Distonia
Daniele Barbieri
ora, nell’ora dell’ora, di colpo guardarsi attorno,
che non c’è nessuno, nella folla, che mi sia qualcuno,
eppure sono qualcuno tutti, sono io nessuno,
nell’adesso dell’adesso nessuno e qualcuno scorrono,
nessuno vede qualcuno
se cerchiamo di capire il messaggio, eccoci di colpo
persi eccoci nuovamente figure lontane, sintomi,
allusioni a un’impressione di verità, se cerchiamo
di comprendere il messaggio, di cogliere il gesto, eccoci
improvvisamente persi, istantaneamente figure
lontane, lontane, fragili, lontane figure fragili
di incomprensibilità, quando cerchiamo di capire
e non ci siamo, non siamo vivi non restiamo veri
non viviamo, non restiamo nemmeno cerchiamo più
quando ricerchiamo, eccoci di colpo persi, fragili
e lontani e dimenticati
perché mi dice sai, siamo sospesi sopra l’abisso
di quello che accade, appesi solo al filo incerto delle
parole che produciamo, e poi mi dice vedi, siamo
qui, nella corazza delle parole che produciamo
per difenderci dal mondo, e poi mi dice ascolta, senti
come quando si dissolve la mia voce mi dissolvo
io, rimane solo carne vuota, uno spettro di assenza,
e poi mi dice toccami, se riesci ad arrivare
a qualcosa che non sia solamente suono asciutto,
e poi mi dice parliamo, che tu non mi lasci in mezzo
al mondo dove le cose mi sono state private
del rimorso, del perdono, dell’incontro quotidiano
Lontano lontano
campo verde che si stende e corre sino a lontano
lontano lontano campo che si stende e incontra laggiù
una strada che si stende e corre sino a lontano
ancora più e più lontano e incontra il cielo che si stende
e mi incontra allontanato da me alienato da me
un altro io che io sono campo verde che ci stende
io nel campo delle cose lontano lontano che incontra
forse me
Non devi
quando il cielo basso e grigio come un coperchio si abbassa
a chiudere l’effusione naturale delle cose
quando il cielo basso e basso e grigio e scuro ci nasconde
la natura vittoriosa delle cose, quando il cielo
grigio e grigio e basso e buio ci rivela un altro mondo
mondo di attesa, tensione vittoriosa sulle cose,
natura fragile dei coperchi che si abbasserebbero
sulle cose come un cielo grigio, basso e grigio, forse
quando il cielo ci tormenta, forse, quando scuro e buio
forse, non devi mai smettere, non devi incominciare
si sta sentendo svanire, intorno ci sono figure,
non cose, non la parete dura di sasso e mattoni
ma una quinta di colore evanescente, ecco che sale
l’astratto della città, soltanto percezioni umide
tengono il posto del senso, si chiude il sipario, il teatro
già vuoto
tutti rosa i peschi antichi nel marzo della pianura
il treno attracca Cesena non piove non è nemmeno
mercoledì, il sonno scivola in mezzo a versi che scivolano
fuori da questa coscienza da sette e quarantacinque
essendo in viaggio da un’ora nel marzo della pianura
grato ai peschi roseggianti a tutti i campi verdeggianti
alle case biancheggianti alle pozze celesteggianti
tutto un mondo troppo lirico per quello che possiamo
a quest’ora trattenere
In treno
addenti il panino, bocca da cavallo un poco ottuso
ma tranquillo, buono, mentre a destra ti scorre il paesaggio
tutto ingombro dei palazzi del centro, mastichi, bocca
che non ti posso sfuggire, mentre scorre tutto attorno
a noi una peristalsi di capannoni e di campi
insicuri, e poi ti fermi, bocca che appari impegnata
quasi a riflettere, mentre attorno non riesce a trionfare
nessuna vita specifica, nessun regime, né
alimentare e nemmeno di paesaggio, così che
mi diventi una metafora inutile, bocca equina
che ora riprendi, metodica, quel rito che scandisce
il tempo altrimenti vuoto
di cui sono fatti i sogni, qualche volta, in qualche luogo,
di cui siamo fatti noi, per qualche tempo, in qualche luogo,
di cui rimangono voci, lungo i secoli, per sempre
non devo scrivere il luogo, è un mondo astratto il poema,
un mondo dentro il riflesso, dove le forme del mondo
si diffondono, sfarfallano, raccontano racconti
ribaltati, sono storie di non storie, inconsistenti,
edifici che pretendono un senso al loro specifico
esistere, suggerendo di averlo perso, di non
averlo mai avuto
Noi, qui
noi, quando la sera azzanna il cuore, quando noi azzanna
il cuore la sera, noi, che il cuore azzanna nella sera,
quando le zanne del cuore azzannano la sera, e noi,
qui, noi che il cuore è di zanne, noi che sul cuore la sera
si fa sera, zanne, cuore, noi, quando le zanne azzannano
le zanne, quando la sera azzanna il cuore, e noi, noi, noi
essere veri, restare veri, rimanere vivi,
essere vivi, essere, guardarsi attorno, osservare
la vita vera che vive, la vita che veramente
si fa guardare, la vera osservatrice del mondo,
la vita che è vera, essere autenticamente vivi,
veramente veri, gonfi d’orgoglio per la verità
radicale della vita, essere, essere, essere,
rimanere, stare vivi, restarsene tutti veri,
tutti i giorni, tutto il tempo, senza dubbi, senza tregua
*
Barbieri riesce in una scrittura che inseguo da tempo, una scrittura che possa liberarsi di alcune vecchie dicotomie. Nei testi di Distonia essa trova il suo modo per affrancarsi dall’ossessione per la realtà e la comprensibilità senza diventare oscura. Tratta il materiale verbale con cura dell’andamento metrico e strofico (appena nascosto nel verso lungo, ma ritmicamente evidente) eppure evita la concettosità. Dice dalla condizione dell’osservatore lirico riuscendo a darcene conto in un acquerello astratto, dove l’acqua sta forse per il noto liquido baumaniano, forse per i regimi turbolenti della coscienza. La poesia di Barbieri, che gioca con la mancata possibilità di additarne l’oggetto, o con la presunzione delle ‘cose in sé’ di costruire un mondo, ha la capacità di essere calda e astratta allo stesso tempo. Va ragionando della condizione instabile, opaca, inefficiente dell’identità nell’anonimità fitta e rumorosa del contemporaneo, ed è insieme intima, immersiva senza essere personale. (rm)
Daniele Barbieri, Distonia, Kurumuny (collana Rosada), 2018
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Molto interessante.