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Augusto Agabiti: un intellettuale del primo novecento

di Nicola Fanizza

Non so quanti ricordino Augusto Agabiti, una singolare figura di intellettuale marchigiano; e quanti – meno ancora, immagino – conoscano le sue avventure editoriali. Eppure la rivista «Ultra», di cui fu animatore e poi direttore dal 1907 al 1918, occupa un posto di rilievo nel panorama culturale del primo Novecento.

Agabiti era nato a Pesaro il 7 gennaio 1879, figlio di Francesco (garibaldino che combatté a Bezzecca e Mentana) e Vincenza Barugi. Sua sorella Celestina divenne madre del critico letterario Walter Binni.

Dopo aver frequentato il liceo, si trasferì nel 1897 a Roma, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1901. Qui si trovò davanti una città culturalmente più ricca e variegata di quanto probabilmente si aspettasse. Le riviste della capitale avevano dato vasta risonanza alla polemica contro il positivismo, ospitando articoli in cui si dava conto delle diverse declinazioni dell’idealismo (mistico e razionalista). Agabiti si schierò con i mistici – quelli che poi sarebbero stati dimenticati –: ossia con letterati mossi da istanze spiritualistiche (pur con tracce dello scientismo positivistico), e nel 1904 divenne membro attivo della Società Teosofica1 di Annie Besant.

Negli anni successivi sfruttò al meglio le sue competenze storico-giuridiche per promuovere – attraverso deputati e ministri, che frequentava per il suo impiego alla Camera dei Deputati come vice-bibliotecario – diverse leggi di carattere «igienico-sociale», legate allo sviluppo delle sue idee teosofiche e umanitarie: la legge sui limiti della vivisezione degli animali, la legge sull’alcolismo, e altre per lui personalmente importanti e corrispondenti a problemi assai vivi, e spesso assai avanzati, in quegli anni di primo Novecento.

In tutti i suoi saggi, conferenze e articoli, Agabiti si adopera per ricomporre la scissione, prodotta dalla filosofia positivista, fra scienza e religione: la via da seguire era già stata indicata dagli antichi teosofi greci e orientali, i quali avevano sostenuto che la verità risiede soprattutto dentro di noi, nei principi intellettuali e nella vita spirituale dell’anima. Il contenuto di questa verità stava a fondamento di tutte le religioni. Ed era possibile coglierlo attraverso la sapienza profonda, la dottrina segreta, l’azione occulta dei grandi iniziati, profeti, riformatori che quelle stesse religioni avevano creato, sostenuto, diffuso.

Un approccio che troviamo nella sua opera più nota, Ipazia, la prima martire della libertà di pensiero. Qui la tragica vicenda della scienziata e filosofa, uccisa nel 415 ad Alessandria d’Egitto da monaci fanatici istigati dal vescovo Cirillo, diventa l’occasione per denunciare le derive esiziali di tutti i fondamentalismi.

Strettamente connesso al suo spiritualismo teosofico è la sua attività di riformatore umanitario. Anzi si può dire che la cifra della sua opera sta proprio nella battaglia che egli ingaggia per rinnovare lo spazio sociale, per promuovere le relazioni degne.

Così con Il problema della vivisezione del 1911, e ancor di più con L’umanità in solitudine del 1914, l’Agabiti auspicava l’alleanza degli uomini con la natura e con gli altri esseri viventi, soprattutto gli altri animali.

Così in Tortura sepolcrale, il nostro pericolo più spaventoso, del 1913, Agabiti rifletteva sulla morte apparente, ponendo all’attenzione del lettore una questione troppo spesso dimenticata: la tafofobia, ossia la paura di essere sepolti vivi, una paura che in seguito ha angosciato anche lo scrittore Leonardo Sciascia2.

Come evitare la «Tortura sepolcrale»? O spostando nel tempo la tumulazione dell’estinto oppure costruendo uno strumento capace di segnalare il suo risveglio. Tale strumento fu effettivamente costruito e fu messo in commercio col nome di «Karnice»3: si applicava sulla tomba ed era in comunicazione con il defunto per mezzo di un tubo terminante in una palla di vetro sospesa sullo sterno. Verificandosi un movimento all’interno della cassa, una potente suoneria echeggiava nel cimitero mentre aria fresca entrava velocemente dal tubo e gli accorsi, applicando l’orecchio potevano ascoltare le richieste di soccorso. Il Karnice fu in voga nei migliori cimiteri (in Italia costava 300 lire).

