Lontano da Crum

di Edoardo Zambelli

Lee Maynard, Lontano da Crum, Mattioli 1885, 2018, 199 pagine

La vita a Crum era uno spasso, un folle vortice di ignoranza abietta, emozioni che traboccano di emozioni, sesso che trabocca di amore, e talvolta un po’ di sangue a ricoprire il tutto.

Lontano da Crum (in originale semplicemente Crum), pubblicato per la prima volta nel 1988 – e già apparso in Italia qualche anno fa per Barney Edizioni – torna adesso nelle librerie italiane per l’editore Mattioli 1855, tradotto da Nicola Manuppelli (che già ne aveva curato la precedente traduzione) e con una prefazione di Gian Paolo Serino. Prima parte di una trilogia, il libro – e con lui il suo autore – si porta dietro un po’ la leggenda di libro maledetto. Al suo apparire negli Stati Uniti, infatti, fu accusato di volgarità e vietato in molte librerie e università, diventando così un libro di culto, quasi sotterraneo. Divieti che comunque non hanno impedito a lui – lui il libro – e a Maynard di essere rivalutati in tempi più recenti.

Durante gli inverni a Crum, le giornate erano lunghe, noiose e fredde. Durante le estati le giornate erano lunghe, noiose e calde. A Crum, solo la temperatura cambiava.

Dopo un primo capitolo che è piuttosto un prologo descrittivo, una lunga carrellata che introduce il lettore a Crum – sonnolenta cittadina al confine tra West Virginia e Kentucky -, fornendogli le coordinate spaziali della storia, inizia il racconto di Jesse Stone, orfano adolescente che del romanzo è la voce narrante. Il libro, in poco meno di duecento pagine, copre un arco temporale di un anno, scandito dalle didascalie che segnalano il passaggio delle stagioni. Si inizia di estate e si finisce l’estate dopo.

Cosa racconta precisamente Lontano da Crum? La risposta è: praticamente niente. Però attenzione, con questo non intendo indicarne un difetto, tutt’altro, direi che il niente che il libro racconta ne è la peculiarità strutturale. Non c’è una trama forte, nessun particolare punto di svolta, il libro si compone di quadretti, piccoli squarci di vita a Crum, a volte crudi, a volte divertenti, a volte di un duro e ruvido lirismo. Certe volte, tutte queste cose insieme.

La voce di Jesse introduce poco per volta in un mondo fatto di ragazzini che di giorno in giorno cercano di inventarsi la vita. Una vita da cui gli adulti sono assenti, appena appena semplici spettatori. Qualunque cosa va bene, purché sia un diversivo dalla noia, e allora si racconta di “assalti” a un camion che trasporta carne, della costruzione di un rifugio segreto, di passeggiate nei boschi e di altri espedienti simili per far passare il tempo. Particolarmente spassose (ma a ben guardare anche poetiche) sono le parti dedicate alle “imprese” di Benny, il ragazzino che non riesce a tenere le mani lontane dalle proprie mutande.

E poi, ovviamente, ci sono le ragazze. Nel racconto di Maynard i personaggi femminili appaiono come un mondo a parte, vicino a quello di Jesse (e dei suoi amici) ma mai abbastanza per essere davvero posseduto o compreso. Proprio al rapporto con l’universo femminile sono dedicati alcuni degli episodi più belli del romanzo – su tutti la scena d’amore tra Jesse e Yvonne. Maynard è bravissimo a comporre scene in cui si alternano dolcezza e grottesco, in cui lo sguardo del protagonista si divide, quasi, tra i sentimenti profondi che a stento sa nominare e gli istinti più urgenti dettati dall’età.

Il linguaggio di Maynard è secco, spietato, spesso volgare, come è giusto che sia per la materia del racconto. Ed è, il suo, un raccontare continuamente irrisolto, quando un episodio si chiude si passa ad altro, e ciò che è rimasto inespresso rimane lì, inghiottito dalla vita a Crum, che nella sua lentezza prosegue sbiadendo gli eventi precedenti. Questo, però, non è un male, credo anzi sia una delle cose più belle e riuscite del romanzo, la sua capacità cioè di trasmettere il passaggio del tempo, la noia per le giornate di stasi e l’esaltazione per quelle in cui succede “qualcosa”. Maynard racconta di un’America dimessa, rurale, certamente lontana dalla grande epica americana di altri autori più celebrati. Eppure, proprio raccontando questo microcosmo senza eroi, riesce nel miracolo di regalare a chi legge una storia universale, di crescita, necessità di fuga, amore e amicizia.

Credo che il lettore, a libro terminato, possa dire: ho passato un anno a Crum. E proprio come per Jesse, che alla fine del libro lancia un ultimo sguardo alla sua città e la trova inaspettatamente bella, così anche il lettore riguarderà quelle duecento pagine appena lette e penserà, con un po’ di nostalgia, che è stato proprio un bel posto dove stare.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: