Dieci traduzioni per una poesia. “All’autunno” di John Keats
[DieciXUno – Una poesia, dieci traduzioni è una nuova collana dell’editore Mucchi fondata e diretta da Antonio Lavieri: ogni volume presenta un componimento particolarmente rappresentativo di un determinato autore, preceduto da una introduzione e da una descrizione della sua ricezione in Italia; ad esse seguono le dieci traduzioni in italiano, opera di diversi traduttori e traduttrici, una delle quali, inedita, è firmata dal curatore del volume; il tutto corredato da una nota traduttologica, in cui si riflette su ciò che la traduzione fa alla lingua e al testo.
Attraversare diacronicamente le diverse traduzioni di un singolo testo significa, da un lato, osservare i diversi approcci dei traduttori e delle traduttrici, constatare quale aspetto del componimento sia stato messo in evidenza, confrontare le differenti scelte; dall’altro, equivale a viaggiare fra le poetiche della cultura ricevente, come metteva in luce Franco Fortini nelle sue belle Lezioni sulla traduzione.
Borges ha spesso sottolineato che di ogni testo esistono molte traduzioni possibili; non è un caso che la citazione posta a chiusura di ogni volume sia proprio sua, tratta da Le versioni omeriche: “Il libro più famoso di Browning è composto da dieci rapporti dettagliati di un solo delitto, per ognuna delle persone che vi sono implicate. Tutto il contrasto deriva dai caratteri, non dai fatti, ed è quasi altrettanto intenso e abissale quanto quello di dieci traduzioni corrette di Omero”.
Pubblico le note di lettura tratte dall’introduzione a All’autunno di John Keats, a cura di Edoardo Zuccato; il curatore chiude il volume presentando una sua traduzione del componimento in dialetto lombardo (A utünn). ornellatajani]
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To Autumn: note di lettura
di Edoardo Zuccato
To Autumn è l’ultima delle grandi odi che Keats compose a partire da Ode to Psyche fra aprile e settembre 1819. La ricerca di Keats, entrata in una fase di vera autonomia nel 1816, si era concentrata su tre nuclei principali, ovvero bellezza, felicità e permanenza. Gradualmente, il poeta prese in considerazione anche i loro contrari, insoddisfatto di una visione che escludeva gli aspetti negativi dell’esistenza. Proprio nelle odi, e in alcuni altri testi di quel periodo, Keats trovò un felice equilibrio intellettuale e formale fra quegli elementi. Ogni ode di quello che consideriamo oggi un ciclo di testi ci presenta una prospettiva diversa su queste tematiche, scavando di volta in volta più a fondo. To Autumn è un capolavoro di equilibrio e concisione, che condensa in tre sole strofe i temi dell’intero ciclo delle odi.
Per Keats l’autunno è una stagione di pienezza. La prima strofa ne celebra la “mellow fruitfulness” (tenera e matura abbondanza, morbida fecondità) attraverso una serie di esempi: le viti con i grappoli maturi, i meli stracarichi di frutti, le zucche e le nocciole gonfie, i fiori all’ultima fioritura su cui le api continuano a posarsi, malgrado le loro arnie siano colme di miele estivo. L’autunno è amico intimo del “maturing sun”, il sole che matura (lui stesso una sorta di frutto) e fa maturare, un’espressione duplice e ardua da tradurre, come le altre dello stesso tenore che caratterizzano questa poesia. L’opera del sole e dell’autunno, pur evidente, ha un lato misterioso, perciò la loro collaborazione è descritta come una cospirazione. Colmare le cose di vita vuol dire benedirle (“load and bless”), una sacralità naturalistica estranea a ogni religione istituzionale. Il movimento di maturazione delle cose è sì un’espansione verso l’esterno (il gonfiarsi delle zucche), ma sembra concepito, stranamente, come un movimento verso l’interno: i frutti vengono colmati di maturità “to the core”, fino al centro. La vita raggiunge il suo apice, che è pure il crinale da cui si intravede il declino: le piante sono cariche di mele fino al punto di rottura, i fiori che risbocciano illudono le api che il bel tempo “will never cease”.
La seconda strofa parte ancora dal concetto di abbondanza (“thy store”), ma sottolineandone altri aspetti. Se la prima strofa era dedicata alla maturazione, la seconda si concentra sulla fase successiva, ovvero il raccolto. Al centro dello sguardo di Keats c’è adesso la mietitura, ma al posto dei contadini troviamo quattro rappresentazioni allegoriche dell’Autunno, sdraiato in un granaio, assopito sul solco di un campo non del tutto tagliato, in mezzo a un ruscello con un carico in testa come uno spigolatore, e, unica scena non legata alla mietitura, vicino a un torchio per il sidro (dove sono finite le mele mature della strofa precedente). Queste personificazioni mostrano una delle fonti di Keats, la poesia settecentesca inglese, in cui, a partire dalle Seasons di James Thomson, esiste un filone di allegorismo naturalistico abilmente messo a frutto in questa strofa. Alla quale non sono estranee diverse suggestioni fornite dalle arti figurative, pittura e illustrazioni di libri di poesia in particolare. Si noti però che queste personificazioni sono di genere indistinto: Keats dà forma umana all’autunno, ma in quanto forza naturale non lo connota chiaramente come maschio o femmina. In italiano, invece, è impossibile evitare di farlo. L’unico modo, più rozzo dell’originale, di alludere al carattere non androgino ma pre-sessuale di questa forza (che non è un essere vivente ma genera la vita) è di abbinare all’Autunno maschile del titolo una descrizione al femminile della stagione (parola di apertura del testo).