Nel 1914 di fronte allo scoppio della prima guerra mondiale, Agabiti assunse l’atteggiamento tipico degli interventisti democratici. Riteneva che la guerra contro l’Austria fosse la prosecuzione del Risorgimento.

Partecipò al conflitto come ufficiale del genio con un iniziale entusiasmo, testimoniato anche dalla larga attività esercitata al fronte come propagandista4.

Ma a un certo punto egli provò di fronte alla guerra una reazione, che revocava in causa anche le sue prospettive politiche.

L’indicibile sofferenza che egli provava di fronte alle vite spezzate e le umiliazioni a cui gli ufficiali sottoponevano i soldati – per lo più contadini o appartenenti alle plebi urbane – lo spinsero a schierarsi dalla parte delle classi subalterne. Si avvicina pertanto ai partiti socialisti e radicali. Ma ciò che è davvero rilevante è il fatto che Agabiti, nella lettera inviata alla sorella Margherita, in data 24 maggio 1917 – in largo anticipo rispetto alla Rivoluzione di Ottobre e della successiva pubblicazione dei Quattordici punti di Wilson –, si schieri contro la diplomazia segreta e auspichi la nascita degli Stati Uniti d’Europa e, insieme, degli Stati Uniti del mondo5.

Evidenti segnali del suo cambiamento sono percepibili anche nella lettera – inedita – che Agabiti invia, in data 1 febbraio 1918, a Piero Delfino Pesce – direttore della casa editrice Humanitas –:

«Finalmente, dopo averle scritto dieci lettere almeno, e venticinque cartoline, oggi ho ricevuto una sua cartolina. Ella mi chiede il mio indirizzo ed io subito glielo comunico. Raccomando la lettera per timore vada smarrita pure essa.

Mai dovetti rivolgere all’amico Cervesato per pregarlo di scriverle a mio nome.

Ora io sono molto cambiato, politicamente parlando.

Da trenta mesi sto in zona delle operazioni ed ho seguito lo svolgersi degli avvenimenti da cima in fondo. Ho un grande desiderio di sapere qualcosa dei miei lavori e specialmente del manoscritto del romanzo.

Attendo suoi scritti. Qui si lotta e spera.

In guerra, usando del pochissimo tempo disponibile, ho scritto un lungo lavoro sulla Società delle Nazioni.

Saluti. Quanto desidero parlarle di politica!»6.

Ma un mese prima della fine del guerra, durante una breve licenza a Roma, Agabiti fu colpito dalla spagnola e morì il 5 ottobre.

Concludendo queste note sulla sua vicenda biografica, mi viene da dire che è vero che la sua vita è stata breve, ma anche intensa e illuminata.

 

 

 

 

NOTE

 

1) Nel 1910 Augusto Agabiti si staccò dalla Società Teosofica. La Besant aveva sostenuto che Jiddu Krishnamurti – un ragazzo indiano di rara bellezza e intelligenza – fosse il nuovo Maestro del Mondo. Agabiti, però – pur credendo nella metempsicosi –, non era disposto a seguirla su questo piano. Aderisce pertanto alla Lega Teosofica Indipendente, e costituisce subito dopo un gruppo a sé con spiccate tendenze per la ricerca mistica.

2) Per scongiurare la possibilità di svegliarsi nella sua bara, Leonardo Sciascia diede precise disposizioni in riferimento al suo funerale: la tumulazione non doveva avvenire il giorno successivo alla sua morte, bensì a tempo debito!

3) Augusto Agabiti affidò la prefazione del suo libro Tortura sepolcrale al conte Michel di Karnice-Karnicky, Ciambellano dell’Imperatore di Russia e ricco filantropo, che dedicò la sua vita alla morte (apparente), fabbricando da sé i modelli del suo apparecchio, che avrebbe consentito di comunicare all’esterno il risveglio del «defunto». Da qui il nome di Karnice che venne dato all’apparecchio costruito nelle officine meccaniche Lindner di Berlino.

