Come non diventare se stessi

di Eugenio Maria Russo

Un estratto da Me non più (in uscita a maggio per Italic e Pequod) e una conversazione con l’autore, Massimiliano Costa.

 

Partiamo dal titolo: chi è “me” e “non più” cosa?

Me non più” è una frase che ripete tra sé e sé Jaco, il protagonista del romanzo: un consulente aziendale (potrebbe lavorare in McKinsey o Bain o Deloitte, ad esempio) che arriva a un punto della sua pure breve vita in cui ripensa a come è finito a fare quel tipo lavoro, alle scelte che lo hanno portato fino a lì. La storia si snoda attraverso due piani temporali, uno in cui Jaco è un giovane consulente rampante e l’altro in cui è un rampollo della buona borghesia provinciale italiana alla fine delle scuole superiori. Nonostante parta da una posizione privilegiata (ha talento per la musica, va bene a scuola senza sforzo, ha tanti amici, una ragazza comprensiva e una famiglia solida alle spalle) si trova in un momento di grande insicurezza, smarrito, incapace di decidere.

Erano due racconti staccati che poi hai unito?

No, il romanzo è partito da una visione e da un sentire. Mentre lavoravo in consulenza ho avuto la visione di un’alba bellissima alla fine di una lunga giornata di lavoro e ho sentito una profonda stanchezza, nonostante fossi ancora molto giovane. Per esprimere questa sensazione ho creduto di dover raccontare un personaggio complesso. Dovevo raccontare anche le radici di quella visione e di quel sentire, che affondano negli anni giovanili. Da lì la struttura dei due piani temporali. Poi ho cercato di lavorare sul non detto, tanta parte importante della vita di Jaco non viene raccontata.

Quali sono esattamente i termini della scelta che Jaco diciottenne deve compiere?

Seguire la sua passione per la musica classica oppure provare una via più standard, cercando di entrare in una università prestigiosa. La difficoltà della carriera artistica che Jaco potrebbe intraprendere è rappresentata soprattutto dall’incertezza sul proprio talento: ho abbastanza talento e passione per fare il violinista tutta la vita? Oppure dovrei ascoltare tutti quelli che mi consigliano di andare a Oxford e lasciar perdere la musica? Questo si chiede in sostanza Jaco, ma senza avere gli strumenti necessari per trovare una risposta. Allora cerca di non diventare se stesso, sforzandosi piuttosto di adattarsi a un modello dettato da una pressione sociale ma che non gli appartiene davvero.

La lingua del libro è molto particolare: si passa dal dialetto piemontese all’italiano inglesizzato dei consulenti, che però lascia spazio talvolta a una lingua più lirica. Come hai creato questo impasto linguistico?

La mia terra, le Langhe, ha sempre esercitato un influsso poetico su di me e la poesia è stata la prima forma letteraria che ho praticato: nel romanzo ne sono rimaste alcune tracce. La lingua più brutalizzata e anglicizzata è, invece, quella che effettivamente si ritrova non solo in consulenza ma anche in molti contesti aziendali: termini come “fittare”, “weakness”, “deliverare” sono parte della vita parlata e scritta (mail e whatsapp) di un consulente. Di dialetto in realtà ce n’è pochissimo ma ho avuto bisogno di usarlo per esprimere meglio certe sensazioni. Lo sperimentalismo linguistico vuole rifarsi a Fenoglio, albese come me, che della commistione ha fatto una cifra stilistica. Anche se per Fenoglio l’inglese è lingua letteraria mentre nel mio libro è la lingua colloquiale della consulenza.

A proposito di Fenoglio, ho ravvisato una certa somiglianza tra il finale del tuo romanzo (che non anticipiamo) e quello di “Una questione privata”. È stata una cosa casuale?

Assolutamente un caso, forse un rimosso, “Una questione privata” è stato uno dei miei libri preferiti ai tempi del liceo ma da allora non l’avevo più ripreso e il finale l’avevo completamente dimenticato. O è un rimosso o un caso, non è una citazione voluta.

Le figure femminili sono poco presenti nel tuo romanzo, come mai?

Il mondo della consulenza è e rimane prettamente maschile, nonostante tutti i tentativi più o meno di facciata fatti per cercare di renderlo più bilanciato ed equo da un punto di vista di genere. Di donne ce ne sono molto poche perché non è un mondo fatto per chi debba o voglia prendersi cura di una famiglia.

Quale è stata la motivazione principale che ti ha spinto a raccontare questa storia?

Io vorrei con questo romanzo porre la questione dell’importanza di alcune scelte, in particolar modo delle prime che ci troviamo a fare da giovani. Io sono convinto che la scuola, la famiglia e la società in generale dovrebbero aiutare di più i ragazzi a orientarsi nella scelta su cosa fare da grandi. I giovani hanno bisogno di essere guidati su base individuale, non di rifugiarsi in percorsi che vanno bene un po’ per tutti (l’università blasonata, la facoltà spendibile sul mercato del lavoro, la professione ben pagate). Poi volevo dare un’immagine da insider del mondo della consulenza, dandone un ritratto basato sulla mia esperienza diretta. Ma non voglio scoraggiare i giovani dall’entrare in questo mondo, quanto piuttosto usarlo come allegoria.

