Un’educazione milanese
di Gianni Biondillo
Alberto Rollo, Un’educazione milanese, 320 pagine, Manni editori, 2017
Come si forma una persona? Grazie a chi o cosa? I genitori, gli amici, gli incontri fortuiti, gli ambienti frequentati, le strade percorse… non è tutto questo, in una parola, la città stessa dove si è vissuti?
Il protagonista di questo libro – né romanzo, né saggio, letteratura ibrida, che usa i ricordi personali per renderli condivisi – aspetta l’arrivo della metropolitana che lo deve riportare a casa. Questo frangente ctonio diventa la metafora di una condizione della memoria profonda, che scava nelle viscere del passato.
Alberto Rollo, l’autore e protagonista di Un’educazione milanese, ritorna ai momenti necessari, formativi della sua infanzia e giovinezza. Trova nella città operaia delle fabbriche, dei cavalcavia, dei cantieri, delle periferie, nella Milano del dopoguerra e del boom il suo paesaggio interiore, la definitiva lezione esistenziale.
Essere milanesi, in quegli anni, significava appartenere a una classe sociale, sentirsi parte di un progetto di emancipazione collettiva, guardare al futuro con ottimismo. Un’educazione milanese ha in molte pagine il passo del romanzo familiare – quello che rammenta i nonni emigrati dal sud, o i lavori umili dei genitori – in altre quello del romanzo di formazione – le nuove amicizie adolescenziali, l’impegno politico negli anni dell’università, la perdita tragica di amicizie fraterne.
Ma su tutto, è la condizione di milanesità che Rollo cerca di dimostrare. Giganteggia, in questo senso, la figura del padre, il metalmeccanico comunista dalla morale integerrima, dal quale per ribellione giovanile il protagonista cerca di emanciparsi. Rendendosi conto, ora, seduto su quella panchina della metropolitana, con gli anni di suo padre allora, quanto gli sia riconoscente. A lui e alla città che pullula sulla sua testa.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione numero 37 del 12 settembre 2017)