Peccato mortale

di Edoardo Zambelli

Carlo Lucarelli, Peccato mortale, Einaudi, 2018, 247 pagine

Ad solo un anno di distanza dal malinconico e bellissimo Intrigo italiano, Carlo Lucarelli riporta in libreria il commissario De Luca, e con Peccato mortale scrive il quinto capitolo della serie. Mi preme sottolineare il breve intervallo di tempo tra gli ultimi due, perché invece tra il terzo e il quarto era passato più di un decennio. Nel frattempo Lucarelli ha scritto altro (parlo solo della sua attività di romanziere, lasciando da parte tutto il resto): ha pubblicato un romanzo a sé stante, L’isola dell’angelo caduto; ha portato avanti la serie con protagonista Grazia Negro (Un giorno dopo l’altro, 2000; Il sogno di volare, 2013); e ne ha avviata un’altra, quella del capitano Colaprico (Albergo Italia, 2014; Il tempo delle iene, 2015), che in qualche modo riprende le atmosfere di quello che è, ad oggi, il suo libro più ambizioso, L’ottava vibrazione, uscito nel 2008.

Che volete, non basta cambiare il direttore del “Resto del Carlino” e liberare due antifascisti, la gente fa la coda per il pane, ha paura delle bombe e non vuole più la guerra. Mussolini non c’è più, dice, e allora perché stiamo ancora così, con le zucchine a tre lire al chilo e i mariti e i figli al fronte. E poi ci sono i comunisti con le bandiere rosse, che alzano la testa, non è che per loro finisce tutto con gli spazzini del Comune che ramazzano le cimici e i vetri dei ritratti del duce buttati giù dalle finestre. Badate che questi non sono pensieri miei, riferisco quello che abbiamo raccolto, ma questo paese, De Luca, questa città sono una polveriera pronta ad esplodere.

Ora, tornando a Peccato mortale.

Lucarelli non riprende da dove aveva lasciato nel romanzo precedente (la Bologna degli anni ’50, con un commissario De Luca sfatto, sempre inseguito dalla vergogna di aver servito durante il regime fascista, dalla paura di essere riconosciuto), ma fa un passo indietro. Il romanzo è infatti ambientato nel 1943, in un delicato momento di passaggio della storia italiana, tra la caduta del fascismo e l’arrivo dei tedeschi.

Ad avviare la narrazione è il ritrovamento di un cadavere senza testa, in un casolare di campagna. Un cadavere cui stranamente sembrano subito interessarsi alcuni personaggi in alto, probabilmente perché dietro quell’uccisione (e quel tentativo di rendere irriconoscibile il morto) c’è un segreto sconveniente, qualcosa da nascondere a tutti i costi. E infatti, alcuni testimoni spariscono, ne compaiono altri che rilasciano dichiarazioni che sembrano più sviare che indirizzare, e spunta fuori una testa mozzata, in un canale, che però non corrisponde a quella del cadavere ritrovato.

Nel frattempo, con la caduta improvvisa del fascismo, le strade di Bologna – già incendiate dal caldo e provate dai bombardamenti – sono in tumulto, si respira una rivoluzione imminente, e per De Luca – che alla politica è sempre stato estraneo, interessato solo e unicamente a fare il suo lavoro, e a farlo bene – questo è un ulteriore confondere le acque, oltre che, a ben guardare, un pericolo (è pur sempre un commissario che ha servito il fascismo).

Questa è, a grandi linee, la trama nel suo avvio. Il resto è giusto che lo scopra il lettore.

Lucarelli non ha mai un andamento particolarmente veloce (se non, forse, nei romanzi dedicati all’ispettore Coliandro, e in quel piccolo gioiello che è Guernica), la sua è una narrazione piuttosto lenta, procede per un graduale accumulo di dettagli – la scansione scenica si dilata in dialoghi e momenti di introspezione, la terza persona in indiretto libero spesso entra, per così dire, nella testa di De Luca (in questo caso) e rende conto di dubbi, deduzioni, riflessioni, ma sempre in modo pacato, obliquo, facendo sì che il lettore non perda mai la tensione del racconto.

Tutto questo è fatto con una prosa semplice e allo stesso tempo elegante, ricca, in cui il dettaglio diventa spesso centrale (grande cura Lucarelli la pone nel ritrarre i gesti dei personaggi, tanto da far pensare a primi piani ravvicinatissimi; e altrettanta cura è data alle inflessioni regionali delle varie parlate).

In definitiva, con Peccato mortale, Lucarelli aggiunge un tassello a quella che, vista nel suo complesso, è una delle opere più riuscite e belle nel panorama della scrittura di genere in Italia. Credo, anzi, che sia molto riduttivo parlare di semplici romanzi noir quando ci si riferisce alle sue opere (così come lo è quando si parla di Massimo Cassani, Eraldo Baldini o Antonio Pagliaro, solo per citarne alcuni). Certo, la gabbia della trama è quella – un fatto criminoso, il detective che indaga, gli indizi e poi la risoluzione -, ma la qualità della scrittura, la raffinatezza del raccontare e la profondità di riflessione storica (in Lucarelli come negli altri che ho citato) trascendono il genere per restituire alla fine, molto semplicemente, bella letteratura.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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