Breve relazione attorno alla pena capitale e ad altre consuetudini in vigore nella nostra comunità

di Dario De Marco

Nella nostra terra è ancora in vigore la pena capitale. Siamo coscienti che questo può determinare un pregiudizio negativo nei nostri confronti, né possiamo in tutta sincerità negare la fondatezza di eventuali critiche che partano da questo dato di fatto. Tuttavia invitiamo ad usare tolleranza, e una certa misura di benevola prudenza, verso la nostra comunità: d’altro canto per noi la democrazia e i diritti civili sono conquiste recenti, sia in generale sia rispetto alla millenaria storia della nostra razza. Le libertà personali, l’uguaglianza, lo stato di diritto: sono concetti che abbiamo assunto nel nostro sistema di valori teorici, e che purtuttavia spesso abbiamo difficoltà a tradurre in pratica. Non siamo incivili; o meglio lo siamo, ma non del tutto: sappiamo che possiamo, anzi dobbiamo migliorare, e stiamo compiendo degli sforzi in tal senso, come si potrà desumere dal seguito del presente rapporto.

In verità, la pena capitale non è l’unica particolarità che contraddistingue gli usi vigenti, essendoci relativamente ad essa un’altra antica tradizione: la sentenza non specifica la data dell’esecuzione. Quest’ultima può avere luogo tanto immediatamente, quanto svariati anni dopo la condanna; e in questo lasso di tempo non è affatto scontato che il soggetto sia privato della libertà personale. Si sono dati casi di persone che hanno circolato senza ostacoli per decenni, ma che non sono sfuggite all’Amministrazione quando è arrivato il momento opportuno: la libertà di movimento non è un problema per l’Amministrazione, che ha i suoi mezzi per controllare e raggiungere i condannati ovunque siano.

Infatti, l’esecuzione della pena capitale presso la nostra comunità è legata a un’altra prassi giuridica peculiare: la sentenza non si cura di fissare un luogo preordinato per l’esecuzione. Nella maggior parte dei casi la sanzione è applicata dopo un periodo più o meno lungo di soggiorno in strutture di contenzione, appositamente pensate per i condannati: spesso la sentenza viene eseguita in questi luoghi, ma altrettanto spesso all’ultimo momento l’Amministrazione lascia ai soggetti, o ai loro parenti, la possibilità di scegliere, con umana clemenza spostando l’esecuzione nella privata dimora del condannato; il quale così può dare addio al mondo serenamente, circondato da oggetti noti e confortato dal calore dei suoi cari. Non sempre però un’esecuzione “casalinga” è sinonimo di dipartita quieta: molti qui ricordano la fine di quell’uomo, un padre di famiglia che si trovava solo in casa mentre moglie e figlie erano in vacanza, e che l’Amministrazione fece giustiziare nottetempo e senza preavviso (in quel caso la contestuale distruzione completa dell’immobile a mezzo combustione fu correttamente rubricata sotto la voce di pena pecuniaria accessoria). In altre situazioni, l’esecuzione è in luogo pubblico, anche se ciò non comporta necessariamente la presenza di un numeroso pubblico: ci sono persone giustiziate in piazza in pieno giorno, ma anche casi in cui l’Amministrazione lascia che il condannato si allontani verso un luogo poco frequentato o del tutto deserto, come la cima di una montagna, e lì interviene; sono questi i non rari casi in cui il recupero della salma è difficoltoso quando non impossibile.

Da quanto detto si sarà capito che c’è un’altra curiosa omissione, nelle sentenze che la nostra Amministrazione emette: non vi è specificato neanche il modo in cui esse andranno eseguite. Naturalmente quel che prova un condannato nell’ora del trapasso, nessuno è in grado di saperlo finché non lo sperimenta in prima persona, e in quel caso, non è poi in grado di riferirne; ciononostante, possiamo senza dubbio supporre che alcune modalità siano più cruente – molto utilizzate armi da fuoco, elettricità, gas, iniezione o ingestione di sostanze letali, meno frequente ma pur sempre previsto il ricorso ad acqua, fuoco, armi da taglio, persino animali – e altre prive o quasi di dolore; in certi casi il decesso avviene nel volgere di pochi minuti, in altri dopo mesi se non anni di così acute sofferenze – fisiche per il condannato, psicologiche per i parenti, che sono autorizzati e quasi obbligati ad assistervi – che potrebbero essere chiamate torture da un conoscitore superficiale della nostra realtà, ma che noi ci guardiamo bene dal riprovare, non essendo a conoscenza delle recondite ragioni dell’Amministrazione. Una modalità molto ambita presso i condannati è quella dell’esecuzione durante il sonno; salvo poi che, nelle rare occorrenze in cui la dispone, l’Amministrazione si ritrova sommersa dai reclami, avanzati ovviamente non dal diretto interessato ma dai parenti, che probabilmente si sentono defraudati dalla circostanza di essersi trovati anch’essi in analogo stato di ottundimento sensoriale.

