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sull’editing (lettera a una editrice)

di Giacomo Sartori

ciao X.,

ti scrivo ora – a mente fredda – perché non amo lasciare le
cose aperte, o insomma senza spiegazioni; mi disturba, visto che avevamo un
legame diretto, che la cosa sia stata liquidata tramite l’agente; e lo trovo
anche poco rispettoso per l’autore che sono, quindi su un piano più
professionale;

trovo un po’ assurdo quello che è successo, perché secondo me un libro
buono – e mi sembrava che il tuo giudizio iniziale fosse molto positivo – è
una cosa rara, ha qualcosa di un po’ magico, quasi di “sacro”, che è ben più
importante – con il senno di poi – dei rattoppi e delle aggiustature – sulle
quali certo ci si concentra e accanisce, come è giusto che sia – che gli si
danno per dargli una versione finale; ma appunto o l’anima del testo c’è o
non c’è, e questo si vede alla prima lettura; questa è la mia percezione dei
testi;

pur non essendo alle prime armi (e questo conta molto), io ascolto sempre
molto attentamente (infinitamente di più degli scrittori che conosco, mi
stupisce sempre la loro indifferenza – sul piano profondo, lasciando stare
le reazioni dell’ego – ai commenti, che per certi versi invidio), e con
molto interesse, quello che viene detto sui miei testi, e mi è quasi sempre
molto utile, in una maniera o nell’altra, ragionarci sopra; e ho nel
complesso sempre lavorato molto volentieri con gli editor (forse l’unica
eccezione è proprio [il romanzo] X.); proprio perché penso che i miei testi, fermo
restando il nucleo per molti versi inspiegabile di cui sopra, siano
migliorabili, e un valido e sensibile occhio esterno può aiutarmi, e anzi mi
aiuta tout court;

ma è una cosa molto delicata, dove devo sentirmi a mio agio; non si tratta
di una fiducia a priori, è un qualche cosa che si crea “sul campo”, appunto
con il confronto sul testo, con tutto quanto di vivo e per certi versi
“pericoloso” questo comporta; ho bisogno di sentire che c’è una piena
fiducia che potrò utilizzare al meglio quello che mi si dice; in tutti i
grandi editor con i quali ho lavorato, che potrei citare, c’era questa
“gratuità”, questa generosità, questo dare moltissimo ben sapendo che magari
non avrei condiviso le loro “critiche”, o forse meglio avrei trovato
soluzioni diverse, o anche completamente a controcorrente, rispetto a quelle
che mi suggerivano; sempre continuando a dialogare, ma appunto per una
strada anche in rottura con i suggerimenti; e appunto queste persone, alcune
semplicemente geniali (X. X., per dirne una, e non a caso è anche un grande
autore), hanno sempre accolto le mie soluzioni, perché avevano fiducia nelle
mie capacità, mi stimavamo come autore, e pensavano che un testo è il figlio
di un autore, non di un lavoro di equipe; io, e ancora di più ora che non
sono un esordiente, ho bisogno di sentirmi libero; spalleggiato, affiancato,
ma completamente libero;

quello che poi mi ha davvero disturbato è il commento frettoloso (anche se
certe cose erano azzeccate) della persona che mi affiancavi, che non
conosceva minimamente la mia opera, la mia scrittura, i miei risultati
migliori, le mie debolezze… e aveva probabilmente metri di giudizio e
riferimenti differenti dai miei; tutta la mia “carriera letteraria”, il
lavoro di decenni, veniva data in mano a una persona che chiaramente aveva
fretta, e evidentemente – dal mio punto di vista – non aveva gli elementi
per aiutarmi, non mi aiutava (ripeto, pur dicendo alcune cose stimolanti),
non andava verso la messa in opera di quel delicato rapporto che ho cercato
di descrivere sopra;
per me è stato sgradevolissimo, e direi anzi traumatico, di colpo ero
strappato fuori dalla dimensione della mia scrittura, che è un qualche cosa
di artigianale e molto terra terra, ma tocca anche a qualcosa di sacro
(altrimenti non mi interesserebbe, e non lo farei); tutto il mio lavoro e i
miei risultati non contavano nulla, e ero portato altrove, dove non mi
importava di essere (lì ci sono per le mie cose di lavoro, e lo faccio
volentieri e con gioia, e lì ci sono per i miei problemi quotidiani, ma
appunto la scrittura è altra cosa);