Quando si passa all’ultima strofa si avverte subito una svolta netta. Anche qui il tema della ricchezza è presente, ma si tratta di una ricchezza ben più rarefatta. Si parla infatti di canti, di suoni, di voci: la musica dell’autunno, che non è meno varia di quella della primavera. Il crinale della vetta è ormai alle spalle, gli intensi colori delle strofe precedenti hanno lasciato il posto a evanescenti tinte pastello. I campi sono distese di stoppie rosate nel tramonto, un coro dolente di moscerini “mourn” (si lamenta luttuosamente), soffiato in alto o in basso dalla brezza che “lives or dies”. Dopo la maturità e il raccolto, il declino e la morte, collocate però a metà della strofa, non alla fine. Alla parola “dies” seguono altri quattro versi, con gli agnelli ormai cresciuti, segno di vita nuova, gli “hedge-crickets” (un conio di Keats), i pettirossi nei terreni (orti o giardini) presso i casolari, le rondini che garriscono riunendosi per la migrazione, una partenza che prevede un ritorno. Morte dell’individuo, ma continuità circolare della vita della natura: è per questo che la morte non ha l’ultima parola.
Al tema della permanenza Keats aveva dedicato molti versi, anche delle odi precedenti. Nell’Ode to a Nightingale la permanenza, insieme a bellezza e felicità, era stata raggiunta solo uscendo dal reale grazie al sogno e alla visione, nel canto dell’usignolo che era insieme arte e natura. Nella successiva Ode to a Grecian Urn questo raggiungimento si era compiuto nell’oggetto artistico, l’urna che sopravvive al suo autore e al suo tempo. Tuttavia, il suo pregio era simultaneamente il suo limite. La permanenza dell’arte appariva come una sorta di congelamento del tempo nell’oggetto estetico. To Autumn va un passo oltre l’urna, scovando la bellezza e la permanenza dentro il mutamento incessante della natura.
Per raggiungere questo obbiettivo Keats ridusse il carico di riferimenti culturali delle odi precedenti (psicologia, filosofia, arte che fossero), producendo un testo più descrittivo e immediato sulla campagna inglese in autunno. La sua visione era arrivata a un punto tale di chiarezza e autonomia da non aver più bisogno di allegorie o simboli troppo sofisticati. Quello che aveva attorno a sé poteva svolgere questa funzione in modo ottimale. Lo spunto immediato del testo, infatti, fu una passeggiata nelle campagne attorno a Winchester, come scrisse in una lettera: “Mai come adesso mi sono piaciuti i campi di stoppie, sì, più del freddo verde della primavera. A volte una piana di stoppie sembra calda, proprio come alcuni quadri sembrano caldi: questa cosa mi ha colpito così tanto mentre passeggiavo domenica che mi è venuto da scrivere.”
Ovviamente, la sofisticatezza non sparì completamente, si manifestò solo in modo più discreto. Come abbiamo già accennato relativamente alla seconda strofa, non mancano gli artifici del mestiere (le allegorie) e i riferimenti culturali (alla poesia, alla pittura), che sono a volte quasi inavvertibili. Si veda ad esempio la vite della prima strofa, un dettaglio tratto quasi certamente dall’amato Mediterraneo, noto a Keats solo dai libri e le opere d’arte, e non dall’osservazione diretta, visto che la vite non è certo una pianta caratteristica della campagna inglese. Il risultato è un felice equilibrio – quasi una compenetrazione – fra natura e cultura, percezione e intelletto, cifra distintiva di un testo che forse più di ogni altro merita per questo l’attributo di “classico”, se classico significa armonia del tutto.
Un’armonia che non è la fissità dell’urna greca. To Autumn è percorsa da un lento e costante movimento malgrado le singole strofe sembrino statiche. La prima è incentrata sui sensi del tatto e del gusto, che presuppongono un contatto ravvicinato del corpo con gli oggetti. La seconda è incentrata sulla vista e la terza sull’udito, che allargano l’orizzonte percettivo precedente. Dal chiuso dei frutteti della prima strofa si passa ai campi della seconda, poi alle colline e, dopo un ritorno agli orti, ai cieli (al plurale) dell’ultimo verso: è un movimento, pur non lineare, dalla prossimità all’infinito, dalla chiusura alla massima apertura.
La rima più vertiginosa, “dies” – “skies”, posta non a caso a conclusione, è forse l’esempio più plateale di quella coesistenza di positivo e negativo, di inseparabilità degli opposti, che permea tutto il testo. Il suono-senso stabilisce un legame inscindibile fra morte e infinito (cioè la perenne capacità generativa della natura), fra non essere ed essere, a sottolineare che non si tratta di due momenti separati ma coestensivi nella vita delle cose, l’unica che Keats riconosceva come reale.
Uno degli aspetti davvero singolari di questo testo è che la più compiuta celebrazione poetica della maturità, della pienezza sull’orlo del declino senile, sia uscita dalla penna di un ventiduenne. Non sembrerebbe un tema adatto a un giovane, che in teoria non dovrebbe saperne granché. Sono i misteri dell’intuizione poetica, ma in parte si spiegano con la psicologia. Keats fu senza dubbio la personalità più equilibrata fra i poeti romantici inglesi. La maturità dipende in parte dall’età, ma chi non ce l’ha non se la può dare, si direbbe citando Manzoni (che fu un nevropatico squilibrato, per altro).