Sragionamento sull’anarchia

di Paolo Morelli

Raggrumiamo un po’ le idee.
Una dottrina anarchica propriamente detta non esiste, è più che salutare l’antipatia naturale degli anarchici per le teorie. Essendo un pensiero legato strettamente all’azione appare chiaro che l’anarchia è qualcosa che va messa in pratica sbagliando, su questo punto non ci piove. Dato che non piove possiamo farci un giro, con l’intento più o meno fermo di sbagliare.
Difatti ho riscritto il brano precedente almeno otto volte. Sbagliavo continuamente l’approccio, il punto da cui attaccare una materia tanto inutile. Non riuscivo ad andare avanti, altro che farsi un giro con le mani in tasca.
Ci restavo comunque attorno però, e senza dare nell’occhio. Senso di responsabilità prima di tutto, l’eccesso di senso di responsabilità è una condanna quasi, diventa una malattia, oltretutto assai malvista, in ogni epoca e grado.
Strano, molto strano, ma se mi metto le mani in tasca mi rimbomba ancora nelle orecchie la vociona del Lombroso Cesare socialista che ho visto ieri in una ricostruzione storica in Tv, il pesante cannoneggiamento quando afferma ne Gli Anarchici e senza l’ombra di un dubbio che “ci si ribella di più in primavera che in estate”, quando rimane vero che in primavera piove di più che in estate, perfino in questi nostri mutati tempi. Ecco, i mutati tempi. Se invece me le tolgo le mani di tasca mi chiedo: ma è proprio vero che i tempi mutano? Giacomo Leopardi nello Zibaldone racconta di non poterne più di incontrare gente che si lamenta perché non ci sono le mezze stagioni, vale a dire quelle nelle quali di solito piove di più.
Anche senza pioggia, gira che ti rigira si finisce per stancarsi, e allora può sembrare che nulla abbia un minimo di senso compiuto, e gli stimoli poi dovremmo andare in giro a cercarli. Ma siamo troppo stanchi e anziani ormai, e comincia a salirci su una specie di certezza lampante, vale a dire che se cercati gli stimoli sono falsi già prima di cercarli e comunque servirebbero a poco o a nulla in un momento del genere. Non ci convincono nemmeno, non ci hanno mai convinti, i sogni che dir si voglia, tipo quello di andare a dormire e risvegliarci ricominciando da zero. Ci sono filosofi accreditati con tanto di pedigree che lo sostengono, anziani pure loro ma fanno finta di non essere stanchi, con l’aiuto forse di qualche pastiglia dicono che grazie alle nuove tecnologie possiamo fare tabula rasa e ricominciare da zero.
Ma se uno vuole evitare di fermarsi a girarsi i pollici nella teoria la prima cosa che possiamo fare è ricominciare, se non da zero che sarebbe di nuovo puntare sull’utopia del tutto e subito, cosa che ci interessa meno di zero, almeno da uno. Diciamo che il massimo di efficacia che ci possiamo permettere è ricominciare da uno, per esempio da un tentativo di definizione dell’individuo anarchico. Si sa del resto che nell’anarchia l’individuo è tutto, qui uno vale uno e anche molto sul serio, forse troppo. E qui, come primo passo dobbiamo subito sgombrare il campo dai dubbi residui: l’anarchico è un disgraziato, e questo vale da quando c’è aria, molto ma molto prima delle svariate teorie al riguardo. Vale a dire, se non il tentativo più nobile che ha tentato la forma umana, almeno e di gran lunga il più sincero.
C’è qualcuno che può dire d’aver incontrato un anarchico fortunato? E se per una qualche ragione o intoppo poi diventa fortunato la proporzione di anarchia ecco che cala, a poco a poco fino a sparire del tutto. L’anarchico per prima cosa nasce e prende possesso di tutto il mondo conosciuto e sconosciuto, poi il resto della vita lo passa a rivedere i confini, e la sua sopravvivenza dipende da quanto ce la fa a fare avanti e indietro da quel mondo tutto suo. Nelle belle sere estive gli capita di pensare, se io che non sono niente di speciale sono capace di vivere senza far troppi danni, allora possono farlo tutti… Ecco come invecchia un anarchico, se invecchia, ma il caso non è troppo frequente viste le difficoltà che si ritrova sulla strada. Nell’arco dell’intera sua vita stanno appesi strumenti come fatica, molte sofferenze, intoppi, incomprensioni, isolamento ed esclusioni, rifiuti e persecuzioni e vessazioni, risse anche per futili motivi, battaglie per lo più perse, bandi, censure, tagliole d’ogni ordine e grado e poi, appena è riuscito a prendere un po’ le misure e raggiungere quel minimo di maestria viene licenziato su due piedi e senza contributi. Se esiste un luogo per lui nell’universo intero dove non c’è un attimo di tregua si chiama vita natural durante, ma questa è già una mezza teoria o almeno una Weltanshauung veritiera per tutti, non solo per gli anarchici. Però, per il fatto che rifiuta qualsiasi autorità l’anarchico è nelle condizioni favorevoli per riconoscere l’autorevolezza ovunque si nasconde, una voce da bar, il colore di un fiore, il gesto di un cane, l’insegnamento di un nemico perfino può rivelarsi utile, indicargli la via che arriva a nessun risultato. Ecco come invecchia un anarchico se invecchia, ripeto, ma i casi sono rari.
