Il 10 dicembre del 2057
di Antonio Sparzani
Il 10 dicembre del 2057 una strana nave a vela, carena di acciaio lucente e velature bianche del XVIII secolo, solcava l’oceano Atlantico verso le coste francesi, destinazione Bretagna. A bordo un equipaggio di uomini con divise ricucite e messe alla bell’e meglio, una decina di militari armati e pochi altri in abiti comuni, ma che di comune avevano poco.
In una delle cabine, un uomo anziano, visibilmente sofferente, lavorava ad una scrivania: scriveva qualcosa. Era assorto e turbato. Bussarono alla porta.
“Avanti.”
Entrò un militare, sulla cinquantina, magro, testa rasata e occhi di un azzurro trasparente che gli conferivano un aspetto glaciale e inquietante.
“Presidente Orugan.” salutò, richiudendo la porta dietro di sé. Fermo sull’attenti davanti al tavolo traboccante di carte. In attesa.
“Generale Gael. Buongiorno. Novità?”
“Tra due ore saremo in terra bretone”
“Bene. Gli altri passeggeri sono stati avvisati?”
“Li sta avvisando il generale Kopetsky”
“Bene. Bene.”
Gael rimaneva fermo.
Il presidente sollevò il capo e lo guardò negli occhi. Era un uomo anziano. L’età, le preoccupazioni, gli stenti, il dolore, avevano accelerato un processo di invecchiamento inevitabile. Fragile come un bicchiere di cristallo, ma con una forza interiore che non l’aveva abbandonato mai, nemmeno nei momenti più bui. E questo era uno di quelli.
Aveva vissuto gli ultimi 25 anni della sua presidenza affrontando non una guerra mondiale, un attacco terroristico o un conflitto nucleare. Il destino gli aveva riservato qualcosa di speciale e unico: la distruzione del pianeta Terra e il rischio della scomparsa del genere umano. La fine del mondo e non per mano di Dio. A volte nel segreto delle notti insonni aveva pensato che un’invasione aliena sarebbe stata più sopportabile. Passava in rassegna tutto l’armamentario che la fantascienza era riuscita a produrre in più di cento anni ed era rammaricato di non potersela prendere con armi plutoniche, creature tentacolari, potenti menti superiori, raggi della morte. Come un adolescente si rammaricava di ciò che era solo immaginazione.
“Non sarà facile metterli d’accordo tutti. Vero Gael?”
“Signore, mettere d’accordo più di una persona è un problema fin dalla notte dei tempi.”
“Sei insopportabile. Te ne esci con i tuoi motti cinici come se fossero le cose più naturali del mondo. Ti ho sempre invidiato questo fastidioso talento.”
“Ne sono onorato. Signore. Anche se il cinismo non sarebbe mai stato premiato dal suo elettorato” disse quasi ridendo.
“Si ma adesso il mio elettorato è diventato un pugno di esseri impauriti e stremati dalla fame. E il cinismo sarebbe per loro una dimensione più che reale. Se penso a quanti morti abbiamo seppellito negli umi trent’anni. Seppellito…. e incenerito per evitare epidemie. Senza contare quelli che sono stati uccisi violentemente, anche per mano nostra, e quelli che abbiamo deportato. Dio mio. Perdonaci.” si fermò e guardò Gael. Smarrito.
“Presidente, la popolazione mondiale si è ridotta ad un decimo di quella che avevamo all’inizio del secolo; e tra l’altro vista la situazione, mi verrebbe da aggiungere per fortuna. Ora le probabilità di sopravvivenza dei superstiti stanno diminuendo di giorno in giorno. Ci troviamo qui per questo. Per trovare una soluzione.”
“Già. Tra predatori, disastri naturali e condizioni di vita precarie, ci rimangono poche probabilità. L’unica speranza è che con questo incontro si possa riuscire a salvare il salvabile. Ma i margini di incertezza sono alti. Il mio timore è che la crisi energetica, le catastrofi e le epidemie, non siano state abbastanza per alcuni di quei banditi che ancora pensano che ci sia un mondo da sfruttare, invece che un pianeta da salvare. Gli uomini non cambieranno mai, caro Gael.”
“Si ricordi che siamo qui perché siamo convinti che un modo per cambiare gli uomini ci sia. O almeno che esista un modo per invertire la rotta. Non crede?”
“Gael è quello che spero, ma dirti che è quello che credo sarebbe mentire. Siamo onesti, né tu né io siamo convinti che l’uomo possa sollevarsi, liberarsi dal giogo della supremazia, della violenza, del sopruso. Dai suoi vizi e dai suoi demoni. In tanti ci hanno tentato. Pensa a Gesù Cristo. Cosa predicava se non i valori della solidarietà, dell’amore per il prossimo? E invece pensa a cosa è stata la Chiesa, la «sua» Chiesa: inquisizione, guerre, ricchezze, abusi, repressione, potere. Non ci vogliono studi teologici per capire che qualcosa non ha funzionato. Non direi che sia stato un gran risultato.”
