Ponti d’autore che crollano

Il corteo presidenziale attraversa il ponte nel giorno dell’inaugurazione il 4 settembre 1967

(sul tragico evento del ponte Morandi crollato a Genova ricevo una riflessione di Alberto Giorgio Cassani e una replica di Gianfranco Tondini che volentieri pubblico. G.B.)

di Alberto Giorgio Cassani

«London Bridge is falling down falling down falling down»

Thomas Stearns Eliot, The Waste Land, 1922

Gianfranco,

Gli antichi lo sapevano. Ma ne erano coscienti anche il Petrarca – «nil penitus firmum, nil immortale per evum / mortales fecisse manus» (Epystole metrice, Ad Guillelmum Veronensem)e, nel secolo scorso, Ernst Jünger – «non una casa vien costruita, non un’architettura progettata, ove la ruina non sia implicita, posta quale pietra di fondamento» (Sulle scogliere di marmo). Siamo noi moderni che ce ne dimentichiamo continuamente, convinti delle “magnifiche sorti e progressive” della tecnica. Chi ci ha preceduto era perfettamente consapevole che tutte le costruzioni dell’uomo sono opere che sfidano la natura e gli dèi. Soprattutto i ponti, opus periculosum maxime, dal momento che non solo conficcano i loro piloni nella dea terra, ma osano perfino interferire col libero scorrere delle acque di fiumi e mari, per gli antichi, potenti dèi anch’essi. Se ne accorse il gran re Serse, quando incatenò con catene di ferro il sacro Ellesponto e proprio per ciò, secondo Eschilo, fu sconfitto dai Greci. Era per questo motivo che ogni sacrilegio edilizio richiedeva per compensazione un sacrificio cruento. Ed era per tale ragione che a custodire il Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma, era preposto il pontifex maximus, cioè la più alta carica sacerdotale. E forse era per minimizzare il sacrilegio che in questo ponte non poteva essere usato alcun metallo, simbolo del faber, mestiere manifestamente legato ad attività infere. Anche gli uomini del Medioevo, pur credendo a un solo dio, e considerando idoli gli antichi dèi pagani, attribuivano la costruzione dei ponti a schiena d’asino della propria epoca al diavolo, scaricando evidentemente su di lui ogni responsabilità sacrilega.

C’è un racconto che fissa il discrimine tra mentalità antica e moderna: The Bridge-Builders (1893) di Rudyard Kipling. In esso si mostra la frattura tra una concezione tradizionale, ancora impregnata di senso panico – espressa, a suo modo, dall’indiano Peroo – e la sicurezza dei calcoli matematici dell’ingegner Findlayson. Nello scritto, alla fine, in apparenza, sembra sconfitta la superstizione negli antichi dèi, a fronte della vittoria del nuovo dio, the Technique. Ma ogni crollo di ponte contemporaneo, ogni viadotto che schiaccia le auto di un inconsapevole guidatore, ogni megastruttura che frana al suolo sta lì a dichiarare l’impotenza della creduta divinità di fronte alle forze della natura che operano silenziose, lente ma implacabili. Ne era cosciente un grande italiano che rispettava gli antichi, pur essendo a tutti gli effetti uno dei primi uomini dell’età moderna, Leon Battista Alberti, quando affermava che lo stillicidio di una piccola goccia d’acqua fa marcire qualunque trave (e in seguito il tetto e l’intera costruzione), se non s’interviene in tempo; così come l’incessante passaggio di una fila di formiche lascia un segno anche nella più dura selce.

Il crollo del viadotto sul Polcevera di Riccardo Morandi a Genova è dolorosissimo per le vittime inconsapevoli e incoscientemente fiduciose dell’eternità delle cose costruite dalla mano o dalle macchine dell’uomo; ma chi, attraversando un ponte, pensa che possa crollare?

Con le proporzioni che ci consente la morte di tante persone, questo evento è funesto anche per la perdita di un capolavoro architettonico dell’ingegneria italiana (o presunto tale, visto quanto accaduto?). Non è rovinato a terra un qualunque viadotto autostradale, costruito magari con più sabbia che cemento, ma l’opera più conosciuta di uno dei maggiori strutturisti del secolo scorso.