E quando poi muore l’anarchico si tende a non ricordarlo, né appena morto per dimenticarlo subito né dopo il tempo sufficiente a dimenticarlo, di molti si ignorano data e luogo della morte a meno che non siano stati ammazzati ufficialmente. Tale è più o meno la vita dell’anarchico, a scorrere le biografie si potrebbe parlare addirittura di un destino di stampo anarchico. Ma cosa sarebbe poi un destino, inteso invece in generale? Si potrebbe inventare che sia lo strambo e incostante appuntamento tra la vita che tu fai vivere e quello che la vita fa di te. Nel caso degli anarchici la stranezza pare ridotta al minimo, con loro il de-stino non sembra volere improvvisare troppo.
Un disgraziato con alto senso di responsabilità viene dunque come definizione, il che equivale a una mina vagante. Quello che avrebbe dovuto dirsi l’anarchico, almeno nelle fredde sere invernali e forse l’ha fatto, è se sono capace di dare fastidio io che non sono niente di speciale possono farlo tutti… L’anarchico infatti dà fastidio, neanche qui ci piove, la sola presenza in vita di un disgraziato del genere fa rodere il fegato a parecchi, fa salire le transaminasi ad esempio a tutti coloro che nella vita non hanno nessuna intenzione di diventare adulti, non ne vedono proprio la ragione, si godono un’infanzia ripassata in padella milioni di volte fino all’ultima settimana almeno, lì sì magari se la vivono da adulti tutta insieme. Costoro però fanno la finta di essere maturati, mentre l’anarchico no, non ha la minima intenzione di fare finta, l’anarchico prende alla lettera se non tutto il più possibile. Quando dice qualcosa significa solo quello, con meno significati reconditi possibile. Così la dice, così la intende. Non gli riesce di fare finta, attirandosi in conseguenza tutti i guai nel raggio di svariati chilometri. Un punto focale dunque, un luogo di convergenza e condivisione per ogni singolo finto adulto che si sfoga su di lui perché con la sua sola presenza al mondo gli ricorda che sta facendo finta. Furbo, per esempio, per lui l’anarchico viene dal latino e significa ladro, non c’entra niente quindi con l’intelligenza come ci fanno credere, perché intelligente viene dal latino e indica chi sa scegliere con attenzione quando lasciar aperte porte e finestre, visto che per essere intelligente bisogna lasciar aperte porte e finestre e anche qui non ci piove, però lasciandole aperte si viene comunque derubati, spesso o talvolta. Se vuoi fare il diffidente va bene, ma non per l’intelligenza. E se qualche furbo gli fa notare che se piove è meglio chiudere le finestre, lui l’anarchico risponde che non è male tutta l’elettricità che c’è nell’aria, stimola il comprendonio. Bisognerebbe a questo punto aggiungere alla definizione che non è furbo, e siamo già a un disgraziato dotato di un alto senso di responsabilità e che non è furbo sotto la voce anarchico, vale a dire se non il tentativo più nobile che ha tentato la forma umana, almeno e di gran lunga il più sincero.
Perché l’anarchico continua a sbagliare comunque, non c’è proprio niente da fare, e se per qualche ragione o intoppo diminuiscono gli errori la proporzione di anarchia ecco che cala, pian piano all’inizio fino a sparire del tutto. Sbaglia perché prende tutto alla lettera? Sbaglia perché non è furbo? Non tutti i poco furbi che prendono tutto alla lettera sono anarchici, però lo potrebbero diventare, diciamo che sono dotati al riguardo, del resto è poco ma sicuro che già sono dei disgraziati. Ciò che distingue l’anarchico dal potenziale anarchico è che il primo è testardo, quindi siamo a un disgraziato testardo nell’avere un alto senso di responsabilità e nel non essere furbo come definizione, vale a dire se non il tentativo più nobile che ha tentato la forma umana, di sicuro il più sincero.