“No. Non un gran risultato.”
“E del Papa, l’ultimo Papa intendo, che cosa vogliamo dire? Sparito nel nulla quando tutto ha cominciato ad andare a rotoli. Morto, nascosto, fuggito su Marte, rapito dagli alieni. Tu lo sai? Invece di condurre il proprio gregge verso la salvezza, ha pensato bene di salvare il pastore di anime e di lasciare il gregge ai lupi. Un altro Papa, che lo aveva preceduto, aveva parlato del «silenzio di Dio»; e Dio, per l’appunto, è stato lasciato senza parole.”
“Orugan, – Gael lo chiamava così, in nome della loro vecchia amicizia, solo quando doveva inchiodarlo alla realtà delle azioni – siamo qui e dobbiamo portare a termine una missione. Ormai quello che è successo è un fatto ed è davanti agli occhi di tutti, per quanto siano pochi. Ma non perdiamoci a recriminare. Non possiamo permettercelo.”
“Sì Gael. Sì. Sì. Sì. La smetto.”
Il presidente Orugan era vecchio e stanco. Senza la sua famiglia. Si sentiva solo e arrabbiato. L’unico amico che gli rimaneva e di cui si fidasse era il Generale Gael, che lo aveva salvato da una morte certa: riuscì a rintracciarlo tra le vittime di uno dei più violenti uragani che avevano spazzato via gran parte del continente americano. Gael lo cercò, lo trovò e lo portò in salvo contro la sua stessa volontà: aveva rinunciato a vivere quando vide alla televisione l’occhio di un tifone inghiottire sua moglie e sua figlia. Non pianse nemmeno, rimase a fissare lo schermo vuoto e spento per giorni interi. Al buio. Le trasmissioni erano finite.
Lo sconvolgimento che trasformò il pianeta in un inferno alla luce del sole, era già iniziato. Accadde quando le energie non rinnovabili erano quasi esaurite. Le energie rinnovabili, sbandierate come soluzione alternativa e realisticamente possibile, non erano ancora prodotte in quantità sufficiente per il fabbisogno dei grandi apparati industriali, che inondavano il pianeta di merci e rifiuti. Il carburante, l’oro nero, era diventato un bene preziosissimo e a termine: anche le ultime scorte si stavano esaurendo. Inutili i tentativi di razionamento. E questo nuovo scenario interruppe trasporti e scambi, con conseguenze evidenti per l’economia e la vita quotidiana.
Intanto, mentre i potenti della terra si accapigliavano per sostituire nuove lobby a quelle legate all’economia del petrolio, il cambiamento climatico da letteratura scientifica diventò un fatto di cronaca.
Si manifestarono i primi di una lunga serie di disastri ambientali. La natura si ribellava, potentemente e senza sconti. Si dispiegava: forza maestosa e inarrestabile. L’uomo impreparato, perché impegnato ad accumulare e a sfruttare alla stregua di una divinità pagana onnipotente, si rese conto improvvisamente di essere piccolo e impotente.
Troppo tardi ci si accorse che molti dei piani di emergenza erano inutili. Qualcuno provò anche un fastidioso rimorso pensando ai soldi che aveva intascato per produrre qualcosa che avrebbe dovuto salvare la vita, mentre si trattava solo carta straccia e inutile. Uno come tanti altri effetti di quella corruzione, brigantaggio istituzionalizzato, che si era diffusa alla stregua di una malattia endemica, e faceva le sue vittime.
Fu però un virus ad innescare l’effetto domino, e a dare il colpo di grazia. Un piccolo, banale e insidioso virus influenzale che tutti sottovalutarono, così cominciò a diffondersi senza che fosse arginato e controllato in tempo. Le condizioni di vita peggiorate, la mancanza di medicine e di cure, la carenza di energia, fecero il resto. Il caos ebbe la meglio.
Morti in casa e per strada. Bande di predatori, per i quali la vita di un uomo significava cibo e benzina per sé, attaccavano in branco con violenza crudele. In alcune ore del giorno si levavano colonne di fumo e l’odore di bruciato dei cadaveri infetti si diffondeva nell’aria. Ma ormai nessuno ci faceva più caso.
La rabbia, quella cieca e vendicatrice, si abbatté su politici, giornalisti, miliardari, personaggi televisivi, banchieri, potenti. Ognuno aveva scelto il proprio bersaglio, lo inseguiva, lo braccava, come in una battuta collettiva di caccia all’umano, fino a quando l’inseguito di turno non veniva raggiunto, torturato, umiliato e inerme costretto a implorare pietà. Ma la pietà non era moneta che potesse ripagare la distruzione, la miseria e la morte subita. Le masse avevano scoperto l’inganno e rotto l’incantesimo con la delicatezza di un’esplosione nucleare.