Si parla ora di allarmi inascoltati e, a distanza di due anni, suonano profetiche le parole di Antonio Brencich 1 , professore di tecnica delle costruzioni all’Università di Genova – assai critico verso il presunto chef-d’œuvre – che aveva evidenziato, in un articolo on-line, «diversi aspetti problematici» del ponte, dall’aumento dei costi di costruzione rispetto al preventivo, al «piano viario non orizzontale», evidente per chi attraversava il ponte fin dagli anni Ottanta. Ora si aprirà un’inchiesta e si vedrà, probabilmente, quali sono state le responsabilità.

Gli antichi avrebbero additato un unico colpevole: l’hybris dell’uomo.

Riccardo Morandi mostra il modello del ponte al Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat dopo la sua inaugurazione

di Gianfranco Tondini

18 agosto 2018

Alberto,

Il tuo pensiero su questa storia tragica mi ha afflitto, come è giusto che sia. Con chiarezza indichi quanto lontano bisogna guardare per cercare le colpe, e indichi molto lontano, indichi l’hybris, l’arroganza dell’uomo e l’ottusità che la correla. E questo conosciutissimo vizio, che tra gli antichi e gli dèi veniva preso molto sul serio, è proprio il nostro peccato capitale, il peccato originale per cui siamo stati scacciati dal giardino di dio per finire in un mondo di sofferenze. E il fatto che su questa faccenda non siamo molto cambiati sin dalle origini, mi fa pensare che l’arroganza dell’atto di sfida contro la natura – che è madre, ma è anche una parte propria di se stessi – sia una caratteristica della specie. Una caratteristica non da poco, che secondo me sta alla base della nostra evoluzione e che ora ci sta portando persino verso l’ultra umano. Del resto, la Bibbia ci racconta che i primi uomini, anziché ubbidire a dio e partire per fondare colonie, pensarono bene di costruire una torre per cercare di raggiungerlo.

E allora se è così, se quest’arroganza è parte della nostra natura, ebbene che sia il ponte, che siano gli innesti biotecnologici, che sia la scoperta dell’America e i viaggi su Marte! Siamo fatti così.

Che c’entra dunque un ponte con l’arroganza umana? Non c’è niente di male a fare un ponte, anzi è un simbolo positivo che rappresenta il contatto fra le persone. Il problema del suo crollo, poi, è dovuto a un errore umano e non certo alla natura, la quale da parte sua ha rispettato lo speranzoso patto di inazione – il quale, solo, permette la sopravvivenza delle opere degli uomini, come ricordava Leopardi.

Ho saputo che il crollo del ponte Morandi è dovuto alla mancata manutenzione, e che sarebbe bastato averne più cura per evitarlo. Ogni articolo di giornale già spiega cosa si sarebbe dovuto fare, e ogni giornalista, e telespettatore, e tecnico, e politico del paese sa cosa si sarebbe dovuto fare, e come e perché, e non si tarderà a risalire la catena delle colpe. Quindi che c’entra l’arroganza dell’uomo? Mica si è trattato, che so, di un campeggio in un torrente o di una villa sul Vesuvio.

Invece si, è proprio così come dici, si tratta ancora di quell’arroganza. E penso che la meccanica di quell’arroganza, dai tempi di Leopardi si sia inclinata leggermente verso qualcosa di un po’ peggiore.

Cerco di spiegarmi.

Dicevo della mancata manutenzione per la quale, dal punto di vista giuridico, la responsabilità del crollo del ponte è umana. Tuttavia, se fosse stato per un terremoto, uno tsunami o la caduta di un monte, non sarebbe cambiato di molto. Dal punto di vista giuridico c’è sempre una responsabilità umana: materiali scadenti, cattive costruzioni, mancati controlli, mancate segnalazioni, inavvertenze, sottovalutazioni, inadempienze previsionali, calcoli sbagliati, eccetera. Il punto di vista giuridico ha prevalso, al punto che un sistema di previsione dei fenomeni catastrofici, con tanto di responsabili governativi, è stato istituito in Francia dopo l’estate del 2003, quando il caldo uccise più di mille anziani, dei quali si continuarono a scoprire i corpi per quasi un anno.