4) Le conferenze tenute da Augusto Agabiti a favore della guerra furono raccolte in volume e pubblicate dopo la sua morte, Sulla fronte giulia: note di taccuino 1915-1917, 1919.

5) La lettera inviata da Augusto Agabiti, in data 24 maggio 1917, a sua sorella Margherita, è rinvenibile sul sito Web ttps://www.fondowalterbinni.it/primo_piano/augusto.htm.

6) La lettera inviata da Augusto Agabiti, in data 1 febbraio 1918, a Piero Delfino Pesce è custodita nel Fondo Piero Delfino Pesce, depositato presso la Biblioteca Santa Teresa dei Maschi–De Gemmis, Bari, Corrispondenza, b. 24, f. 4, n. 27. Augusto Agabiti era entrato in contatto con Pesce già nel 1913, grazie alla mediazione del loro comune amico Arnaldo Cervesato. Da questa lettera si evince che Agabiti aveva scritto un romanzo nonché un saggio incentrato sulla Società delle Nazioni. Si tratta di due lavori di cui non conosciamo nemmeno i titoli e che probabilmente sono andati perduti. Da una precedente lettera inedita inviata dall’erudito pescarese in data 21 dicembre 1913 al direttore dell’editrice Humanitas, apprendiamo che Agabiti si sarebbe dedicato nel gennaio successivo alla «sistemazione del Trattato di Teosofia o Filosofia religiosa liberale». (La lettera appartiene alla collezione privata del cultore di storia locale Giovanni Santo). Infine, dalla lista dei libri della casa editrice Humanitas si evince che Pesce si era già impegnato a pubblicare un altro lavoro di Agabiti, intitolato Mistero tomba. Nondimeno di questi ultimi scritti conosciamo solo i titoli e probabilmente sono andati anch’essi perduti.

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5 Commenti

  1. Grazie, molto interessante. Nato due mesi prima di Einstein, 1879, un anno fortunato. Forse un refuso nella nota 6: pescarese invece di pesarese?

  2. AUGUATO AGABITI E GLI SCENARI ESOTERICI DELLA CULTURA DEL PRIMO NOVECENTO …

    CONSIDERATO CHE l’intellettuale pesarese “fu animatore e poi direttore dal 1907 al 1918” di « ULTRA, rivista teosofica, occultismo, religioni, telepatia, medianità», e, “tra il 1880 e il 1925 l’interesse per l’esoterismo e le dottrine ermetiche riemerge con prepotenza in Europa, avvolgendo con il suo alone di mistero le arti figurative, la letteratura e l’architettura” (cfr. “Arte e Magia. Il fascino dell’esoterismo”, Palazzo Roverella”/Rovigo – dal 29 settembre 2018 al 27 gennaio 2019: http://www.palazzoroverella.com/mostra/arte-e-magia/), la “memoria” di Nicola Fanizza e l’attenzione di “Nazione Indiana” offrono una singolare opportunità (da verificare anche e inoltre la “presenza” della rivista “ULTRA” e della figura di Agabiti alla Mostra di Rovigo) per meglio illuminare gli scenari della cultura esoterica ed essoterica del primo Novecento….

    Federico La Sala

  3. AUGUSTO AGABITI E GLI SCENARI ESOTERICI DELLA CULTURA DEL PRIMO NOVECENTO …

    CONSIDERATO CHE l’intellettuale pesarese “fu animatore e poi direttore dal 1907 al 1918” di « ULTRA, rivista teosofica, occultismo, religioni, telepatia, medianità», e, “tra il 1880 e il 1925 l’interesse per l’esoterismo e le dottrine ermetiche riemerge con prepotenza in Europa, avvolgendo con il suo alone di mistero le arti figurative, la letteratura e l’architettura” (cfr. “Arte e Magia. Il fascino dell’esoterismo in Europa”, Palazzo Roverella”/Rovigo – dal 29 settembre 2018 al 27 gennaio 2019: http://www.palazzoroverella.com/mostra/arte-e-magia/), la “memoria” di Nicola Fanizza e l’attenzione di “Nazione Indiana” offrono una singolare opportunità (da verificare – anche e inoltre – la “presenza” della rivista “ULTRA” e della figura di Agabiti nell’orizzonte della Mostra di Rovigo) per meglio illuminare gli scenari della cultura esoterica ed essoterica del primo Novecento….

