In missione ( senza diaria)
di Giorgio Mascitelli
Le sigarette mi cascano. Le raccolgo. Le sigarette mi ricascano. Le riraccolgo. Mi cascano per la terza volta. A questo punto cambio tasca. Mi cascano di nuovo perché ho tutte le tasche del cappotto bucate e di buchi grossi, grandi abbastanza perché vi passi un pacchetto di sigarette, pacchetto rigido. Ecco dov’è finito l’accendino, ecco dov’è finito il calepino, ecco dov’è finito il telefonino. Ora io rammendo o smetto di fumare. Non è un problema grave, non è la fame nel mondo, però è un problema che mi si presenta perché ho voglia di fumare e non posso rammendare, peraltro io non so rammendare. Ci vorrebbe una rammendatrice. Non necessariamente una sarta, ma una femmina di una volta che sa rammendare. Tra l’altro il problema delle tasche bucate non sarebbe un problema grave in sé, basta fare attenzione, ma il problema è cosa vede la gente, quali segnali mandi e i segnali delle tasche bucate non sono buoni. Le cose in realtà sono semplici, è che poi ci sono tutti questi casini prossemici. In realtà poi il problema sarebbe trascurabile, se fossi in un ambiente domestico e noto, ma non sono in un ambiente domestico e noto, sono a Taroccate per la prima volta in vita mia, dunque il problema non è trascurabile. In realtà poi il problema sarebbe trascurabile, se fossi qui per gli affari miei, per diporto, ma io ho una missione, cioè piuttosto un lavoro ovvero un impegno. Questo rende le cose obbiettivamente difficili. Contattare il geometra del comune; questa non è la missione, ma un preliminare della missione, anche se adesso il comune è chiuso per pausa pranzo, dunque contattare il geometra del comune dopo. Magari dovrei mangiare anch’io adesso. In effetti non c’è nessuno nella piazzetta assolata dove ho posteggiato la macchina. Sembra quel sole d’inverno che non scalda, però illumina. Ci deve essere un ristorantino pure qui, c’è sempre un ristorantino ovunque. Prima però mi fumo una sigaretta, ma siccome ho perso l’accendino, devo chiedere da accendere a qualcuno, solo che non c’è nessuno. Faccio due passi in qua, faccio due passi in là, ma continua a non esserci nessuno. Meglio andare a mangiare.
Mentre sto assaporando le pietanze al ristorante, si avvicina a me uno un po’ disfatto con gli occhi spiritati e si siede al mio tavolo.
- Così sei tornato.
- Prego?
- Così sei tornato dopo vent’anni e non ti conosco quasi più.
Cerco di spiegargli che è la prima volta che vengo a Taroccate, quello per tutta risposta mi dice di chiamarlo pure Argo. Io allora gli spiego che deve trattarsi di un caso di somiglianza fisica, lui afferma che non può trattarsi di un caso di somiglianza fisica perché allora ero alto e biondiccio e adesso sono bassettino e moro. Forse potrebbero essere alcuni particolari, come il modo di stare seduto a tavola o le tasche del cappotto bucate, ma lui replica che dopo vent’anni non può certo rammentarsi di dettagli irrilevanti come quelli da me citati, in ogni caso mi assicura che non tradirà il mio segreto. Ed è confortante di sapere che c’è una persona di cui ci si può fidare ciecamente.
- Se i tuoi nemici sapessero che sei tornato, tremerebbero.
- Ma io non ho nemici.
- Questa volta però non devi fallire, me lo devi promettere
- Ma io non sono mai stato qui.
- Arrivederci e grazie.
Grazie di cosa? Ma se ne è già andato. Penso che oggi, contrariamente alle mie abitudini, berrò caffè e ammazzacaffè. In effetti poi non ho abitudini precise, talvolta li bevo, talvolta no. Il caffè è buono, l’ammazzacaffè è buono, le pietanze erano buone, speriamo che sia buono anche il conto, comunque non mi devo dimenticare di farmi rilasciare la ricevuta perché sono in missione. Quando la chiedo al ragazzo, quello tergiversa un poco, ma poi acconsente, io per giustificarmi spiego che ne ho bisogno perché sono in missione, lui mi risponde che è arrivato fino ai quarantacinque anni facendosi i cazzi suoi e non intende derogare ora a quella norma di vita. La perentorietà della sua replica mi sembra che contenga un implicito invito ad attenermi alla medesima legge. In ogni caso chiedendogli da accendere, mi regala un pacchetto di cerini e anche il problema del fuoco è risolto. Ho davanti a me il pomeriggio con il geometra del comune.
Il problema , c’è sempre un problema, è che oggi il geometra del comune è fuori stanza e lo sarà per tutto il giorno. Quando lo apprendo, decido di guadagnare di nuovo l’uscita e di fumarmi una sigaretta nella piazzetta per ponderare con attenzione il mio che fare. Il mio secondo problema, c’è sempre un secondo problema, è che ho rimesso nelle tasche bucate del cappotto anche i cerini che avrei dovuto serbare con cura. Ma il dio dei distratti oggi mi aiuta perché li ritrovo per terra. Posso fumare e infine fumo, allorché mi avvedo che ho anche smarrito la ricevuta del ristorante inghiottita evidentemente dal pertugio della tasca. Così addio rimborso.
Osservo gli alberi, senza foglie in questa stagione, che sono degli stecchi e mi lasciano l’impressione di spaventapasseri dopo lo strip-tease. Un altro problema, c’è sempre un altro problema che ci si è dimenticati di considerare, è che la mia missione è urgente, urgentissima, ad alta priorità. Questo paesaggio invernale è un’oggettiva irrisione delle mie priorità. Pare che il geometra non sia raggiungibile quando è fuori stanza: nell’era in cui i satelliti sono in grado di scorgere la pagliuzza nell’occhio di qualsiasi imbecille, qui non sono capaci di rintracciare un geometra fuori stanza! Passa un drone in cielo, la cui ombra per un istante si assomma a quella degli stecchi.
Per fortuna le chiavi dell’automobile le ho messe nella tasca dei pantaloni. Almeno me ne posso tornare a casa con tanti saluti alla mia missione così urgente così importante. A mia giustificazione potrò sempre dire che le circostanze non mi hanno aiutato, che è la frase universale dei perdenti di ogni tipo e genere.
Ho finito di fumare. Butto la cicca per terra. Tiro fuori le fodere delle tasche del cappotto per vedere a occhio nudo il buco. Poi le rimetto dentro e constato che qui non c’è niente da fare. Mi avvio verso l’automobile.
La situazione sembra bisognosa di una pezza perché se no rischia di diventare cronicamente irrecuperabile. Mi prende un sordo furore al pensiero che non riceverò la diaria perché ho perso la ricevuta e anche al pensiero del sarcasmo, se non dell’aperta irrisone, di Falerini al mio rientro senza aver combinato nulla. Lui così precisino che sviscererà ogni aspetto e il relativo significato recondito di questa sfortunata spedizione crederà di aver raggiunto un’interpretazione definitiva e scambierà il mio silenzio indignato per una capitolazione alla sua superiorità ermeneutica. Ma la verità è che tutti sono capaci di imbastire un’allegoria, il vero problema è campare la vita!
E io che credevo di essere l’ unico scimunito.