Insomma, potrebbe sembrare che gli uomini si attribuiscano la colpa anche per i fenomeni naturali, come ad esempio il caldo. Pensando a Leopardi, verrebbe da dire: che arroganza! Ci crediamo così capaci di controllare la natura (tra cui anche le leggi della fisica, come nel caso di un ponte), da ritenerci responsabili se un vulcano erutta?

A pensarci però, la cosa potrebbe avere un senso. Potrebbe forse significare che, anche senza saperlo o averlo ben chiaro, l’uomo di oggi si imputa la responsabilità della propria arroganza nei confronti della natura, come facevano gli antichi? Neanche per sogno, la risposta è no: lo fanno al massimo gli individui, ma non lo fa la specie. La specie avanza inesorabile e non può governare il proprio andamento, come dimostra anche solo il più inestinguibile dei tabù: la demografia. La specie opera ottusamente per la propria espansione, ignorando il rispetto della natura e persino la propria stessa sopravvivenza.

No, l’uomo non ha più alcuna reverenza nei confronti della natura. La colpa che l’uomo si imputa non è di rovinare il pianeta e la propria stessa specie, ma – è questo il mio concetto – si imputa la colpa di non mantenere lo sforzo costante e necessario per sostenere le strutture artificiali che costruisce, e che sfidano la natura. L’uomo si incolpa di non avere fatto il proprio dovere, il quale consiste nella manutenzione. È proprio a questa responsabilità che afferisce il punto di vista giuridico (e solo relativamente a quella della rovina del pianeta: le leggi ecologiche e le risibili ammende sono lo scarso frutto di un’estenuante sforzo politico e sociale di pochi contro molti).

La colpa dell’uomo, insomma, è di non avere mantenuto lo sforzo costante e necessario a tenere in piedi l’opera. La manutenzione. Del ponte, della nave, dell’aereo, del treno, della scala mobile, dell’ascensore, del palazzo, della diga, della centrale elettrica, del passaggio a livello, della cucina a gas, del motorino, eccetera eccetera. E cos’è la manutenzione, se non un servaggio alla tecnica – e solo molto più indirettamente un servizio all’uomo?

A governare un mezzo abnorme come una nave da crociera – meravigliosamente governabile al semplice patto di rispettare certe condotte di comportamento – noi vogliamo persone capaci di controllare la propria natura e di oscurarne una sezione per diventare parti e ingranaggi del funzionamento tecnico della macchina. Ma cosa succede se Schettino, invece di spersonalizzarsi, si dedica al piacere tanto raccomandato dai greci? Il disastro. Ed è in quel caso un disastro rassicurante, perché c’è come spiegazione un tizio così chiaramente colpevole, che di più non si potrebbe. Siamo rassicurati dall’idea che niente può andare storto, a patto che si mantenga lo sforzo.

La tecnica è la nostra mediatrice culturale con la natura: dobbiamo solo asservirci alla prima e ci toglieremo dal giogo della seconda. Questa, che ci convinca o no, è la nostra condizione attuale. Impensabile ai tempi di Leopardi.

La colpa che l’uomo si dà è la mancata dedizione allo sforzo costante che – come le formiche – la nostra specie compie per opporsi alla principale legge della natura: la caducità delle sue opere e della vita. Ogni cosa che riguardi l’uomo, o che da lui provenga, richiede costante cura, cioè uno sforzo costante per farla durare, che si tratti di ponti, libri o giardini. E con questo, rifiutiamo di accettare che le opere dell’uomo possano essere assoggettate alle stesse leggi della natura, che poco alla volta fa crollare ogni cosa. E allora ecco che squadre di operai, ingegneri, periti, sismologi, esperti di fisica, responsabili della protezione civile, giudici, sindaci, vigili del fuoco, burocrati, assessori, ministri e quanti altri, costituiscono il gruppo dello sforzo, cioè coloro che si rendono necessari per mantenere il ponte in uno stato durevole. E ora si chiedono a gran voce controlli per ciascun ponte.