e per me sono molto importanti, sempre perché siamo vicini a quella “zona
sacra” e a quelle vulnerabilità, altri elementi di contorno, che per esempio
sul lavoro non mi importano; quali per esempio la puntualità nel pagare
l’anticipo, e altri aspetti sui quali non voglio soffermarmi, perché il nodo
principale rimane quello che ho cercato di esporre sopra;

certo poi anch’io ho il mio carattere e rigidità, ho l’età nella quale se ci
si è lavorato un po’ sopra si comincia a conoscersi abbastanza bene; ma per
me queste sono inezie, rispetto alle verità contenute nella scrittura; se io
fossi un editore mi preoccuperei solo di queste, e ben poco dei limiti umani
dei loro autori;

un caro saluto

g.

 

NdA: quella qui sopra è la mail che ho scritto di getto (di qui le ripetizioni lessicali etc.) e ho sentito il bisogno di mandare qualche mese fa, a cose già fatte, all’editrice che avrebbe dovuto fare il mio prossimo romanzo (avevamo già firmato un contratto), e che poi ha deciso di non farlo più (il contratto è stato rescisso); lei aveva amato molto il mio testo, ma riteneva che andassero fatte delle modifiche, cosa sulla quale ero d’accordo di confrontarmi, ma a proposito delle quali, e sulla modalità delle quali, si è andato appunto delineando un dissenso, finito in separazione;

la riporto tal quale, togliendo solo i riferimenti alle persone (e ho corretto un errore di battitura), perchè in essa esplicito, mi sono accorto a posteriori, alcuni punti molto semplici ma fondamentali (non certo tutti) su come l’eding di un romanzo mio o di altri scrittori – amici o meno – che stimo, può essere un passaggio molto positivo (in questo caso le cose sono andate male, ma in altri casi mi sono trovato molto bene); e questo mio punto di vista individuale, legato intimamente a una pratica di scrittura, la mia, ma appunto per me estendibile anche a altre scritture “già consolidate” che apprezzo (senza quindi voler disquisire sull’editing in generale), può forse interessare anche altre persone e altri scriventi e scrittori (beninteso con visioni eventualmente anche diverse);

tutto ciò al di là della vicenda particolare, che riguarda me, e che non intendo rendere pubblica;

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6 Commenti

  1. Qui viene fuori il conflitto molto generale fra letteratura-comunicazione e letteratura industriale, fra libro come messaggio-dentro-una-bottiglia lanciato verso i possibili lettori come in un mare ignoto, e libro come merce che viaggia nel mercato, tramite le sue modalità. Sono entrambe realtà che hanno loro profonde motivazioni, non ha senso evidentemente contestare la dimensione economico-industriale della letteratura contemporanea, ma la letteratura è storicamente e sostanzialmente comunicazione. La dimensione industriale, che attualmente produce quella sociale (l’attenzione del lettore ignoto), certo va a cozzare con la comunicazione, ha sue esigenze che la possono soffocare. Si cercano equilibri praticabili di solito, ma sono sostanzialmente due cose diverse (consumo verso comunicazione). Ci può essere un altro circuito per la letteratura-comunicazione? Per il momento non c’è, c’è un conflitto oggettivo

  2. caro Giacomo, interessante vicenda ma diversa e forse opposta alla mia: gli editori, almeno due, cui ho ultimamente proposto delle cose, dopo che essi avevano manifestato interesse — oh, che interessante, mi mandi un progettino — alfine tacciono mesi e mesi e non ti dicono neanche no, semplicemente ti lasciano nel brodo tuo, che Zeus li disperda.

  3. ci sarebbe per me molto da dire e da discutere, evitando le generalità e le scontatezze (e soprattutto vedendo le specificità, l’interesse mi sembra essere sempre quello, delle differenze tra i vari paesi …; il romanzo passa le frontiere, se ne frega per molti versi dei confini nazionali, lo diciamo sempre, ma le pratiche editoriali no, quelle si conformano alle nazioni), e tenendo presente che le categorie che si usano sono sempre – per queste cose – difficilmente delimitabili in modo certo e per certi versi i limiti tra di esse sono spesso porosi, l’editing è uno dei tanti temi legati alla scrittura che nessuno affronta mai in modo davvero approfondito; partendo appunto dalle esperienze individuali, che solo contano; ma dove, quando? interessa a qualcuno? non sembra; gli addetti al lavoro sembrano sapere già tutto, hanno le idee sempre ben chiare; beati loro; e tanti autori, davvero tanti, si leccano le ferite a casa loro, in silenzio;

    quel che è certo è che il ruolo/statuto dell’autore è da noi molto molto debole; si vale qualcosa, e si conta nei confronti degli interlocutori del settore, se si vende molto, e si è celebri, raggiungendo lo statuto feudale del signore (e allora si può signoreggiare), altrimenti si rimane – ce lo ricorda sparz qui sopra – umili servi, che hanno solo da imparare e da ascoltare le lezioni, e da scrivere lettere che non ricevono risposte (vedi Moresco), e che devono ringraziare di essere pubblicati (invece di vederla come una collaborazione tra pari (io a dir la verità metterei un po’ sopra gli autori, mi sembrano più essenziali, ma lasciamo stare)); anche se si hanno dietro tanti libri buoni, tanti lavori: non conta nulla di nulla (diventa anzi un marchio ancora più infamante: la tua opera è allora la prova che non ti meriti la tua celebrità, che essa non vale niente);

    ma certo che senso ha parlare di queste inezie, che riguardano pochi individui, quando i governanti sparano fuori quotidianamente mostruosità, fanno e disfanno al di fuori di qualsiasi quadro democratico; quando si parla del problema della crisi della democrazia si pensa sempre alla Politica, ai rapporti istituzionali.. mentre una democrazia sono anche i rapporti dei comuni cittadini, la loro vita di tutti i giorni, fatta appunto di relazioni, che molto hanno a che fare con la salute della democrazia; e anche appunto è la vita degli scrittori, i rapporti di questi con le case editrici e le istituzioni, eccetera eccetera..
    finisco qui;

  4. Mettiamola sul piano storico (e con un po’ di ironia): questa è un’epoca che lascerà testimonianza di sé nelle biblioteche non tanto di quanto producevano gli scrittori, ma del lavoro dei curatori. Si aprirà uno sterminato campo di indagine per i futuri filologi: la ricostruzione dei testi originari. Sempre se biblioteche e archivi letterari non verranno invasi dalle acque dei poli che si scioglieranno per climate warming !!!

  5. senza contare che i supporti fisici (e non parliamo dei “cloud”) sui quali i file originari degli scrittori erano conservati avranno da tempo ceduto, anche laddove le acque (e le guerre) non saranno arrivate: il silenzio del mesolitico e del primo neolitico, prima dell’invenzione della scrittura, finalmente …

  6. Perfettamente d’accordo. Un buon editor è colui che riesce a perfezionare il testo senza alterare lo stile dell’autore, che sa quando deve insistere su una modifica, stimolare una soluzione alternativa o quando viceversa deve rispettare la scelta precisa di chi scrive. Quando l’editor si impone invece con le sue esigenze di marketing, il risultato è l’omologazione, originalità e stile vanno a farsi benedire e non si distingue più uno scrittore dall’altro.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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