Tra i rappresentanti dei governi, ormai allo sbando, alcuni si salvarono, altri furono uccisi e molti furono arrestati e deportati grazie all’intervento di quello che rimaneva di esercito e polizia, e che operava agli ordini di quei pochi capi illuminati, cercando così di governare la ribellione. Ma era come spegnere un incendio con una bottiglia di coca-cola.
A onor del vero ci furono anche episodi eroici o semplicemente saggi. Come quello dei responsabili di tutti gli impianti nucleari che, con decisione unanime e senza un ordine preciso, disattivarono le centrali evitando una contaminazione apocalittica e senza scampo. Fu la paura, la coscienza, il senso di colpa, al quale non avrebbero saputo sopravvivere? Non è importante, ma lo fecero. Nessuno escluso.
Dalla prima crisi, quella energetica, che colpì con una perizia democratica esemplare, erano passati più o meno vent’anni. Il modo di vivere definito, con incosciente trionfalismo, «avanzato» era scomparso: non c’erano più televisione, internet, non c’erano i giornali, i viaggi, la spesa del sabato al centro commerciale, lo shopping, gli psicologi, la droga, il cinema, le mostre, la riunione di lavoro o le tasse da pagare. Era tutto un ricordo. Qualcosa da raccontare la sera, davanti ad un fuoco di fortuna o ad un piatto di cibo di dubbia provenienza. Finito. Chiuso.
Qualche gruppo reagì in fretta e scappò in campagna, sui monti, in luoghi isolati e non battuti dalle rotte della follia. Occuparono terre e abitazioni abbandonate, cercarono una via «umana» per sfuggire alla morte per malattia o per mano di altri uomini.
Di queste prime comunità contadine, alcune non videro nemmeno il primo raccolto.
Nonostante ciò la vita, testarda e istintiva, com’è la vita del resto, continuò.
Mentre le città si trasformavano in immensi campi di sfollati, dove mantenere l’ordine pubblico era un’impresa titanica e pericolosa, le comunità contadine erano diventate l’unico rifugio dove maggiori probabilità di sopravvivenza instillavano qualche germe di speranza.
Con fatica i superstiti fecero i conti con la supremazia della natura, cercando modi e strumenti per convivere con un pianeta in ebollizione, con pochissima energia, senza comunicazioni e con predatori umani senza freni né morale.
Perdere i contatti con il resto del mondo fu come perdere forza.
Per questo forse ad un certo momento, venne l’idea di cercare altri sopravvissuti e capire come ricostruire insieme una società nuova con quel poco che ne era rimasto.
Si ipotizzò che la radio potesse essere il mezzo più semplice da costruire e da far funzionare. E quell’idea per fortuna non fu un caso isolato.
Ci volle un anno per rimettere insieme un apparato radio e alimentarlo con la poca energia eolica che si riusciva a produrre o con la corrente recuperata nei rari tratti delle reti di distribuzione rimasti intatti.
Ci volle un altro anno di paziente ricerca nell’etere per trovare le altre comunità.
Il tempo era scandito da quelle lunghe attese.
Giorni interminabili in cui a turno davanti al microfono si ripeteva “Qui comunità di Kerk, latitudine 50.653872, longitudine -4.432983. C’è qualcuno in ascolto?”
Con il tempo e un po’ di fortuna si trovarono altri radioamatori. Ad ogni nuova scoperta, si esultava con discrezione e si metteva una bandierina colorata sulla mappa del mondo. Capitò anche di vedere qualcuno piangere, prima per la commozione poi per la malinconia, nell’udire “Qui comunità di Valle di Sotto latitudine 46.225452 longitudine 11.337890. Vi sentiamo”.
Si facevano scommesse, si sognava di ritrovare l’amore perduto, l’amico o il collega di lavoro, ma anche il vicino di casa odiato da sempre. La radio era ormai la materializzazione di una speranza, il simulacro della vita perduta.
Un anno passò a tessere fili di una rete debolissima e instabile, ma pervicace e determinata.
Un anno per arrivare ad un incontro impensabile e dagli esiti incerti.
Un anno e finalmente quel giorno era arrivato: il presidente Orugan, insieme agli altri rappresentanti delle Americhe, stava arrivando sulle coste bretoni per incontrare i capi di altre comunità europee e qualche persona comune. Ognuno di loro aveva un’idea, una flebile ipotesi da percorrere per uscire da quel buio.
“Generale Gael”
“Si Presidente”
“Mi dia la sua pistola.”
“Posso chiederle perché?”
“No.”
“Posso rifiutarmi?”
“No.”
Gael porse la pistola al presidente.
“In fondo stiamo andando ad un incontro con persone che non conosciamo. Non voglio essere preso alla sprovvista. Viviamo tempi strani Gael. Non dimentichiamolo.”
“Tempi memorabili. Signor Presidente.”
Con tutta la sua saggezza era un … Pistola.