E dunque, che si tratti proprio di questo? Che sia proprio questo sforzo ottuso, il pegno che dobbiamo pagare per la nostra arroganza? Per opporci alla Legge continuando infinitamente a costruire la torre? Incolpanti l’esistenza, chinati sotto il peso del nostro stesso progresso, indifferenti, indaffarati e impegnati per tutte le ore escluse dal sonno, a mantenere in piedi le nostre piccole e grandi torri di Babele. Il tempo dell’esistenza volutamente impegnato in queste responsabilità. L’esistenza scandita dalle fasi binarie dello sforzo di Sisifo.

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NOTE
  1. Cfr. questo articolo ; e quest’altro . Ma si veda ora il bell’articolo di Marco Belpoliti, L’ingegnere imperfetto, in «la Repubblica», 19 agosto 2018. Del resto lo stesso Morandi non aveva taciuto la durata limitata del suo ponte.

23 Commenti

  1. Letto il pezzo e ascoltato la presentazione a pagina tre di radio tre, sono andato a rileggermi il saggio ” La bestia meccanica ” di Nicola Chiaromonte e la sua riflessione sulla bruttezza del mondo. Ne riporto qui di seguito qualche breve passaggio con un saluto a Giorgio e Gianfranco:
    “Non appena s’interrompa l’attività che, occupando il tempo, distrae, illude e ottunde la mente, torna innanzi agli occhi l’immagine brutta del mondo con i suoi neri confini.
    ……..
    E la sua bruttura va molto in fondo, assai più in fondo di dove possa giungere una ideologia politica, una teoria sociale, o, ancora meno, una pretesa scienza psicologica: tocca, appunto, il fondo del nostro animo e i motivi della nostra condotta.
    ….
    Brutto, il mondo di oggi lo è principalmente perchè fa all’individuo il peggio che gli si possa fare: mettendo a sua disposizione un quantità illimitata di strumenti e beni materiali, accresce la sua potenza fisica, dunque la sua stupidità, e moltiplica la sue capacità d’errore e di male; mentre le capacità di buon senso e di bene rimangono atrofizzate.”

    Roberto P.

  2. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario ” ( Primo Levi ) ….semplicemente per non ricadere negli stessi arroganti ed ottusi errori. Non sempre correre verso la tecnologia è progresso , ogni tanto fermarsi a riflettere e fare quel passo indietro che ” avvicini gli uomini ” è ” progresso umano “

  3. Bellissimo. L’estate 2003 comunque uccise nel solo mese d’agosto esattamente 13069 anziani nell’area metropolitana di Parigi. Nel 2015 il trattato internazionale sul clima di Parigi vincola tutti (tranne tre: yankee, costaricani e nordcoreani) ad avviare la cosiddetta transizione alle energie pulite. Intanto moriamo di inquinamento.
    L’antropocene è l’era geologica nostra ora. Una enorme decadenza fatta di plastica direi ci attende ora.

    • Grazie della lampante precisazione, Heinrich. Ammetto, e mi scuso, di avere scritto basandomi solo sulla mia labile memoria e senza verifiche successive.

  4. in altri due momenti lo stato é morto , come é successo anni fa , e tali momenti sono l’ ultimo periodo dell’ impero romano occidentale e il tentativo di occupazione militare della penisola italica e delle zone padano alpine ; i longobardi , del cui nome conosco il significato , che posso rilevare soltanto ai parenti giovani e senza che nessun altro senta , furono chiamati dalla popolazione che si tassò appositamente per la spedizione , e furono aiutati nel combattimento da tutti , perfino dai frati ; decenni dopo furono liberate anche la zona di Bologna e di cinque città fortificate dei krotsch , le Romagne ; in Bologna Röt:árich e i liberatori passarono tra due ali di folla festante , la gente non ne poteva più , esattamente come si deduce dalle lettere tra sorella e fratelli del Leopardi dopo che le Romagne furono strappate dalla ribellione al papato e con plesciscito scelsero l’ annessione al Regno di Alta Italia (( il re e i regni , dalle parti di Alessandria Pavia Genova etc etc non li abbiamo mai potuti vedere , un amico di mio padre ha fucilato il duce , un altro amico di famiglia ha sovrinteso alle operazioni del Referendum Istituzionale che ha costituito la Repubblica Italiana , era Giuseppe Romita; uno stato del passato é la Repubblica Democratica Ligure , non abbiamo mai avuto re dalla preistoria o oggi , giurammo e mantenemmo di buttare fuori i Savoia , che davano ordine scritto ai loro funzionari di polizia di aggredire uccidere derubare la gente perbene, usando delinquenti se necessario da importare dall’ esterno )) , dove scrivono che se Giacomo Leopardi fosse rimasto vivo sino ad allora , avrebbe potuto finalmente tirare il fiato e vivere tranquillo ; i longobardi già nell’ ingaggio della spedizione avevano concordato con i residenti e scritto che i loro figli , e chiunque fosse stato capace anche se povero , avrebbero potuto studiare , e lavorare negli uffici tecnici e dell’ amministrazione di stato (che andava creato da zero e doveva costituire una situazione funzionante , ed era questo fatto trattato nella seconda e ultima frase della proposta di Alboino , la prima frase della proposta era :” føra’ i krótsch ” ) e enti pubblici territoriali e/o locali ; i longobardi hanno cioè dovuto occuparsi di fare funzionare gli uffici pubblici come quelli del registro , per cancellare le false donazioni e trascrizioni a favore dei krotsch , e ripristinare la titolarità dei proprietari precedenti , compresi gli enti pubblici , e come gli uffici tecnici delle intendenze simili a quello che fino a poco tempo fa si é chiamato Genio Civile , per costruire , e fare manutenzione di : strade , ponti , muri di sostegno , cunette , canali , sponde , fossi , scavi , edifici pubblici ( la famiglia Theodoréck é ancora oggi specializzata in costruzioni giganti , progettazione e direzione lavori, una parte di quella famiglia era arrivata in nord-italia per quello , prima dei longobardi, una parte di arrivo recente é in nord-italia oggi , a Milano e in Emilia , altri sono in Boemia Moravia e si spostano dove serve ) etc ; i barbari dalla preistoria andavano a lavorare per 25 anni , con contratto con l’ ente pubblico statale rinegoziato ogni cinque anni almeno , ai bordi ovest della Cina , da prima che fosse unificata , poi tornavano verso l’ Europa ; il punto di partenza e concentramento delle genti erano le colline dell’ attuale Stalingrad oblást vicine ai guadi del Volga ; in una occasione partirono nel 711 d.C. genti provenienti da : Albania , Scandinavia , nord-Italia e Germania(i sassoni , 20’000 erano entrati con i longobardi) , Spagna (i Visigoti , abbandonarono la zona che non rendeva più) e si portarono a lavorare come tecnici specializzati nel nord-ovest della Cina ; in nord-Italia fu nuovamemente proibita , come prima dell’ invasione romana dopo Annibale , la donazione , che é rimasta non in uso negli usi e costumi , fino ad oggi , l’ ordinamento attuale italiano la prevederebbe , ma la gente ammette il solo caso del passaggio tra parenti sotto forma di vendita simulata per un prezzo simbolico :: questo significa che il potere temporale della chiesa , o di qualsivoglia altro , non può esistere ; non può darsi il caso infatti di nessuna donazione di Sutri , un re longobardo non poteva contrastare il volere della popolazione unica titolare del diritto , che si esprimeva in un ‘ Assemblea Legislativa Onnirappresentativa , e la popolazione non poteva ammettere usurpazione di gestione dei propri beni ; perfino i warégung erano garantiti nei propri diritti , compreso l’ ottenere intervento e dispositivo del giudice, e al giudice potevano rivolgersi anche coloro che la legge dei romani classificava schiavi; l’ inesistenza delle donazioni tutelava anche da un’altra stranezza , la persecuzione per motivi religiosi e/o di pensiero ; i barbari , infatti , essendo in maggioranza pagani padani e incivili , non avevano mai sentito parlare di stregoneria , anzi la donna che aveva guidato i winníli fuori da Öland a sbarcare in Pomerania e di qui poi a piedi verso uno sghuríddg , sarebbe oggi classificabile come strega dagli inquisitori ; in sud Italia e in zone del centro trovarono crimini così assurdi che si é trovato necessario aggiungere un capitolo alla Legge , che tradotto significa : ” chiunque avrà rapito , sotto accusa di stregoneria o altro immaginario e indimostrabile , un altro , sarà per questo solo fatto ucciso , e i beni del rapitore andranno al rapito , o se il rapito sarà stato già ucciso , ai parenti del rapito , detratto soltanto il minimo indispensabile per l’azione dei giudici ” ;

