LA MUTA PER AMORE – ESTRATTO

di Francesca Canobbio

Precipita il principio poiché si segna solo nel momento successivo all’attacco per recupero di distacco e nel suo vuoto può compiersi come onda e come salire così scendere a terra un colore e il cielo aperto davanti e dietro un’ iris arcobaleno che volteggia ad ogni precipitazione ma prima piove il mare asceso per eccesso sull’equilibrio elementare che è governo di cosa ed ad ogni cosa restituisce il senso ed il sentimento per quanto profondo così si leva acuto dentro la spinta che è di motivo motivazione e sempre nuova di ritmo e fughe

Prendi le tue ore di distanza quando parto mentre mimo per eccesso di ego una qualsiasi delle mie pose su questo calendario magnetico ad anno aeternum che va ora oscillando in positivo nella mia marina per spondarti là dove batte la mia onda che congiunge in trigoni ed opposizioni i nostri astri dominanti nella casa dove si trovano i nostri segni e le nostre cicatrici che passeranno disattese sui muri che come cariatidi abbiamo innalzato e toccheranno forse qualche millimetro di vuoto da colmare o forse faranno il centro di qualche storia millenaria a me coeva o meno di catastrofi epocali che alcun sismografo ha mai registrato a meno di quanto si possa immaginare nei silenzi fra le partiture degli spartiti che fra una sorda nota di infinito che si pavoneggia di chiudere le sinfonie con un occhio chiuso ed uno aperto ad nuovo indirizzo cui evocare per mantenere l’ensemble della realtà o funzione dominante che è la sola eccezione che conferma la nostra regola e ragione di esistere per trasgredirla di continuo e ripetere nella voce di altri alcuni la nostra voce nel tempo di un singhiozzo che la porta via da ognissia

Quando mi stacco da terra lo faccio con l’accordo dei colori dell’arcobaleno in una ascesi che può culminare nel momento caldo di rossarancio che scenderà inevitabilmente le sue ciglia gialle nel verde lasciapassare per un blu freddo che ghiaccia il tempo delle piogge nel panorama dei tropici sui quali scendo illuminata dall’ultimo dei soli della ultima delle galassie in una galleria dove esposti i sigilli ai quadri dell’esistere possa io essere testimone del furto di essi per aprire anche ai più scomodi le dimensioni più eccelse di qualsivoglia prospettiva inusitata di anima mundi che vibra fra le pieghe di un vortice che profondo si elica e poi si chiocciola nelle venature che suonano la musica nella conchiglia del maremoto umano che di una unica epoca tutte emoziona il big bang ed il grande caos primigenio battito che ultimo piano rincorre con il fiato sospeso il pericolo di dare vita alla vita e ciò nonostante soffiare viva l’esistenza staccando l’anima su una pista da ogni altra anima in tempi precisi per intersecare il pensiero nel cuore del proprio essere che da un seme una coppia una scala un colore un’altra partita

Indovinami sempre la figura amore mio dammi con i gesti la giusta scusa alla mia maschera che solo a te è chiara quando mi innalzo sull’onda del nostro oceano infuso a vicenda mentre ci scambiamo da bere le tazzine dei respiri che si consumano nell’elisir che ci prepariamo a vicenda là dove il mare è camomilla e si può galleggiare mescolando zucchero con il veleno dei giorni intarsiando nelle vene ogni parola del mondo e del nostro sangue fare banchetto ad ogni tramonto come un cristo che si dona sull’ altare nascosto nelle cripte dove portiamo il nostro sacrificio in offerta al mondo così che possa vesperando il pensiero innalzarsi ad un nuovo giubilo di amore che con il cuori stretti fra la pietà per ogni altro cuore fra spade di cemento armato che si innalzano sulla capitale assediata dagli umori del mondo per tutti i giorni fino all’ultimo che mi dedicherà un cielo su cui tingere un tempo della mia esistenza che piove e spiove sul cobalto ardito ed aspirato mentre cresce e si espande la nostra anima che un giorno non potrà che lasciare il corpo per tornare nel nucleo essenziale il giorno che andremo a cercarci oltre il rapimento ed il desiderio della materia quando faremo l’amore nella totalità al di là delle passioni così emancipati da ogni nostro vizio di vivere