Di fatto le modalità, varie e del tutto prive di orpelli formali, con cui le sentenze vengono eseguite consentono l’applicazione del dispositivo legale in qualsiasi circostanza, anche molto piacevole. Si danno casi, rari quanto eclatanti, in cui il condannato riceve la sua pena mentre è alle battute finali di un incontro amatorio: se da un lato questo può rappresentare una punizione aggiuntiva, c’è anche chi la interpreta come una condizione favorevole, una dolcissima variante, un’apoteosi dei sensi e dell’intera esistenza. Altre volte, la pena capitale arriva in modo oggettivamente misericordioso, come quando a essere giustiziata è una persona anziana che ha appena perso tutti i suoi cari: allora l’esecuzione arriva quasi come una grazia, troncando il seguitare di inutili sofferenze. C’è da dire peraltro che le sopra dette sono eccezioni, essendo la maggior parte delle esecuzioni messe in atto in circostanze che si faticherebbe a definire diversamente che normali: situazioni qualsiasi, non particolarmente gioiose né incredibilmente dolorose, come a voler rimarcare l’indifferenza della pena capitale rispetto all’ora e al luogo – e forse anche alla persona – in cui quanto stabilito si traduce in realtà. Senza peraltro permettersi di avanzare ipotesi sulla natura delle imperscrutabili decisioni per cui è giustamente famosa, bisogna aggiungere che l’Amministrazione sembra a volte espletare le proprie funzioni con un velo di qualcosa lontanamente avvicinabile all’ironia: non si spiegherebbero altrimenti casi come quello del condannato che venne inviato in una regione impervia, un deserto ribollente di caldo e di scorpioni, dove infuriava un conflitto feroce; vedeva attorno a sé compagni di sventura cadere come birilli, giustiziati nei modi più vari, dalla fucilazione al veleno, dalla decapitazione al soffocamento fino al rogo, ma lui restava inspiegabilmente in vita; finché quando ritornò, trionfante e convinto di essere stato graziato, fu giustiziato pochi metri prima di raggiungere la propria casa. O casi come quello di un altro militare condannato, che mentre guidava la sua macchina volante si ritrovò in picchiata verso il suolo senza riuscire a fermare la caduta: credette allora di stare eseguendo la propria sentenza, mentre alla fine restò illeso, perché ad essere in atto era l’esecuzione di due intere classi di scuola materna.

Già, ci rendiamo conto che questa è la parte che risulta più ostica per chi si avvicina alla nostra civiltà, ma non si può spiegare con altre parole quello che già i lettori di questo rapporto avranno dedotto: non sono solo il modo, il giorno e il luogo che la sentenza tiene segreti; ad essere interdetta al pubblico è la sentenza in sé, nonché lo svolgimento del processo, e lo stesso capo d’accusa. Vedete, la vostra difficoltà a comprendere queste notizie e a mettervi nei nostri panni non è superiore a quella che prova l’estensore della presente relazione nel dover esplicare ciò che per noi è vita quotidiana, come l’azoto che respiriamo. Sapete, non si sa neanche quandoè stata emessa la sentenza. Naturalmente su questi aspetti delle nostre normative sono sorte le più varie teorie politiche e interpretazioni giuridiche. La più seguita corrente di conservatori asserisce che la sentenza viene emessa al momento stesso della nascita (secondo una minoranza di giuristi, anzi, in quello del concepimento) e tutto quanto accade dopo è già preordinato benché ignoto al condannato e a chi gli è vicino. Dall’altro canto i progressisti respingono sdegnati la tesi, sostenendo che una corretta condotta di vita è quanto si raccomanda a tutti, e che in ogni caso le motivazioni della condanna vadano sempre ricercate in un comportamento non conforme alle leggi, in un atteggiamento che arreca danno od offesa nei confronti degli altri membri della comunità, o di se stessi. Ancora, rappresentanti di una fetta minoritaria dell’estrema sinistra non si pongono la domanda, anzi argomentano che sia privo di senso porsela; in questo le loro posizioni paradossalmente coincidono con quelle della più antica, e oggi declinante, tra le formazioni conservatrici. Infine, non mancano i sovversivi, le formazioni clandestine che dal buio dei loro rifugi avanzano addirittura dubbi sul sevenga emessa la sentenza. E in passato ci sono stati anche insigni studiosi che in seguito a traversie personali hanno smarrito il raziocinio, e hanno iniziato a sostenere la più anarchica delle tesi: non è solo la sentenza, è la stessa amministrazione che non esiste; ma di costoro per fortuna si è persa ogni traccia.

Neanche a dirlo, l’Amministrazione non ha confortato, né d’altro canto sconfessato, nessuna di queste ipotesi; limitandosi a lasciare qua e là i segni della propria presenza, dei propri interventi (eccettuati ovviamente quelli quotidiani in occasione delle esecuzioni): segni che ogni partito politico ha avuto gioco nel leggere a proprio vantaggio.

Ma quello che accomuna tutte le posizioni, dall’estrema destra all’estrema sinistra, è l’ammissione che la condanna sia in sospeso per tutti, che ciascuno di noi è nel braccio della morte. Questa sicurezza, benché possa sembrare indecifrabile ai vostri occhi, ci dà la tranquillità che deriva dal conoscere il destino che ci attende.

E poi, nonostante la condanna che pende, il fatto che tutto continui a funzionare come se niente fosse, e ogni essere umano gioisca e lotti e soffra, e mostri un attaccamento alla vita non meno commovente che ingiustificato – come se non fosse un moribondo: non è meraviglioso?

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4 Commenti

  1. E in fin dei conti l’Italia sta attraversando una fase prefascista, dunque di cosa stupirci?

    Resta solo da chiedervi se c’è lo siamo meritati. Il sospetto c’è.

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Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
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