Il tuo esordio è molto vicino alla tua vicenda autobiografica. Che esperienza hai accumulato dopo aver lasciato The Boston Consulting Group e cosa è lecito aspettarsi come tuo prossimo lavoro?

Dopo la consulenza sono entrato nel mondo delle start up: un mondo affascinante che potrebbe finire in un prossimo romanzo, oppure in dei racconti. Ma non c’è ancora niente di concreto. Vorrei anche mettere ordine e pubblicare le poesie che ho scritto prima di dedicarmi alla narrativa con “Me non più”.

Estratto

Fuck.”

Rantolò. Spense la sveglia e buttò l’iPhone sul comodino. Si lasciò cadere supino, il debole corpo schiantato dalla forza di gravità. Le braccia aperte, il busto scoperto, gli occhi sbarrati sul soffitto. Immobile, sentiva svanire dalla pelle il tepore del sonno e dalla testa i sogni di quella notte interrotta.

“Dai dai dai dai” si incitò con un filo di voce.

Aveva già posticipato la sveglia due volte e non poteva concedersi il lusso di altri cinque minuti. I piedi, buttati fuori dalle coperte per primi, caddero sul pavimento di marmo ghiacciato con l’inaccuratezza di un quarto di manzo inerte. Un brivido freddo risalì rapido lungo la schiena prima di posarsi alla base del collo. Di colpo fu in lui sveglia la coscienza di un nuovo giorno in cui andare.

Riprese di soprassalto il cellulare.

Ma come cazzo è possibile?” disse ad alta voce guardando lo schermo che elencava ventitré mail non lette.

Con movimenti inesorabili inforcò le ciabatte e, sollevatosi finalmente dal letto, si trascinò nudo verso il bagno. La testa pesava e dolevano gli occhi. La luce del mattino rendeva il candore dei muri insostenibile. Richiudendo gli occhi, si sedette sulla tavoletta e portò le mani alla testa, sentendola pulsare insistente e regolare. La mente cadde inconsciamente sul fragore animale del suo getto: tanto rumoroso da sopportare che dovette deviarne la traiettoria verso più discreti anfratti.

Scorse lo schermo rapidamente per verificare che non ci fossero mail importanti. Sembravano tutte innocue. Tutte, tranne una, che aveva le tre peggiori caratteristiche: la parola “URGENTE” come oggetto, il partner come mittente, unico destinatario diretto: lui stesso. Ora di invio 6:47. Bestemmiò ma, invece di sbloccare il telefono per leggere il contenuto della missiva, lo lanciò sprezzante sul pianale del lavandino distante oltre un metro, per ribadire a se stesso che di quell’oggetto, costoso sì ma aziendale, non gli importava nulla. Poi decise di scrostarsi il sonno di dosso con una veloce sciacquata e di conservare le turbe della mail per la colazione con gli altri.

Si avviò ciondolando verso la doccia, pregustando il caldo effetto massaggiante, ma si fermò, abboccato all’impressione di aver visto qualcosa di strano passando davanti allo specchio. Si girò lentamente per dare tempo a quel fantasma discolorato e curvo di nascondersi ma, ritrovandoselo ancora davanti, decise di studiarne lo sguardo.

Appoggiò le mani sul marmo bianco venato di verde e si piegò sulla propria immagine nel grosso specchio appeso sopra il lavandino. Le occhiaie parevano l’opera di un artista gotico. Una tinta rossa sottostava al blu dominante, dandogli un aspetto violaceo che diventava intenso sulle palpebre. Dall’angolo esterno degli occhi si dipartivano almeno quattro rughe, sottili ma nette, sotto le quali si malcelava una macchiolina marrone, non più lunga di un centimetro e larga ancora meno: una piacevole addizione dell’ultimo mese. Stirò un sorriso esagerato per meglio scovare il percorso di quelle rughe e delle altre che sarebbero a breve spuntate. Passò poi la mano destra aperta tra i capelli, dissotterrandone a decine bianchi sulle tempie. Sparute tracce di bianco si trovavano ormai ovunque, piccoli parassiti irreprensibili che stavano colonizzando capello dopo capello anche la parte più alta della testa. Torcendo poi il collo al massimo da entrambi i lati, notò un primo accenno di doppio mento, visibile misura della rilassatezza non solo della pelle del collo, ma di ogni turgida giovinezza del corpo. Molle il torace, largo il ventre, flaccido il membro.

“Schifo”, disse con una smorfia e uscì dallo specchio.

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Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
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