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Zangrando a Berlino sulle tracce di Peter Brasch

di Roberto Antolini

Questo è un libro che fa venire in mente i primi film di Wim Wenders, quelli in bianco e nero. Anche questo libro è in bianco e nero, con tutte le sfumature del grigio, il colore della Berlino sospesa fra la decomposizione della DDR e l’assorbimento consumistico nella Bundesrepublik. In quell’arco di anni fra la fine dell’una e l’altro, il grigio era il colore dominante: il colore dei portoni scrostati dei vecchi quartieri provenienti direttamente dalla Repubblica di Weimar, passando per il Terzo Reich e la succursale germanica del socialismo reale. Insomma il cuore dell’Europa, «l’Europa prima che sparisca».
L’autore è Stefano Zangrando, scrittore nato nel 1973 a Bolzano, ma con un link sempre in funzione su Berlino, dove ha ottenuto nel 2008 una borsa di scrittura della Accademia delle Arti, e nel 2009 ha vinto un premio italo-tedesco per traduttori. Questo suo terzo libro nasce dall’interesse dell’autore per Peter Brasch, figlio di un ebreo in fuga dai nazi che, diventato comunista, fa una relativa carriera burocratica nella Germania dell’Est, e fratello del più celebre Thomas Brasch, poeta e regista fuggito all’Ovest nel 1976, dove ha raccolto qualche successo (come il film “Ritorno a Berlino” del 1988) ma ha fatto una brutta fine. Peter resterà invece in DDR sperando inizialmente in una riforma dall’interno, ma sempre più critico, fino a venir espulso dall’università per aver espresso solidarietà a Wolf Biermann. Diventerà scrittore e uomo di teatro non di successo, un dissidente appartato della Berlino est, sopravvissuto poco più di un decennio all’unificazione delle Germanie.
Nei suoi momenti di vita berlinese Zangrando conosce gli amici e le ex-compagne di Peter Brasch, trova i suoi libri ormai dimenticati, ed un giorno navigando in rete incappa in due registrazioni televisive degli anni ‘90, restandone impressionato: «c’era qualcosa, in quel giovane uomo tormentato, che toccava una mia corda nascosta. Perché lo sentivo così vicino, così familiare?».
Zangrando adotta nella narrazione uno stile “sperimentale”, basato sul montaggio di materiali diversi: conversazioni e testimonianze, brevi testi letterari e lettere di Brasch, impressioni e descrizioni d’ambiente. Una forma narrativa & saggistica, documentaria ma anche introspettiva. Un’opera aperta, che rivolge al lettore domande senza risposta. Filo conduttore della narrazione è un vagabondaggio per la Berlino “mutata” di oggi, alla ricerca delle tracce sue e di quell’altro tempo, intrecciando un dialogo con l’assenza di Peter. A partire dalla casa dove ebbe il tetto più durevole, sulla Choriner Straße: «è un buon posto per abitare, dopo l’89. Al confine tra Mitte e Prenzlauer Berg, da qui in pochi minuti sei in Alexanderplatz – se vuoi fiutare bene i venti che spirano da ovest e che stanno spazzando via tutto, un po’ alla volta, in un paziente e implacabile lavoro di erosione; oppure in un attimo sei nella Schönhauser Alee, l’asse più in fermento di questo ex-quartiere operaio che, nel giro di un decennio o poco più, verrà colonizzato e tirato a nuovo dai figli di papà occidentali, tedeschi e non solo. Molti autoctoni, i più anziani soprattutto, se ne andranno da qui nei sobborghi, arresi ad affitti sempre più insostenibili; qualcuno della tua cerchia resisterà e lo incontrerò».