Riposo sui millimetri di spazio che mi concedi quando non sei ancora qui presente ad agguantare con agguati la mia anima che ti restituisce la mia altezza sulle tue torri di controllo imbastite a terra di caccia dai sarti della sera che ti veste di terreni conquistati e ti regala una cravatta per soffocare la gola nel nodo del sentimento di ora che ancora hai la mia aria nelle vene e prima che giunga il bisogno assurdo l’astinenza dei nostri effluvi che si scambiano segnali sulla rotta delle comete che regalano un natale e poi ancora la nostra pasqua fra lenzuola di nuvole e piogge acide di mondo dalle quali epurarsi trovando riparo nei giacigli profumati dai nostri pori e dalle nostre carni che coincidono con il ritmo delle bellissime fiere in contrasti ed in ritorni di questa pace tanto agognata questo nostro vivere solo nella complessità del contatto fra le marce dei militi che chiedono riposo e a seconda del loro grado e tempo scorgono da sentinelle l’arco di sguardo dove rifugiare e dove posare gli occhi in altri occhi che li contemplino e dei quali essere pupilla

L’ora scocca sempre fra gli anticipi ed i ritardi che snocciala il tuo calendario alla mia meridiana genuflessa all’ultimo piano illuminato dai tuoi occhi solari sfuggiti alle orbite dei miei satellitari compassi o quanto rimane di vivo ad ogni mio congedo quando perdo la figura insieme alla tua e così resto disfatta come il letto del fiume sino ad ogni nostra foce quando ciò che mi scuote non è che l’oceano mare della tua parola adamitica nel più vivo dei peccati di banchettare a verbi di esperanto che mi incatenano oltre il solipsismo dei miei dialoghi interiori là dove tu oltrepassi il mio confine oltremodo cinto dall’abbraccio di ciò che tu sai quanto io sia nella trincea valicata dal mio amore che nel tuo azzardo si fa nome di creatura che ancora vive caleidoscopiche fughe musicali e adora il tuo verbo che nel segreto gioco fra la mia domanda muliebre in movimento e la tua risposta che serve il numero esatto delle nostre conoscenze mi fanno sapere il plurale di me stessa ché è di nuovo noi essere mondo unico eppure a noi molteplice

Io sono colei che puoi doppiare senza battute perché nessuna
Voce sarà mai più forte di un sospiro
E tu che mi leggi il labiale coi baci che non ti ho
Dato ora dammi indietro il vento per riempire tutti i miei anni
Il colore dall’alba al tramonto
E la notte che non c’è
L’umida pioggia di Ermione che sono le
Voglie distese
L’umore e il buonumore
Il rumore dell’ancia del fluato
Sull’unica lingua
Possibile

Come ti chiamo
Voce di suono
Musica
Tamburo d’ossa
Che sei scheletro dei miei mondi
Spina dorsale
Su due piedi di metrica poetica
Per parlare
eco e rieco
Noi sempre
Declinati in tutti i tempi
E modi
Senza punto di domanda?
L’amore ti parla una volta sola
L’amore ti parla una volta
L’amore ti parla
___
L’amore

Sugli spartiti del cuore
La tua musica
È il silenzio del bacio
Fra i gemiti di un armonico amplesso
Che mi cava sussurri sensuali
Dall’alto della mia prima bocca
Al basso della mia seconda bocca
Con cui mangio la seconda lingua
Che mi narra di terzi occhi dell’universo
Sulla quarta corda che fugge nell’aria tersa
A toccare tutti i miei tasti
Ed i miei posti
In prima fila
Sul sipario
Concertando l’amore nostro

Armonizzami con il tuo diapason
Per dare un battito costante
Al mio cuore
Che potrebbe esplodere
Sugli acuti dei tuoi silenzi
Da leggere con la poesia

La precisione dell’amore
È la distrazione
Dal sentimento di solitudine

Profili che combaciano
Oltre le mura del corpo
Quel che ne resta
È empaticamente
Amore
E luce nello sguardo
Che tocca silenzioso
Il disegno delle Dolomiti
Negli occhi
Allo scadere delle nevi

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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