    in sostanza i bizantini , e prima di loro quelli che si dividevano i cascami del fine-Roma , anziché fare manutenzione e aumentare l’ istruzione , divoravano le risorse intestandosele , e uccidevano derubavano la gente di terreni e beni liquidi , proprio come gli inquisitori mettevano all’ asta e rubavano sotto costo i beni di coloro che uccidevano :: anziché qualcosa di funzionante , la mafia , parola che in arabo vuol dire : “niente” ;

    é stato giusto quindi sostituire gli arraffatòri e va indirizzato il complesso di energie , denaro e beni utili a fare i lavori , nella giusta direzione ; vanno rifatti lavoro pensione collocamenti mutua etc come erano prima che i ricchi uccidessero lo stato tràmite le abolizioni di tali garanzìe ;

    anche oggi l’ istruzione é scesa molto , non potrei attualmente frequentare un politecnico e laurearmi in Ingegneria ; neanche il 10 % dei giovani italiani può fare l’ università , soprattutto se cerca di avere capacità lavorative e il corso di laurea ha costi proibitivi ; addirittura oggi non riescono a iscriversi agli istituti tecnici o professionali i ragazzi che abitano nei paesi fuori dai centri abitati collegati ; la vita si ferma a 13 anni , anche se ci sarebbero due anni di scuola obbligatori in più ; il figlio di un mio cugino abita in una città molto collegata con tutto e i suoi genitori lavorano come i parenti (ma ogni lavoro, anche t.i. tempo indeterminato , nel privato termina) , ma non potrà studiare da questo settembre , ha finito la terza media ed é bravissimo , ma ci vuole altro , occorre che io e altri parenti riusciamo a guadagnare di più , o non potrà neppure lavorare ,

    perché :

    soltanto chi é ricco può : avere cure mediche serie , trovare lavoro vero , studiare utilmente ;

    disponibile a integrazioni , Grazie per il potersi esprimere e Saluti a Tutti Voi

  5. Ponte di Brooklyn del 1883, Golden Gate San Francisco dei primi anni 30….La foto del buon Morandi, la faccia compiaciuta di Saragat dicono…dicono….

  6. cari Gianni e Alberto (e anche il punto di vista di Gianfranco Tondini è interessante) mi piacerebbe assai discutere con voi direttamente di tutte le implicazioni del crollo del ponte, lo faccio per ora da lontano, chissà se in un futuro lo si potrà fare direttamente…
    Riprendo il titolo dell’articolo per fare alcune osservazioni:
    I. Il viadotto era d’autore, ma mi pare che per ora questo non gli venga riconosciuto, ovvero non ho sentito dire da nessuna parte della necessità di conservare l’opera (in qualunque altro caso sarebbe scattato, secondo me il “dov’era com’era”). L’opera dell’ingegner Morandi è totalmente schiacciata sul suo valore d’uso, quello storico, estetico, etc. non esistono (ma sono esistiti eccome! si vedano tutti i manuali di architettura!). Anzi c’è già, nelle parole dell’ingegner Brencich, il tentativo di svalutare anche gli altri ponti dell’ingegner Morandi, la cui rarità diventa indizio di carenza strutturale, mentre in realtà gli altri ponti di questo tipo sono ancora in piedi, e Morandi ha fatto molte altre opere (o ha calcolato male anche quelle?).
    II. E’ vero, è stato commesso peccato di superbia, ma quale e da chi? La superbia è una qualità dell’uomo come genere nel suo complesso, ma gli antichi riconoscevano anche l’esistenza di uomini pii, che non peccavano o che sapevano placare gli dei. Se come scrive Gianni in nota Morandi riconosceva che la sua opera non poteva durare in eterno, in nome di quale peccato e di chi quelle persone sono morte?
    ciao a tutti

