Radio days: Stefano Guzzetti ed Enrico Coniglio
In bilico nell’attesa del tuo prossimo respiro
di
Mirco Salvadori
Sono giunto fin qui spinto dalla sete che non mi da tregua. Sono assetato di pace, un bisogno irrefrenabile che mi obbliga a fuggire cercando luoghi abitati dai ricordi e dalle anime di chi li ha abbandonati lungo le pareti dimenticate dal tempo. Potrei seguire il volo del vento e salire in alto, sulle cime innevate e lungo i declivi dove il respiro della foresta si fa canto, potrei cavalcare l’ondata possente del calore proveninete da sud che mi trascinerebbe nel cuore del silenzio, nel rosso deserto a dialogare con le stelle e i miraggi lasciati evaporare come segno del loro passaggio. Potrei ma in quei luoghi non riuscirei a trovare le testimonianze di chi, prima di me, ha cercato di placare questa sete chiudendo gli occhi sul finire di un giorno qualunque, immaginando un luogo in festa, nell’attesa della persona perdutamente amata e del suo perduto respiro.
Scendo in profondità aggrappato alle vene che trasportano le scorie indurite del tempo, afferro le loro fragili strutture raggiungendo l’origine dell’eco che mi segue nella discesa. Toccato il fondo il passo inizia a procedere incerto e le vibrazionimi giungono chiare, di diversa natura. Seguono percorsi dissimili, schivando le macerie che ingombrano lo sguardo e obbligano al ricordo.
Il vuoto dell’abbandono mi affascina, il vuoto di vita che abita questi luoghi mi terrorizza. Scivolo lungo le pareti intrise di umida sabbiosa sospensione, allungo la mano immergendola in quella materia che, spugnosa, l’accoglie gocciolando intonaco e pietra scaduta, dimenticata, gonfiata dalla solitudine dell’abbandono. Le vibrazioni ora giungono distintamente. E’ musica che cola dagli stipiti di legno marcito, dal cavo delle finestre divelte, si stende come una pellicola collosa sul pavimento e sale lenta, inerpicandosi lungo il muro scrostato, lambendo il mio corpo, penetrando la mia anima fino a raggiungere quella scritta che urla e si dimena immobile nella tempesta di silenzio che la nutre da decenni. Help Me, grida sputando polvere e insetti rattrapiti nella secchezza della morte. Aiutami a raggiungere quell’angolo di sole oltre il lungo corridoio, raccoglimi nella mano e portami con te nel tepore del tuo battito, non credere ai bisbigli, non seguire quella voce che dolce racconta un canto. La gentilezza della melodia mi tiene legata a questo luogo da sempre, é droga che scorre fluida e velenosa unendo mattone con mattone, creando un’apparenza solida nella quale si moltiplicano le immonde creature che albergano la polvere, affollando ciò che resta del bianco vitale nel quale respiro, mia ultima difesa. Avvicinati, annusami, leccami, strofina il tuo viso sul mio umido segno, diventa parte di me e trascinami lontano, al centro di quell’angolo di sole oltre il lungo corridoio.
L’effluvio musicale mi stordisce e trasporta lontano, nel timbro solitario del pianoforte assaporo il piacere della decadenza diffusa nella gabbia dorata dell’eleganza lunare. Il luogo nel quale ora vago forse un tempo era proprio quel bar dimenticato, quella sala d’incontri satura di fumo e polvere bianca, la stessa che ora segna il mio incerto procedere mentre nel chiaroscuro intravvedo la sagoma di un inginocchiatoio.
La vedo appoggiarsi con equilibrio incerto su quel che resta dell’antica preghiera, é una figura esile dalla voce flebile ma profonda e sta cantilenando una frase come stesse nuovamente pregando, inginocchiata sopra un irriconoscibile strumento un tempo sacro: Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. L’Angelus Novus di Klee rivive nel suo lento salmodiare, ripete incessante la frase scritta da Walter Benjamin. Una preghiera, ultima, sussurrata tra le macerie del passato che lento scivola su queste macerie con rinnovata violenza distruttiva, verso un futuro dai contorni instabili, colorati di irrespirabile bianco vitale.
La luce mi attrae, fatico a guardarla ma il vento che leggero penetra il cieco sguardo delle finestre divelte mi spinge a seguirla. Mi lascio alle spalle la solenne liturgia di morte scavalcando la linea d’ombra, il confine oltre il quale ciò che si vede é. Il respiro del giorno riempie i miei polmoni intasati dal tepore dell’afflizione, la vita sembra torni a dialogare con la natura e questo sperduto figlio. Sento il suo canto, ascolto la dolcezza della sua pronuncia mentre descrive il padiglione del sogno, lì nella città abbandonata, un luogo sempre illuminato dalla luna e dalla melodia che l’avvolge.
L’euforia donatami dal contatto con la vegetazione, il suo intenso odore, il rumore delle foglie che terminano la loro breve corsa nella stagione del silenzio, pian piano scema. Le macerie si nutrono anche di luce e si ergono immobili e maestose davanti ai miei occhi. Nulla può la dolcezza del suono che penetra la ruggine, avvolge i nani e i bruchi dagli occhioni spalancati. Invade questo luna park un tempo abitato dal sorriso di un incontro agognato, dalla stretta di mano che rallentava i battiti del cuore impazzito, dall’abbraccio desiderato e mai ricevuto, dal bacio dato nell’improvviso fermarsi del tempo. Tracce, solo esili tracce sospese nel ricordo di musiche che ripetono all’infinito ciò che é stato e mai più sarà.
Solo allora chiudo gli occhi sul finire di un giorno qualunque
immaginando me stesso seduto sul ciglio di questo luogo in festa
in bilico nell’attesa del tuo prossimo respiro.
STEFANO GENTILE | MONICA TESTA | ENRICO CONIGLIO | STEFANO GUZZETTI – “NELL’ATTESA DEL TUO PROSSIMO RESPIRO” – 13/Silentes
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Quando Stefano Gentile mi ha chiesto se potevo occuparmi dei trailers di questa magnifica opera, mi sono sentito privilegiato di poter -in qualche modo- partecipare a questo meraviglioso progetto. Mi occupo da tempo di “incontri” tra musica e immagine” e ritengo che debba definirsi una pratica “rituale”. Troppo facile oggi come oggi assemblare videoclip senza anima. Laddove -invece- l’immagine riesce a spalancare nuovi spazi al suono, ecco che trovo -di nuovo- l’energia della creazione. L’immagine non deve “chiudere” il suono in uno spazio definito e claustrofobico ma deve aprire nuove prospettive di fruizione. Questa opera a più mani è esemplare di quanto affermo. Magnifico perdersi in essa.
Vi seguo ormai da un anno complimenti!