Ma andando ancora dritti in avanti troviamo molte altre persone a cui dà fastidio l’anarchico, esempio quelli che hanno il senso della realtà, vale a dire non la stragrande maggioranza ma la quasi totalità degli uomini civili, e più diventano civili e più hanno il senso della realtà, cosiddetto. Difatti se per qualche ragione o intoppo gli cala il senso di realtà cosiddetto la proporzione di civiltà ecco che cala, piano piano all’inizio fino a sparire del tutto. Tipo ai nostri giorni ad esempio, per quello non si parla d’altro che di realtà, si pretende pure che sia aumentata, come se non bastasse quella che c’era prima, la realtà cosiddetta… Ecco, già su quei cosiddetto ha da ridire l’anarchico, senza contare che senza senso della realtà non solo si hanno svariati problemi giornalieri che tendono a cronicizzarsi ma non si può far parte della Storia cosiddetta, dalla quale nemmeno si viene espulsi o espunti, si viene solo dimenticati. Per far parte della Storia infatti bisogna prima di tutto sopravvivere, poi scriversela o farsela scrivere da qualcuno a comando, poi scordarsi chi la scrive, e poi ancora essere convinti che quello che si ricorda è successo veramente e non dipende dalle parole usate per raccontarlo, che i fatti insomma non dipendono mica dalle parole con cui se ne parla ma sono oggetti naturali con definizioni fisse, come pretende l’informazione cosiddetta. Bisogna credere che il mondo esiste già prima di essere espresso, con le parole solo per fare un esempio a caso, bisogna insomma presumere che la realtà cosiddetta esiste anche se non è espressa e non sia la nostra espressione invece a darle forma. Qui si fonda il senso della realtà su cui è fondata la civiltà su cui è fondata la Storia. Seppure non proprio un anarchico ma certo isolato e autodidatta, anzi autodidascalo diceva lui, già lo affermava Giovanbattista Vico che la memoria è proprio la stessa cosa della fantasia, ma se poi uno s’impunta e come il Malatesta Errico arriva a dire che la leggenda è più vera della Storia, allora è chiaro che vuole solo dare fastidio. È probabile che già la mamma di Malatesta lo ammonisse da piccolo che non aveva il senso della realtà cosiddetta e che dava fastidio, ma lui, testardo come sappiamo, ha continuato. Quindi a questo punto potremmo aggiungere che non ha il senso della realtà cosiddetto alla definizione, che verrebbe non solo un disgraziato testardo anzi di più cocciuto nell’avere un alto senso di responsabilità e nel non essere furbo, ma privo di senso della realtà cosiddetto, vale a dire se non il tentativo più nobile che ha tentato la forma umana, almeno e di gran lunga il più sincero.
Poi ancora vediamo a chi altro potrebbe dar fastidio il nostro anarchico. Dai che andiamo bene, sembra un caso semplice l’anarchico, basta vedere a chi dà fastidio e si riesce più o meno a definirlo. È facile, l’anarchico dà fastidio a tutti, tranne agli altri come lui. Se ci rivolgiamo alle statistiche e prendiamo in esame solo gli ultimi duecento anni, diremmo che l’anarchico dà fastidio in primis ai monarchi, ma soprattutto a ben vedere ai vertici dei comunisti storici, i quali ne hanno ammazzati assai più dei fascisti e di tutti gli altri messi insieme, per un sacco di ragioni delle quali non ci frega un minimo, visto che l’unica vera ragione sacrosanta è solo l’invidia, il livore becero del servo che vuole padroneggiare, il senso manifesto d’inferiorità di bassa lega di chi non sopporta quelli che non lo riconoscono come sacerdote della Verità e della Storia. Beh si, c’è n’è pure un’altra di ragione, e cioè che gli anarchici bene o male si fidavano, ma questo l’abbiamo già preso in esame, e così verrebbe come definizione un disgraziato testardo nell’avere un alto senso di responsabilità e nel non essere furbo, ma privo di senso della realtà cosiddetto, e poi che dà fastidio a tutto il mondo, specie però ai vertici comunisti storici. Vale a dire, se non il tentativo più nobile che ha tentato la forma umana, almeno e di gran lunga il più sincero.
Alla fine del giro insomma, possiamo dire d’avere raggiunto almeno una certezza, una definizione. Dicesi anarchico se non il tentativo più nobile che ha ten-tato la forma umana, almeno e di gran lunga il più sincero.
È rimasta fuori solo una questione, appena sfiorata nel penultimo paragrafo, l’anarchico è un animale politico? A prima vista sembrerebbe di no. Se la politica è l’arte del possibile no senza dubbio, a rigor di logica e per carenza del senso della realtà cosiddetto di cui sopra. L’anarchico politico è un ottocentesco che si è spinto, fra molte difficoltà, fino agli ultimi decenni del secolo seguente. Poi è sparito, si è nascosto, o forse ha cambiato forma.

