La gente non esiste
di Gabriele Merlini
Tra i refrain più in voga, avendo la sfortuna di trattare di editoria, c’è senza dubbio questo dei racconti (tirarlo fuori nelle conversazioni non è mai uno sport salutare, tuttavia tornarci potrà aiutare i distratti a orientarsi meglio, funzionando da pratico punto di partenza.) Riassunto: esisterebbe un diffuso, radicatissimo timore nei confronti delle short stories, delle raccolte, delle antologie. Motivazioni più che note: attirano poco, coinvolgono poco, vendono poco, sono difficili da classificare, in fascetta è un dramma, bisogna scovare un sinonimo accettabile di racconto («otto avvincenti romanzi brevi?») senza contare quanto vantino misteriosi poteri satanici grazie ai quali il lettore tende a smarrirsi, confondersi, incattivirsi. Viceversa è nostro dovere tutelarlo con malloppi lineari e omologati.
Per fortuna la faccenda è vera solo in parte, specie in questi tempi di fioritura di realtà specialistiche eccellenti e felici esordi; ma la costante ripetizione del mantra fa sì che qualsiasi uscita nel settore venga all’inizio salutata come un piccolo, fondamentale miracolo degno di stupore e sbigottimento.
«Ogni tanto tendeva a balbettare – lui diceva di essere insicuro,
ma a me piaceva pensare che lo facesse perché aveva
molto da dire, e la lingua, le labbra, la faringe, non gli stavano dietro.»
Secondo quest’ottica, dunque, Paolo Zardi avrebbe dalla sua la recidività essendo già autore di due libri di racconti (Antropometria e Il giorno che diventammo umani, entrambi pubblicati da Neo Edizioni) oltre alla produzione romanzesca (XXI Secolo è stato candidato allo Strega. Tutto male finché dura è uscito l’anno scorso per Feltrinelli). La verità è che l’ultima raccolta dello scrittore padovano – La gente non esiste, nuovamente con i tipi di Neo – finisce per essere una operazione riuscita sotto vari punti di vista e merita qualche approfondimento.
«Il 2015. Sembrava un anno impossibile da immaginare, allora.
Prima si doveva arrivare al 2000, la fine di un secolo, di un millennio,
e poi serviva ancora un’altra vita, lunga come quella che aveva appena vissuto.
Dove sarebbero stati nel 2015?»
Non saprei quanta consuetudine con altri autori di racconti italiani o stranieri richieda il libro per comprenderne i punti di forza (immagino poca, giustamente) però tra gli aspetti migliori parrebbe esserci la capacità di restituire chiare le influenze, reinventandole via via affinché risultino il più possibile aderenti alla contemporaneità cui siamo immersi. Ventisette quadri – numero che può spaventare, va ammesso – dalle differenti ambientazioni e protagonisti, esposti secondo una prospettiva personale e poco usuale. Scientifica attenzione ai particolari in apparenza secondari, ai dialoghi e le digressioni, focalizzandosi su quanto di epifanico possa nascondersi in ciò che riteniamo superficiale sbagliandoci di grosso. La quotidianità di individui (non gente: termine che grazie al cielo sta riguadagnando una propria tremenda connotazione) posti davanti le rispettive solitudini, inadeguatezze e paure. Plot nella norma lineari – i testi sono per lo più singole scene dissezionate da molteplici angolature – che restituiscono inediti istanti di scoperta e presa di coscienza e per il lettore, o quantomeno per il lettore che scrive questo pezzo, è curioso il processo di identificazione, di ritorno a un vissuto personale sovrapponibile più o meno con precisione alla situazione descritta: ricordi liceali mitizzati, una evacuazione aziendale, una spiaggia affollata che invita alla riflessione, fotogrammi di vita urbana conditi dal rimorso («quando finiva di lavorare, passeggiava per le strade di Milano, da sola, e guardava i giardini nascosti dietro i portoni imponenti di via Borgonuovo, le luci accese fino a tardi nelle finestre dei palazzi ottocenteschi di piazza Cordusio e non smetteva di immaginare cosa potesse significare avere una vita di successo»: qui temo Zardi mi abbia letteralmente pedinato).
Lo stile, alternando virate umoristiche, sarcastiche e cupe – bastano i titoli eterogenei per provare a farsi un’idea: Le sottili pareti del cuore unita a Le cyclette non vanno da nessuna parte – è misurato, funzionale al ruolo che sembra prefiggersi: indagare quanto ci circonda e farlo in modo diretto, senza veli. Pagine talvolta dure ma mai banalmente spietate come capita di incontrare in giro, più un diffuso senso di lievità: caratteristiche non frequenti da queste parti, dunque da accogliere positivamente.
[…] «Tra i refrain più in voga, avendo la sfortuna di trattare di editoria, c’è senza dubbio questo dei racconti (tirarlo fuori nelle conversazioni non è mai uno sport salutare, tuttavia tornarci potrà aiutare i distratti a orientarsi meglio, funzionando da pratico punto di partenza.) Riassunto: esisterebbe un diffuso, radicatissimo timore nei confronti delle short stories, delle raccolte, delle antologie. Motivazioni più che note: attirano poco, coinvolgono poco, vendono poco, sono difficili da classificare, in fascetta è un dramma, bisogna scovare un sinonimo accettabile di racconto.» Il resto qui. […]