Svolgere l’ardore. Richard Tarnas e la mente occidentale
di Eleonora Vinante
Richard Tarnas è noto in Italia per il suo saggio Cosmo e psiche. Un approccio psicologico alla conoscenza dell’universo (Edizioni Mediterranee), che lo ha reso un punto di riferimento per i ricercatori filosofici attratti dalla psicologia del profondo.
Ora Edizioni Tlon pubblica per la prima volta in Italia un suo saggio, L’ardore della mente occidentale, ovvero una monumentale e vertiginosa “narrazione storica della visione occidentale del mondo dall’antica Grecia al mondo postmoderno”, come dichiarato nella prefazione.
Tarnas è un autore in grado di ricevere stima da figure apparentemente distanti come James Hillman e John Cleese (uno dei volti storici dei Monty Python); possiamo comprendere il perché leggendo questa storia della filosofia occidentale narrata come un’avventura: “La cultura occidentale sembra avere dinamiche la cui portata e bellezza ricordano quelle di una grande tragedia epica: la Grecia antica e classica, l’Ellenismo e la Roma imperiale, l’ebraismo e l’ascesa del cristianesimo, la Chiesa cattolica e il Medioevo, il Rinascimento, la Riforma e la Rivoluzione scientifica, e poi l’Illuminismo e il Romanticismo, e via discorrendo fino ai nostri avvincenti giorni. Grandezza e magnificenza, drammatici conflitti e sorprendenti soluzioni hanno segnato il lungo percorso della mente occidentale nel tentativo di comprendere la natura della realtà”.
Tarnas inizia presentando la visione greca del mondo, analizzando in primo luogo il suo leggere la realtà attraverso forme archetipiche, nella sua evoluzione dalla visione mitica dei poemi omerici al cosiddetto “illuminismo greco” dell’Atene del V° secolo, momento in cui “la cultura ellenica raggiunse un delicato e fertile equilibrio tra l’antica tradizione mitologica e il razionalismo secolare moderno”, fino alla crisi creata dall’umanesimo relativista dei Sofisti e l’avvento rivoluzionario di Socrate. Molto centrate, a questo punto, risultano le considerazioni sul “romanticismo religioso” di Platone: “Platone suggerì quindi che la visione filosofica più elevata fosse possibile solamente per coloro che possiedono il temperamento dell’amante. Il filosofo deve lasciarsi possedere internamente dalla forma più sublime dell’Eros: quella passione universale per il ricomporsi di un’unità interiore, per il superamento della rottura con il divino e il ritorno a un’unità con lui.”. Questo ardore, questa devozione ardente per la sapienza troverà un rovesciamento, eguale e contrario, in Aristotele. Quasi a evocare il celebre quadro di Raffaello, Tarnas afferma: “Con Aristotele fu come se Platone fosse sceso sulla Terra.”. I due giganti speculari dell’epoca aurea del pensiero greco creeranno una “duplice eredità”, che possiamo sintetizzare nella seguente considerazione: “La permanente interazione tra questi due insiemi di principi, in parte complementari e in parte antitetici, instaurò una profonda tensione interna nell’eredità greca e fornì al pensiero occidentale un fondamento intellettuale allo stesso tempo instabile e fortemente creativo, da cui sorgerà la vivace evoluzione dei due millenni e mezzo a seguire.”.
Dopo aver esplorato il fascinoso declino del periodo alessandrino, e aver tributato la corretta ammirazione a Plotino come padre nobile del Neoplatonismo, Tarnas affronta la comparsa del cristianesimo, sottolineando correttamente come la visione cristiana del mondo sia stata ideologicamente plasmata originariamente da Paolo di Tarso e, in seguito, da Agostino: “Ecco perché il Gesù che è passato alla storia era il Gesù che nel Nuovo Testamento è presentato, ricordato, ricostruito,interpretato, abbellito e vivamente immaginato dagli scrittori che vissero una o due generazioni dopo il periodo in cui si riferiscono nella loro narrativa, nonostante dicessero di aver scritto solo fatti raccontati dai suoi discepoli originali”. Una visione in parte derivante dalla “divinizzazione della storia” operata dal monoteismo ebraico, in parte, come è noto, dall’eredità platonica (“ la forte spiritualità della filosofia platonica non solo era in armonia con le concezioni cristiane derivate dalle rivelazioni del Nuovo Testamento, ma contribuiva anche alla loro elaborazione e alla loro elevazione”), attraverso la complessa dialettica della “conversione della mente pagana”. Tarnas è troppo consapevole per non raccontare, nel dettaglio, le “tensioni all’interno della visione cristiana”, il “conflitto intrinseco del cristianesimo tra redenzione e giudizio, così come tra l’unificazione di Dio con il mondo e l’acuta distinzione dualistica”, risolto (si fa per dire) dalle “predisposizioni monolitiche” agostiniane.
Particolarmente interessante è la terza parte del volume, dedicata alla trasformazione dell’epoca medievale, al risveglio scolastico, alla imponente cattedrale di pensiero eretta da Tommaso d’Aquino, all’ascesa del pensiero laico e allo sviluppo critico della Scolastica rappresentato da Occam, alla grande visione poetica di Dante.
