Furland®

di Edoardo Zambelli

Tullio Avoledo, Furland®, Chiarelettere, 2018, 240 pagine

Chissà quanti milioni di morti si potrebbero evitare, se potessimo sottoporre a editing la Storia. Quanti massacri sono nati da un fraintendimento, quante persecuzioni da una manciata di sillabe. Un tempo, quando c’erano ancora le messe, la gente recitava meccanicamente il Credo, senza sapere quante dispute, spesso sanguinose, ci fossero state e quali e quante ragioni politiche vi fossero perché la chiesa avesse adottato con quella precisa formula quella preghiera, sponsorizzata dall’imperatore Costantino in persona, che trasformava Gesù da profeta mortale in Figlio di Dio.

La Storia è una brutta faccenda, purtroppo impossibile da evitare.

Sta succedendo qualcosa nel Furland: un uomo vestito da Zorro sta sabotando alcuni degli spettacoli che vi si svolgono ogni giorno, e ci scappano anche i morti. Però un attimo, ora che ci penso, bisognerà prima dire cos’è il Furland, altrimenti andare avanti è inutile. Il Furland è il Friuli, non quello di oggi, almeno non ancora. È il Friuli come lo immagina Tullio Avoledo nel suo nuovo libro, Furland appunto, con un salto avanti di non troppi anni rispetto al nostro 2018.

Anzi, a guardar bene, Avoledo chiede al lettore un salto di immaginazione che viene quasi facile. Parla di un futuro che è già, almeno in parte, il nostro presente. E fa paura. Per assurdo fa anche più paura del futuro che sempre Avoledo ha descritto nei libri ambientati nella continuity di Metro 2033, il gigantesco mondo narrativo creato dallo scrittore russo Dmitry Glukhovsky, di cui Avoledo ha curato la parte ambientata in Italia (le parti, anzi, i libri finora usciti sono due: Le radici del cielo e La crociata dei bambini, editi entrambi da Multiplayer edizioni).

Noi non scegliamo.

Nessuno di noi sceglie.

Pensa a tutto l’Amministrazione.

Tu devi solo nascere, e il Furland penserà a te, da quando nasci a quando muori. In cambio devi limitarti a prestare il tuo Servizio, che dura esattamente da quando nasci a quando muori.

Ora, venendo al libro. Di cosa parla? È bene chiarire un poco meglio cosa sia effettivamente questo Furland. Che è il Friuli del futuro l’ho già detto. Quello che non ho detto è che, in seguito a una secessione, in Friuli si è instaurata una dittatura (alla guida c’è il misterioso Vittorio Volpatti, il Leader che in pochi hanno visto e che tutti ricordano), e la regione, adesso stato autonomo, è stata trasformata in un gigantesco parco dei divertimenti. Ogni giorno, infatti, il Furland mette in scena ricostruzioni storiche (si va da fucilazioni di massa naziste a sacrifici druidici) e l’intera regione è organizzata in aree tematiche. Di conseguenza, la vita dei friulani è rigorosamente organizzata secondo i criteri di veridicità che ogni area implica.

Ora, come ho detto in apertura, sta succedendo qualcosa nel Furland: qualcuno – l’uomo con la maschera di Zorro – sta cercando di sabotare dall’interno il sistema su cui si regge l’intero stato.

Francesco Salvador, il protagonista del libro, lavora nell’area AK44, la ricostruzione del Kosakenland del ’44 (l’occupazione della Carnia da parte delle truppe cosacche alleate ai nazisti). Incaricato dal suo diretto superiore, e affiancato da un attore che una plastica ha reso uguale a Ernest Hemingway, tocca a lui cercare di capire chi ci sia dietro gli attentati che iniziano a farsi sempre più frequenti e che minacciano l’immagine del Furland come stato perfetto.

Improvvisatosi detective (in fin dei conti anche lui, nonostante il grado di ufficiale che per ragioni di messa in scena, altro non è che un attore), Francesco inizierà un vagabondaggio attraverso il Furland, passando da un’epoca all’altra nello spazio di pochi chilometri – e rischiando più volte la vita -, via via scoperchiando una cospirazione che pare avere proporzioni decisamente più grandi di quanto immaginato.

«Se questa fosse un’ipotetica partita di scacchi, tu giochi con i neri o con i bianchi?»

«Specifica chi sono i bianchi, secondo te.»

«I bianchi sono l’Amministrazione. I neri sono Zorro e gli altri che sabotano le Attrazioni.»

La Grandi sorrise.

«Nero e bianco non bastano. Aggiungici altri colori. Diciamo che io gioco con i verdi. O gli azzurri. Scegli tu. Comunque gli assassini che vi hanno attaccato, anche se vestiti di nero, erano bianchi.»

«E i turchi uccisi? Erano neri?»

«Bianchi anche loro…»

«Ma allora i neri chi sono?»

«Forse non esistono» sussurrò, strizzando l’occhio.

Furland è un libro che a me viene da definire “urgente”. E non perché sbrigativo nella sua esecuzione (da quel punto di vista è perfetto), ma perché l’impressione è che Avoledo abbia sentito, non solo come scrittore ma anche come cittadino, il bisogno di dire determinate cose e di dirle adesso. Mi tornano in mente le parole del bellissimo discorso di Harold Pinter per l’accettazione del Premio Nobel 2005 (Art, truth and politics, edito in Italia da Einaudi, in appendice alla raccolta di testi Chiaro di luna). Dopo aver discusso il concetto di verità nell’arte – dove in sostanza dice che vero e falso sono intercambiabili ai fini dell’esplorazione della realtà, che addirittura una stessa cosa può essere al contempo vera e falsa -, Pinter passa al concetto di verità in politica. E qui dice: come cittadino, però, non posso (sostenere che vero e falso siano intercambiabili). Come cittadino ho l’obbligo di chiedere: cosa è vero? Cosa è falso?

Questo sembra chiederselo anche Avoledo, cercando in quella che è la nostra realtà una verità, un qualcosa che spieghi ciò che ci sta accadendo. E lo fa raccontando un viaggio, che è quello di Francesco Salvador ma è anche il nostro.

Cosa c’è alla fine del viaggio?

Alla fine del viaggio ci sono i mostri, c’è l’orrore. E la cosa più inquietante di tutte, io credo, è che Avoledo ci fa vedere che i mostri potremmo essere noi. In questo momento storico c’è bisogno di libri così, di scrittori così. Se poi questi scrittori riescono anche a darci tutto questo raccontando una bella storia, scritta bene, e anche divertente – a parer mio, in questo Avoledo è il più bravo di tutti -, allora si può dire solo una cosa: grazie.

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2 Commenti

  1. Oggi ci sono troppi Zorro neri, anzi nerissimi, in giro per il mondo, non solo a Furland… I veri nostri potrebbero essere soprattutto loro… Che la luce della Ragione ci aiuti a smascherarli.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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