addosso. Spia di questa sete di paura è il funzionamento dei media. Forse stiamo diventando dei tossici della fifa. Ne abbiamo bisogno in dosi sempre maggiori. La perdita di controllo ci affascina enormemente. Forse è per quello che la gente corre nei supermercati, perché vuole finalmente, almeno in quel contesto preciso, perdere il controllo. Mantenere il controllo su di sé, sugli altri, sul mondo, è una fatica tremenda, e può avere conseguenze devastanti sul nostro equilibrio, sulle nostre fragili possibilità di essere, malgrado tutto, felici nel 2020. Se una catastrofe è in arrivo, allora perché preoccuparmi di perdere il lavoro, di pagare il mutuo, di fare le cure necessarie, di essere uno stronzo, o un perdente, o un povero cristo? Saltiamo sul carro del Titanic che affonda! Mica son tutti così prevedibili e conformisti da saltare su carri che vincono. La pandemia vuol dire anche che tutto si blocca. Se già con l’epidemia succede questo, figurarsi con la pandemia. L’idea che tutto finalmente si blocchi ha sempre in sé qualcosa di millenaristico e rivoluzionario. La pandemia è una rivoluzione delegata a dei microorganismi, con le persone autonome e deliberanti in veste di figuranti, di pure comparse, che non devono impegnarsi un granché. I più virtuosi se ne stanno immobili davanti ad un lavello a lavarsi le mani, i più viziosi starnutano e sputazzano in mezzo a torme radunate o in movimento. La pandemia è un bella rivoluzione – non una festa di gala –, ma senza la noiosa assunzione di responsabilità.

Naturalmente c’è anche l’altra faccia della medaglia. In questo caso, però, non si tifa più inconsciamente per la pandemia, per la perdita di controllo, ma si tifa per un ritorno veramente serio, veramente professionale, con tutto l’armamentario statale in appoggio, dai poliziotti ai furgoni blindati, del controllo totale. Tranquilli, però, controlliamo tutto e tutti per precauzione, il pericolo è nuovo, è strano, è minaccioso. Non è bello affidarsi, finalmente, a babbo-Stato, che ci dice per filo e per segno quel che dobbiamo o non dobbiamo fare? Pensavamo che i corpi ci appartenessero, che ognuno si gestisse il suo, con movimenti certo anche involontari, ma globalmente lo portiamo a spasso a nostro piacimento, il sacco di carne. Invece il sacco di carne non è mica così nostro, tanto è vero che ci s’installa dentro il virus, e non siamo più noi a portarlo in giro, ma è lui che ci porta in giro, per diffondersi a suo piacimento. Quindi ci deve pensare lo Stato al virus, che forse è in noi, che forse ci salta addosso. Dove vorremmo, inconsapevolmente, che babbo-Stato piazzi il cursore? Precauzione sì ma cum grano salis, oppure meglio abbondare nella precauzione? Chiudere le frontiere, sbarrare i porti, azzerare i voli, tagliare ponti, bloccare la rete viaria? Si giocano due partite, ora, a livello simbolico. La ragione economica, che regna di solito incontrastata, esige malgrado tutto une certa dose di liberalità e pertinenza: affinché il commercio giri, è bene non lasciarsi infervorare troppo dalla pulsione di controllo totale e militaresco, altrimenti prima di morire di questa nuova influenza ci strangoliamo da soli, senza neppure l’obiettivo nobile e intelligente di una decrescita sociale ed ecologica, ossia andiamo semplicemente a capofitto verso la bancarotta mondiale. L’altra partita consiste invece nel giocare tutti, anche noi occidentali e democratici, di solito più rispettosi dei cittadini, al pugno di ferro alla cinese, e senza neppure l’efficacia di quel pugno, giusto per il gusto di dirigere e di essere diretti come si deve, come ai bei tempi, come si faceva in Europa ai tempi delle camicie tutte uguali, dai toni un po’ tristi. Anche questo è un sogno, che può essere fatto al riparo dal grande principio precauzionale.

Insomma, più che il calcio, più che le pop star, oggi sono i rischi di pandemia che veramente ci fanno sognare volenti o nolenti, consapevoli o ipnotizzati. Nel frattempo, magari, impariamo anche qualche rudimento di biologia molecolare, mentre interveniamo dottamente su Facebook.

 

 

 

 

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15 Commenti

  1. Ciao Andrea e Francesco, qui a Milano con le scuole chiuse abbiamo inventato un piano di studio autonomo per i ragazzi, e il mio datore di lavoro ha finalmente lanciato un programma di lavoro agile (fusse che fusse la volta buona). Spiace soprattutto la separazione dei ragazzi dai loro insegnanti e dai compagni.

  2. Caro Jan, soprattutto è la fine dell’Happy Hour: Milano agonizza…

    comunque di bello c’è, come dici, la sperimentazione pedagogica genitori-figli… Fino ad oggi erano stati preservati dalle velleità didattiche dei genitori, ma finalmente non abbiamo più le mani legate!

    • G: Fino a che capitolo avete studiato Scienze? Studia il prossimo capitolo.
      F1: Ma non la prof non ci ha detto di studiarlo!
      G: —-

      G: E dopo Storia e Scienze, che ti piacciono, devi fare anche due pagine di matematica.
      F2: Ok.
      G: Fai anche gli esercizi delle divisioni, prima la brutta coi calcoli, poi la bella.
      F2: Noooo i compiti noooo!

  3. due bellissimi brani, li ho inviati via mail ad alcuni amici. Perché lo meritano assolutamente. Un abbraccio ad ambedue gli internauti.

  4. due bellissimi brani, li ho inviati via mail ad alcuni amici. Perché lo meritano assolutamente. Un abbraccio ad ambedue gli internauti.

  5. Ciao Jan, anche mio fratello a Parma mi ha raccontato della stessa esperienza. forse sarebbe ora. nel nostro caso pero’ le scuole sono aperte, siamo solo noi a “rimanere chiusi”. Organizzare corsi a distanza diventa allora complicato perché ci vorrebbe in aula qualcuno che sorvegli la classe e non tutte le scuole hanno abbastanza personale per seguire i gruppi secondo materia e non come avviene invece per le classi complete nelle grandi aule chiamate di permanenza.
    Quel che è surrealista per noi è il fatto di avere si’ avuto contatti con le “regioni del nord” ma non i centri focolai del virus. Dunque il margine di “contaminazione” è ridotto. Nonostante questo stiamo eseguendo la profilassi, isolamento in casa, diserzione dei luoghi pubblici ecc, perché è giusto agire responsabilmente. Una delle questioni soggiacenti rimane quella del “pregiudizio”, italiani=contaminati, testimone passato dalle mani dei poveri cinesi dopo la prima fase. Provare sulla propria pelle questa esperienza un po’ ti fa pensare. questo ed altro sarà leggibile sulla nostra nota di domani. effeffe

  6. Francesco, finora qui a Berlino non ci sono particolari problemi, ma cominciano a arrivare le prime mail collettive dalla scuola di mia figlia (ho letto anche la parola Mailand in queste mail…). Sui giornali comincia la conta dei contagiati in Baden-Württemberg…

  7. Troppo belli i due articoli, con i due brani musicali. Li ho condivisi e pubblicati su facebook e twitter. Grazie.

    • E noi sentitamente ringraziamo. ti segnalo ma l’avrai certamente già letta, la suite appena uscita
      effeffe

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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