La parte centrale e più sostanziosa del libro – come è giusto che sia per il libro su di un uomo di teatro – ha la forma del racconto di una messinscena di teatro-verità, in cui Zangrando utilizza le testimonianze che ha raccolto direttamente dalle testimoni. Le molte donne della sua vita (amanti, amiche, familiari) vengono narrate come se si incontrassero su un palcoscenico per raccontarsi reciprocamente la loro esperienza di Peter, incrociando diversi punti di vista, tramite i quali prende corpo la storia – umana, artistica e (involontariamente) politica – di Peter. Dice la sorella Marion: «non stava da nessuna parte, non con il sistema, non con l’annessione da parte dell’occidente. Neanche a lui del resto andava giù il termine “riunificazione”. L’ho detto, quelli come noi le cose volevano cambiarle dall’interno. Non eravamo neanche nei movimenti per i diritti civili, non eravamo dissidenti sotto i riflettori dell’ovest. Eravamo un’opposizione interna, diffusa, che puntava a liberarsi del vecchiume senza gettarsi nelle braccia del mercato. E siamo quelli che la storia ufficiale ha voluto dimenticare».
Il fratello di Peter (e di Marion), Thomas, fuggito in occidente sarà sotto i riflettori come dissidente, ma trasformerà la sua incompatibilità con la generalizzata competitività occidentale in alcoolismo e tossicodipendenza, fino a venirne travolto. Peter, rimasto ad est fino alla fine, verrà travolto dalla stessa irriducibilità quando l’ovest ingloberà l’est: «il denaro, disse, è la nuova forma della censura» ricorda nella scena di teatro-verità Katja, la miglior amica di Peter. La sua precarietà, sia lavorativa che esistenziale, si aggraverà con la “riunificazione”, o comunque non migliorerà. Proverà anche a scrivere un romanzo, come chiedevano gli editori ed i media occidentali, ma nessuno se ne accorgerà. Gli verrà negato anche un posto da insegnante, e si farà distruggere anche lui dal bere, come il fratello. Lo troveranno una mattina riverso a casa sua. E a questo punto, chiaramente, la tragica traiettoria di Peter viene ad assumere una forma universale. La forma non più solo di una storia della DDR, ma della decadenza dell’Europa mercantile, dell’eclissi dell’intellettuale, della crisi della sinistra, della nostra crisi, della crisi di chi scrive e di chi legge. «È qui – dice Zangrando a se stesso – che ti sembra abbia origine la vostra affinità: si scrive innanzitutto per chi si ama, vivo o morto che sia».
Il libro si chiude con il racconto della commemorazione di Peter Brasch, nel giorno in cui avrebbe compiuto i 60 anni, tenuta nella Kneipe [birreria] gestita dal poeta Bert Papenfuß, che chiuderà il giorno dopo (è quindi insieme una commemorazione di Peter e della Kneipe). «Seduto a lato del palco, fumando e bevendo davanti a quella declamazione sublime e sinistra – dice Zangrando – compresi tutt’a un tratto che stavamo celebrando un addio. Un addio al locale in cui ci troviamo, certo, che tra poco avrebbe chiuso per sempre; ma anche un addio a Peter, poiché il Prenzlauer Berg [quartiere e movimento letterario] che quella sera lo stava ricordando era un mondo in via d’estinzione – perché, così com’era morto Peter, prima o poi tutta quella Berlino sarebbe invecchiata e poi morta, morta». Eh già, si muore, si è tutti in transito. E quindi questa è anche una parabola sulla condizione umana, sulla sua provvisorietà.

NdR: il romanzo di Stefano Zangrando “Fratello minore : sorte, amori e pagine di Peter B.”, è edito da Arkadia (Cagliari, 2018), nella collana diretta da Luigi Preziosi, Paolo Ciampi e Marino Magliani; nelle immagini che seguono Prenzlauer Berg, di cui si parla nel libro (e nella recensione), oggi e come era sotto la DDR, e un ritratto di Peter Brasch (materiali presi dalla rete).

 

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4 Commenti

  1. Sembra molto interessante, vivo e lavoro come architetto a Berlino dal 1993 e sono sempre molto interessato a confrontarmi con chi racconta in qualunque forma d’ arte il mutamento di questa per me incredibile e affascinante citta’. Lo comprero’.

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