 

(l’immagine: Hanna Höch, Nur nicht mit beinen auf der Erde stehen, 1940, collage-fotomontaggio)

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2 Commenti

  1. apologia di un umano del genere umano.

    Non c’è nulla che si possa vendere qui.
    Qui ci sono solo pensieri coperti da parole che sono già destino, destino minato.
    Qui si rifanno vivi i morti, nutrono la pasta madre, impastano il pane, versano acqua nel paiolo, gettano legna nel camino, entrano nel bosco, non riposano mai.
    Nessuno sa davvero da quanto sono qui, cosa mi ha portato qui.
    La penosa nudità che mi circonda è dovuta al fatto che da inclassificabile che ero, sono divenuto anonimo, dando adito alle più disparate interpretazioni a cominciare dal mio isolamento, dapprima curioso, poi violento. Poi dal vestiario, sempre misero e nero, che al dire sottolinea la mia persistenza al disagio nei confronti della vita. E infine dal viso che mi definisce di età indefinibile, al centro del quale i miei occhi colmi di dolore, appaiono come se fossero a conoscenza di qualcosa che riguarda tutti. Trascorro le giornate avvolto in una ispirazione incomprensibile, indifferente all’indifferenza riservatami, cercando di capire cos’è un silenzio abitato, cercando di capire a cosa servono le tasche dei pantaloni.
    Ma di questa miseria, di questa disperazione, di questa fatica, della mancanza di cibo, della morte quotidiana, nessuno vuol sentire parlare.
    Io ho a che fare con l’apolide che si muove nell’ombra, con l’esiliato che vive costretto ad aggirarsi fra luoghi e memorie sconosciute, luoghi che parlano un’altra lingua.
    Ho a che fare con l’estraneità a se stessi in quei luoghi, con la condizione di esistere senza essere.
    Io, umano del genere umano, sono l’apolide, l’esiliato, il corpo che esiste senza essere…

  2. Anarchici ipotetici. C’è troppa gente in giro che parla in un modo e vive in un altro. Sull’ipocrisia del genere umano esiste una vasta letteratura…

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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