Soprattutto, è apprezzabile il ruolo cruciale conferito a Petrarca, alla soglia della “visione moderna del mondo”.
Nella seconda metà, il testo si fa più provocatorio e stimolante, avendo come oggetto tematiche sempre più prossime alla contemporaneità.
Ad esempio, non è banale come Tarnas sfati il mito del Rinascimento ideale, restituendone onestamente tutte le potenti contraddizioni, mostrando come fu in uno “scenario di decadenza culturale, di violenza e di morte” che ebbe luogo. Ancora più interessante il peso conferito, in contrasto con la visione illuministica, all’impatto della conoscenza esoterica sulla “razionalità” moderna e rinascimentale: Tarnas sottolinea la “collaborazione tra scienza e tradizione esoterica” e il suo “ruolo imprescindibile nella nascita della scienza moderna”.
Stesso onesto trattamento viene riservato alla riforma luterana e alla rivoluzione scientifica (con speciale riguardo per Keplero), svolte storiche propedeutiche alla rivoluzione scientifica di Bacone e Cartesio.
Tarnas si tiene in circospetto equilibrio sul “trionfo del secolarismo” che, se da un lato ha spazzato via millenari condizionamenti dogmatici, dall’altro ha negato un aspetto fondante della ricerca filosofica: “Forse il paradosso maggiore relativo al carattere dell’era moderna risiede nello strano modo in cui il suo progresso, nel corso dei secoli successivi alla Rivoluzione scientifica e all’Illuminismo, ha portato l’uomo occidentale verso una libertà, un potere, un’espansione, un’ampiezza, una conoscenza, una profondità di visione e risultati pratici senza precedenti; contemporaneamente ha contribuito a sgretolare la condizione esistenziale dell’essere umano su tutti i fronti: metafisico, cosmologico, epistemologico, psicologico e persino biologico. L’evoluzione dell’era moderna sembra essere segnata da un equilibrio instabile, da un intreccio inestricabile di elementi positivi ed elementi negativi”.
Non possiamo che sottoscrivere.
Nell’ultima parte i salti temporali (da Marx a Kant, da Darwin a Locke) sono continui anche se tutti facilmente comprensibili, una volta afferrata la traiettoria attraverso il tempo in cui l’autore ha lanciato la propria riflessione. “Il declino della metafisica” va di pari passo con “la crisi della scienza moderna”, nell’esplosione contraddittoria delle pulsioni filosofiche che il Rinascimento era riuscito con grazia a tenere insieme. Un dualismo che si ritrova nelle “due culture”: una che “sottolinea l’importanza della razionalità, della scienza empirica e del secolarismo scettico”, l’altra che propugna l’espressione proprio degli “aspetti dell’esperienza umana che lo spirito razionalista predominante dell’Illuminismo aveva rimosso”.
Questo sguardo consente a Tarnas un giudizio equilibrato su Hegel (“La mente moderna prese molto da Hegel, soprattutto la sua comprensione della dialettica e il suo riconoscimento dell’universalità dell’evoluzione e il potere della storia. Ma il pensiero moderno non adottò la sintesi hegeliana per intero”), considerando come le reazioni “irrazionaliste” alla sua metafisica porteranno di fatto alla grande crisi postmoderna del Novecento, preannunciata da Nietzsche.
Tarnas sembra stare dalla parte di Blake più che di Bacone, di Jung più che di Freud, di Camus più che di Sartre.
Nel finale, si coglie il punto centrale del momento filosofico attuale: “Prevale un caos di interpretazioni valide, ma apparentemente incompatibili tra loro, senza soluzioni visibili. Senza dubbio, un simile contesto causa meno inconvenienti al libero gioco della creatività intellettuale rispetto a un paradigma culturale monolitico. Ma la frammentazione e l’incoerenza non sono esenti da conseguenze inibitrici. La cultura soffre a livello psicologico e pratico l’anomia filosofica da cui è invasa. In assenza di una visione culturale valida e idonea, i vecchi presupposti restano in vita a fatica e forniscono al pensiero e all’attività umana un programma sempre meno adoperabile e pericoloso.”.
Al termine della lettura, impegnativa quanto arricchente, possiamo confermare come Richard Tarnas abbia saputo raccogliere degnamente la sfida da lui posta a tutti noi: “ogni generazione deve esaminare e analizzare a fondo le idee che hanno determinato la sua comprensione del mondo. Il nostro compito è quello di farlo dal complesso punto di vista del tardo xx secolo”.
LE “REGOLE DEL GIOCO” E ” L’ARDORE DELLA MENTE OCCIDENTALE”. Fine della Storia o della “Preistoria”…
SE è VERO, COME è VERO, CHE “ogni generazione deve esaminare e analizzare a fondo le idee che hanno determinato la sua comprensione del mondo”, PER UNA “narrazione storica della visione occidentale del mondo dall’antica Grecia al mondo postmoderno”, IO INVITEREI A RIMEDITARE l’incompresa lezione di NIETZSCHE
(http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5556) e ad uscire velocemente dall’inferno epistemologico “contemporaneo”!!!
Federico La Sala