    • Andrea, ottimi appunti i tuoi. Se, ovviamente, hai voglia di approfondirli li pubblicherò volentieri.

    • Caro Andrea,
      quanto tempo è passato da quando discutevamo insieme, in maniera critica, del “com’era dov’era” e della Fenice. Il mio piccolo testo era una semplice riflessione a fronte della “ricerca del colpevole” che dilagava (e continua a farlo) dappertutto in quei giorni. Parlare anche solo di conservazione del ponte Morandi, in questo clima, vorrebbe dire che ti “vengono a prendere a casa”. Hai notato che il progetto di Renzo Piano, per quanto ancora embrionale, sembra proprio andare in direzione opposta all’hybris del Moderno?: un ponte con molti piloni e senza stralli. Quasi una rinuncia all'”arroganza” della Tecnica. Ma sono riflessioni a caldo. Rileggevo in questi giorni i diari di Ernst Jünger sul primo anno di guerra (1939-1940). Questi diari, nell’edizione Guanda, si chiudono nella località di Wadgassem, in data 24 luglio 1940, con questo auspicio: «A Wadgassen abbiamo trovato i primi abitanti tornati a sistemarsi nelle loro case e nei loro giardini. Che tutti possano ritornare così nella propria terra». Dopo ogni catastrofe, questa dovrebbe essere la speranza. Ma temo, purtroppo, sia solo un auspicio. Altre ne verranno. È sempre stato così. Grazie davvero del tuo commento.

      • caro Alberto,
        ho notato sì la piattezza critica e la piaggeria del progetto di Renzo Piano: la ridondanza strutturale, le “vele” per ricordare le vittime. Apprezzo il fatto che Piano si sia sentito coinvolto in quanto genovese, e abbia offerto la sua opera alla cura della città ferita, ma il progetto mi sembra un poco troppo pragmatico e schiavo di una fattibilità psicologica e non tecnica, in una parola completamente acritico nei confronti del luogo e dell’occasione progettuale, come deve essere un progetto di architettura per essere tale. Non credo che sia la tecnica ad essere arrogante come giustamente annoti mettendolo tra virgolette: siamo noi ad esserlo, la tecnica è il nostro modo di essere nel mondo, fa parte di noi e deve essere usata consapevolmente. Renzo Piano inganna sulla fragilità della tecnica proponendo un ponte che l’abitudine fa percepire come più durevole o addirittura durevole all’infinito, e in questo lui pecca di arroganza! Dimenticando in modo grave secondo me che le prossime vittime del ponte potrebbero essere gli sfollati dalle loro case sotto il viadotto, a cui forse non potranno più tornare, visto il progetto di cancellazione del ‘mostro’…

          • Caro Andrea,

            speriamo che il nuovo ponte di Renzo Piano abbia miglior sorte del modellino…
            Mi permetto, scusa, di fare della spicciola ironia, dopo il farsesco “incidente” occorso alla maquette durante la presentazione. Ma Piano ha detto che deve durare 1000 anni…. Mi sembra che le nostre riflessioni sull’hybris non fossero così peregrine…

