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Gamba tesa: Lotta di classi (prima puntata)

ceci n’est pas (encore) un livre

 

 

 

Hip-Hop, Urrah

di

Francesco Forlani

C’è una lunga strada che attraversa la foresta che unisce e separa le due scuole in cui ho insegnato quest’anno. Per percorrerla tutta ci metti circa un quarto d’ora, precisamente sedici minuti e cinquanta a una velocità di cinquanta chilometri all’ora. Quanti chilometri è lunga la strada? Ma saperlo è davvero essenziale al nostro racconto? E se l’essenziale fosse altrove, ovvero nel fatto che una distanza separi le due scuole, una qualificata REP + e l’altra no. REP ( Réseaux d’Éducation Prioritaire) sono quegli istituti che secondo l’Education Nationale ( La Pubblica Istruzione, in Francia) sono confrontati a situazioni culturali e sociali particolarmente critiche e difficili al punto di richiedere la messa in opera di diversi dispositivi d’aiuto, economici e professionali, per tentare di combattere la diseguaglianza sociale con l’obiettivo di offrire anche ai ragazzi “svantaggiati” una pari opportunità di successo nella vita scolastica e a seguire professionale.

Io per un anno ho lavorato in una REP + dove il piccolo segnetto finale stava ad indicare in realtà un meno, ancor più meno fortuna dei REP semplice, controbilanciato da un più di mezzi a disposizione della direzione e del corpo docente.

Tutto questo vorrei diventasse un racconto che in realtà sto già scrivendo in francese e che vuole descrivere attraverso questa metafora della foresta, una fase della vita, l’adolescenza, che nelle scuole medie incarna la grande incognita dell’unica vera lotta delle classi che abbia una qualche importanza ai nostri giorni, una lotta che nella migliore delle ipotesi tutti vorremmo che finisse con un bel pareggio, égalité appunto delle opportunità e della libertà di scegliere davvero cosa fare della vita. Mai come ora ho vissuto sulla mia pelle – in realtà sulla pelle spesso nera dei miei studenti –  cosa volesse mai significare una frase sentita per anni, quella frase d’eco nietzschiana che più o meno invocava di fare “della necessità e del caso della vita l’esercizio della volontà e della libertà del destino”.

Questa premessa mi è servita per  tentarmi di spiegare  perché quando chi dal centro si avventura nelle periferie caschi nella maggior parte dei casi nella trappola mortale della tristesse dei luoghi, conferendo al proprio racconto una ulteriore tristezza dello sguardo, che per lo più e ai più rende ancora più insopportabile quella realtà.

Il caso ha voluto, poche settimane fa che due narrazioni completamente agli antipodi di uno stesso luogo si presentassero alla mia attenzione e  come lo scontro delle due – lotte di classe anch’esse – mi facessero capire che cosa mi accadeva quotidianamente, quando da una scuola all’altra, dall’al di qua all’al di là della foresta, passavo da un paesaggio all’altro della mia personale éducation nationale.

Quando Giuseppe Schillaci, cineasta, scrittore, nonché amico e redattore di Nazione Indiana mi aveva mostrato l’anteprima di alcuni videoclip girati dai nuovi migranti, materiali per un suo documentario per il canale franco tedesco ARTE,  avevo pochi giorni prima visionato sul sito di Repubblica Lo speciale, Prof in trincea: viaggio nelle scuole di frontiera. Il caso, sempre lui, ha fatto che dello speciale vedessi proprio la puntata sicula che è possibile seguire qui.

Partiamo allora da questa prima parte ma per arrivare da quell’altra, cominciamo da Caporetto peró magari con la testa già oltre il Piave. Quello che mi ha colpito di più nel materiale di presentazione del documentario su Arte era questo passaggio: « J’ai déjà joué pour des gens qui étaient arrivés depuis trois jours et qui trouvaient la force, après tout ce qu’ils ont vécu, de danser, de chanter et d’être heureux ! » ( Mi è già capitato di suonare per gente  sbarcata da tre giorni e che  trovava la forza, dopo tutto quello che aveva vissuto, di ballare, cantare, essere felice.) Quando ho visto alcune delle puntate dedicate alla questione dei REP italiani, ovvero di quelle scuole, soprattutto di primo grado, sorte nei quartieri periferici più a rischio, la prima cosa che mi ha colpito è stato il contrasto netto tra la vivacità dei ragazzi ripresi, per lo più non in chiaro, dalle telecamere e le espressioni disfatte, sconfitte, anche se non completamente, degli insegnanti. Prima di esporre allora la mia teoria devo dire che quella faccia la conosco, e conosco e ammiro l’impegno di chi lavora in questa realtà che il resto del mondo vorrebbe dimenticare per sempre.

Dal REP al RAP

La mia riflessione a questo punto riguarda il tono che la sinistra, l’ideologia detta di sinistra o quel che resta, utilizza per la narrazione del sociale.

(continua)

 

 

 

 

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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