    Federico La Sala

  4. MAHLER, KAFKA, E “LA TORTURA SEPOLCRALE” ….

    […] Nei diari di Kafka, tra le annotazioni del suo viaggio per l’Europa in compagnia di Max Brod (agosto-settembre
    1911), il ricordo di una conversazione a un tavolino di caffè in piazza del Duomo a Milano, sulla morte apparente e la puntura al cuore: «Anche Mahler ha chiesto la puntura al cuore». Mahler era morto il 18 maggio di quell’anno; forse
    il pensiero della verifica medica sul suo corpo prima dell’inumazione gli avrà reso meno amari i sudori della morte. Sempre aveva sofferto di terrori della morte, riempito d’immagini funebri la sua musica.

    Quell’*anche* di Kafka è significativo. Un nero velo di orrore per la morte apparente copriva l’Europa da quando la medicina si era data a divulgarne con grande allarme i fenomeni, e l’iniezione intracardiaca (di efedrina, di adrenalina) era frequente nella classe colta di quegli anni, per chi rifiutava la cremazione. […]

    A Roma, nel 1913, uscì *La tortura sepolcrale* (sottotitolo eccitante: *Il nostro pericolo più spaventoso*) di Augusto Agabiti, con prefazione del conte Michele di Karnice – Karnicky, Ciambellano dell’Imperatore di Russia, inventore di un apparecchio di salvataggio per gli inumati vivi (cfr. Guido Ceronetti, “La morte apparente”, in – “La carta è stanca”, Milano, Adelphi, 2000).

    Federico La Sala

  5. P. S. LA MORTE APPARENTE E MOSE’ SUL SINAI …

    ***** “Tra le carte kafkiane sequestrate dalla Gestapo a Berlino, c’è anche un frammento, ritrovato in Germania, sulla morte apparente, che chiude il volume mondadoriano di *confessioni e diari* curato da Pocar. All’esperienza del morto apparente, che riprende a vivere, Kafka accosta quella di Mosè sul Sinai: il morto e Mosè ritornano da qualche cosa di cui non possono dire niente. Ma tra la morte mistica e la morte apparente c’è una voragine. In Teresa di Avila, che ha sperimentato l’una e l’altra, sono rigorosamente distinte” (Guido Ceronetti). *****

    Kafka, Della morte apparente *

    Chi ha subìto una volta la morte apparente può raccontare le cose più terribili, ma non può dirvi che cosa c’è dopo la morte, in realtà non si è nemmeno avvicinato alla morte più di un altro, in fondo ha soltanto «vissuto» un’esperienza particolare che gli è servita a rendergli più preziosa la vita non particolare, quella comune.

    Più o meno lo stesso accade a tutti coloro che hanno vissuto un’esperienza particolare. Mosè, ad esempio, sul monte Sinai ha certo vissuto un’«esperienza particolare», ma invece di abbandonarvisi, come potrebbe fare un morto apparente, che non dà segni di vita e resta disteso nella cassa, egli è scappato giù di corsa dalla montagna e aveva certo da raccontare cose inestimabili e amava gli uomini, presso i quali si era rifugiato, ancora molto più di prima, e in seguito ha loro sacrificato la sua vita, si potrebbe quasi dire per ringraziamento.

    Da entrambi, però, dal morto apparente che torna come da Mosè che torna, si può imparare molto, ma non la cosa decisiva, perché non ci sono arrivati nemmeno loro. Se ci fossero arrivati, infatti, non sarebbero più tornati.

    Del resto non vogliamo arrivarci neanche noi. E ce lo prova il fatto che, ad esempio, potrebbe anche venirci il desiderio di vivere l’esperienza del morto apparente o quella di Mosè (avendo però il ritorno assicurato, quasi un «salvacondotto»), che ci avviene perfino di desiderare la morte: ma neppure col pensiero vorremmo restar vivi dentro la bara senza alcuna possibilità di ritorno, oppure sul Sinai …

    (Questo non ha niente a che vedere, in fondo, col terrore della morte …)

    * Franz Kafka, “Paralipomeni”, *Confessioni e Diari*)

    Federico La Sala

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