  7. sono morti nel nome dell ‘ avidità
    che tutto agli altri setaccia e trattiene ,
    compresa la vita ;

    quando la situazione lavori e spese
    é monopolio dei bizantini , delle mafie ,
    vengono pappati proprio i soldi
    della manutenzione delle opere ,
    che non viene più fatta ,
    e lo stato e gli enti pubblici spariscono,
    come bilancio e come opere ;
    se appalti qualcosa alla mafia
    o non completa l’opera
    o é da rifare in meno di un anno ,
    talmente il lavoro é scadente ;

    i longobardi hanno fatto
    le stesse cose di Lenin Stalin e dei loro collaboratori ,
    e ora bisogna continuare ad agire nello stesso senso

    au revoir

  8. Forse non c’entra…..ma non si é fatto troppo in fretta a dimenticare (cause & concause & colpe & ignavia….della guerra, delle leggi razziali, delle deportazioni). La fretta al solito era verso le solite magnifiche sorti e progressive…..Guardate le facce della foto…..Tanto per essere scontato o retorico ma i sei milioni mandati a……Ma non vi pare che l’ex Europa abbia perso per sempre il suo ruolo e sia dedita solo….a perfezionare l’ORGANIZZAZIONE? I Putin, i Macron, i Salvini….Non lo so ma mi faccio delle domande….

    • Sei milioni mandati in fumo ? Tutti gli altri milioni no ? :) Quelli facevano fuori tutti , non una razza soltanto ; tra quei nazisti non si può certo annoverare Romita , che é appunto un amico di famiglia per noi , come tutti i suoi, ed era figlio di un comandante partigiano e che é l’ unico in foto a non essere svagato e a guardare il ponte con sguardo da ingegnere , quanto sforzo c’è su che cosa ; ci vuole pratica , fin da quando studiavo da geometra ricordo che dovevo progettare ponti , anche quelli giganti non soltanto quelli di terza classe , e mettevo più di 5’000 kg su neanche 40 cm di ogni tratto lineare ; ho sempre parlato di quello che ho fatto e ho fatto esperienza personale delle cose che mi interessavano , e per questo sono stato insultato da molti , che irridevano , nella nostra epoca , il metodo sperimentale , e che hanno proibito il lavoro a chi lo sa fare in pratica , e che non saprebbero fare un ponte , e neppure cose ben meno impegnative , ma non vogliono che esistano più lavoratori in grado di lavorare e non vogliono che il lavoro sia appreso ; in Torino, città operaia secondo alcuni, il numero degli allievi professionali é neanche venti , un mio collega insegna loro , ma non imparano pressoché niente; il nazionalsocialismo a cui si accenna era paradossalmente nemico di questi attuali annientatori dei lavoratori e del lavoro, arbeiter und arbeit che oggi in Germania sono rimasti , i dipendenti pubblici tedeschi erano l’80% dei lavoratori e oggi sono quasi il 100% , nel settore privato hanno perso il posto e un 1% circa dei lavoratori di dieci anni fa fa finta oggi di lavorare nel settore privato , in perdita ; oggi invece da tutti quelli/e che conoscevo in Italia , facenti parte di quella che alcuni chiamano working class,, non é nato nessun bambino : spariranno e sono in gran parte già spariti , esattamente come quelli usati da carbone nei forni ; quindi non si può trovare chi possa rattoppare strade ponti altre opere pubbliche e ormai anche gli edifici privati fanno pena , romeni moldavi ukraíni sono tenuti a chiedere le elemosina senza un tetto sulla testa , e lavorano un giorno ogni sette , altri un giorno su 12 , chiunque può vedere questo , e più del 90% della gente non può curarsi neanche un dente rotto _ P.S. Chi volesse sapere qualcosa sull’ ultima guerra e i periodi precedenti non ha che da chiederci , abbiamo già sotterrato fior di storici che non hanno visto i fatti ma volevano insegnarci le loro invenzioni

  9. ing concordo….(solo che la fine di quei 6 milioni….le modalitá…i bambini….). Si sarebbe dovuto ma non si fece. Cioé prima ancora di pensare alla ricostruzione delle macerie…..dei PONTI distrutti….ma c’era voglia di DIMENTICARE…Oramai´é fatta. E ne stiamo pagando le conseguenze….
    Ps É vero Romita era l’unico serie e perplesso….certe foto parlano….

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La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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