da “Omonimia”
di Jacopo Ramonda
[Pubblichiamo alcuni estratti da Omonimia, Interlinea, collana “Lyra giovani” a cura di Franco Buffoni, 2019.]
dalla prima sezione: Nomi
Mattia (#1)
I loro limiti personali non combaciano con i patti che hanno stretto, con le promesse di cambiare, più volte tradite. Una lunga serie di inadempienze caratteriali ha progressivamente ridimensionato le loro aspettative nei confronti di un matrimonio fondato sull’intenzione di manipolarsi a vicenda. La situazione si è complicata drasticamente quando hanno scoperto di non poter avere figli. Mattia non ha accolto con entusiasmo l’idea dell’adozione, e F. si è detta contraria a ricorrere alla fecondazione assistita.
Mattia (#2)
La conversazione procede a stento, in una sorta di traduzione simultanea. Mattia e F. tentano di manipolarsi a vicenda, trasformando la frustrazione in argomentazioni condivisibili e i torti subiti in crediti da riscuotere. È una trattativa estenuante, portata avanti con grandi sforzi; ma senza risultati apprezzabili e rallentata dalla necessità di continue puntualizzazioni, in direzione di un compromesso che lascerà insoddisfatti entrambi. Poco disposti a negoziare uno sconto della pena per i crimini di cui sono chiamati a rispondere, rispetto ai quali hanno più volte ribadito la loro innocenza, si vengono incontro a scatti, parlandone malvolentieri, maneggiando nervosamente qualunque piccolo oggetto venga attratto nel loro campo gravitazionale, tormentando cerniere, capelli, occhiali ed evitando, per quanto possibile, di incrociare i loro sguardi, che puntano fuori fuoco su dettagli periferici, come se fossero appigli a cui tentano di aggrapparsi per rallentare la caduta.
In attesa della resa dei conti finale, perennemente posticipata, Mattia e F. consumano la cena a tarda sera, dopo lo scontro, divorando a grandi morsi le carcasse delle reciproche accuse. A un tratto, nell’appartamento salta la corrente, e restano al buio. La televisione si ammutolisce, proprio come loro due. Sollevano la testa dal piatto. L’insegna luminosa della farmacia lungo la strada, al piano di sotto, inonda la cucina attraverso la finestra. Le pupille si adattano in fretta all’oscurità, squarciata a intervalli regolari dalla luce verde intermittente. Per qualche istante si fissano in silenzio. Dopo mesi di continui scontri, all’improvviso Mattia la riconosce di nuovo, quasi incredulo: è proprio lei.
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dalla seconda sezione: Omonimia
#1042
Mi chiamo Andrea. Da un paio di settimane lavoro di notte, in un supermercato, all’interno di un grande centro commerciale. Sistemo i prodotti negli scaffali, lungo le corsie vuote, immerso in profondità nel silenzio straniante di un luogo che mi fa pensare a una città fantasma.
#489
Mi chiamo Andrea, e ho una sorella gemella. Da bambine nostra madre ci vestiva sempre uguali. Lo facciamo ancora, anche quando usciamo separate. Vivendo insieme, non è poi così complicato. I contenuti dei nostri armadi sono praticamente identici. La maggior parte delle persone che conosciamo non è in grado di distinguere l’una dall’altra. A volte mi chiedo cosa ne pensino realmente i nostri compagni. Uno di essi è figlio unico, e sono piuttosto diversi tra loro, sia sul piano fisico che a livello caratteriale. Non so se M. abbia mai provato ad affrontare seriamente l’argomento con mia sorella; anche se, in tal caso, lei me ne avrebbe di certo parlato.
#558
Mi chiamo Andrea. Sto guidando verso casa. Pochi istanti fa, il tizio davanti a me ha frenato bruscamente. Io ero distratto. Gli sono andato molto vicino. Ora sto pensando ai decimi di secondo che intercorrono tra l’avvistamento di un ostacolo e l’inizio della frenata, o l’attuazione di altre contromisure. La differita che ci tiene al riparo dal presente: un’era di durata infinitesimale. Vorrei poterla perpetuare e vivere in quella feritoia del tempo.
#1096
Mi chiamo Andrea. Attraverso lo spioncino della porta, osservo la mia vicina: reggendo con una mano due buste della spesa, infila con l’altra la chiave nella toppa e fa il suo ingresso in casa. L’ho sentita arrivare in ascensore. Rientra quasi sempre intorno a quest’ora.
#1022
Mi chiamo Andrea. Almeno per il momento, non posso fare altro che continuare a navigare a vista.
#1187
Mi chiamo Andrea e, dentro di me, so che non si è trattato di un incidente. Ero consapevole della gravità delle azioni che stavo per compiere, ma non sono riuscito a trattenermi.
#12
Mi chiamo Andrea. Sopraffatta dallo sconforto, faccio un passo indietro. Trovandomi subito con le spalle al muro, mi lascio scivolare verso il basso, forse in cerca di un punto di vista differente, e mi siedo sul pavimento, con il freddo del marmo che filtra attraverso i jeans consumati.
#71
Mi chiamo Andrea e, anche a queste elezioni, non ho votato; non solo per sfiducia nei confronti della classe politica. Domenica sono andato al mare e lunedì mattina dritto al lavoro. A dispetto del mio comportamento, trovo in un certo senso paradossale che in questi anni – in parallelo alla diffusione capillare delle tecnologie che hanno limitato il nostro spazio mentale, rendendoci perennemente reperibili e, allo stesso tempo, quasi ansiosi di condividere impressioni estemporanee, opinioni non richieste, in una cronaca piatta e continuativa della nostra vita quotidiana – si sia spesso registrata una crescita dell’astensionismo.
#779
Mi chiamo Andrea e ormai sono irriconoscibile.