Progetti di società ed energie alternative nell’Ottocento
di Antonio Sparzani
Non son bravo a scrivere recensioni di libri e anche questa non sarà certo una recensione come si deve. Però quando in un libro si trova qualcosa di molto inaspettato, direi in questo caso straordinario, vale la pena di farlo sapere ad altri. Il libro di cui parlo è Quatre-vingt treize, in italiano Novantatrè, di Victor Hugo (Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885) che lo scrisse nell’ultima parte della sua vita, nel 1872 (pubblicato nel 1873). L’argomento è ovviamente l’anno terribile della rivoluzione francese, il 1793, l’anno del terrore, cui Hugo dedica un’analisi per nulla scontata, nella quale mette in luce con notevole lucidità le ragioni della Repubblica e le ragioni dei ribelli realisti della Vandea e di qualche altra regione circostante. L’intero romanzo è una lettura affascinante e spesso sorprendente, tanto da arrivare spesso al suspense. Ma, come dicevo, quello di cui intendo parlare è un solo passo del romanzo, nel quale, siamo alle ultime pagine, vi è un serrato dialogo fra i due protagonisti principali della storia. Uno è Cimourdain, alfiere e portavoce ufficiale della Repubblica, plenipotenziario del Direttorio, dunque della Rivoluzione e di tutte le sue precise caratteristiche e ordinanze, mentre l’altro è Gauvain, anch’egli fino a quel momento strenuo difensore della Repubblica, tanto da aver guidato per mesi l’esercito repubblicano contro la ribellione vandeana. E allora qual è il contesto del dialogo che vi voglio far leggere? E’ questo: Gauvain ha salvato dalla ghigliottina il capo dei vandeani, il marchese di Lantenac, perché costui è stato protagonista di un gesto di straordinaria umanità: ha salvato da un incendio in cui sarebbero certamente morti tre bimbi affidati alle truppe della Repubblica, consegnando così se stesso nelle mani del nemico.
Gauvain, dopo riflessioni attentissime, cui Hugo dedica un intero capitolo, decide di liberarlo – permettendogli così di fuggire e di tornare a riorganizzare il suo esercito – e di mettersi lui in cella al suo posto, danneggiando così gravemente la causa repubblicana.
Cimourdain è legato a Gauvain da un rapporto molto forte che risale ai tempi in cui il primo era stato precettore del secondo, di lui più giovane, ed è quindi straziato dalla prospettiva di dover condannare il suo antico allievo alla ghigliottina, per alto tradimento, aver cioè liberato non solo un nemico, ma il vero capo dei nemici.
Per cui l’antico precettore va a trovare di notte l’antico pupillo nella sua cella e sollecita un dialogo nel quale Gauvain ha modo non solo di spiegare le ragioni del suo gesto, ma offre, per la penna di Hugo, una sua visione del mondo, o meglio un suo progetto di umanità futura. Qui ve ne voglio offrire un frammento, in una traduzione italiana che ho trovato in rete, senza sapere chi sia il/la traduttore/trice. Ecco qua, comincia Cimourdain:
– Vorrei l’uomo fatto da Euclide.
– E io, – disse Gauvain, – lo preferirei fatto da Omero.
Il severo sorriso di Cimourdain si fermò su Gauvain, come per tenere a freno quell’anima.
– Poesia. Diffida dei poeti.
– Sì, lo conosco questo detto. Diffida degli zefiri, diffida dei raggi, diffida dei profumi, diffida dei fiori, diffida delle costellazioni.
– Nulla di tutto questo dà da mangiare.
– Che ne sapete voi? Anche l’idea è un nutrimento. Pensare è mangiare.
– Niente astrazioni. La repubblica è due e due fanno quattro. Dato che io abbia a ciascuno quanto gli spetta…
– Vi rimane da dare a ciascuno ciò che non gli spetta.
– Che intendi con questo?
– Intendo l’immensa concessione reciproca che ciascuno deve a tutti e che tutti debbono a ciascuno, e che è tutta la vita sociale.
– Non c’è nulla, all’infuori dello stretto diritto.
– C’è tutto, invece.
– Io non vedo che la giustizia.
– Guardo più in alto, io.
– E che c’è, dunque, al di sopra della giustizia?
– L’equità.
Tratto tratto, facevano delle pause, come se passassero dei lampi.
Cimourdain riprese:
– Ti sfido a precisare.
– Sia. Voi volete il servizio militare obbligatorio. Contro chi?
contro altri uomini. Io, invece, di servizio militare non ne voglio.
Voglio la pace, io. Voi volete che i poveri siano aiutati, io voglio che sia soppressa la miseria. Voi volete l’imposta proporzionale. Io di imposte non ne voglio affatto. Voglio la spesa comune ridotta alla sua più semplice espressione e pagata dal plus-valore sociale.
– Che intendi con questo?
– Questo. Sopprimete innanzitutto il parassitismo; il parassitismo del prete, il parassitismo del giudice, il parassitismo del soldato.
Cavate poi un profitto dalle vostre ricchezze; voi gettate il concime nelle fogne, gettatelo nel solco. I tre quarti del suolo nazionale sono incolti; bonificate la Francia, sopprimete i pascoli inutili; dividete le terre comunali. Che ogni uomo abbia un pezzo di terra, e che ogni pezzo di terra abbia un uomo. Centuplicate la produzione sociale. La Francia, in questo momento, non dà ai suoi contadini che quattro giorni di carne all’anno; coltivata a dovere, nutrirebbe trecento milioni d’uomini, tutta l’Europa. Utilizzate la natura, immensa ausiliaria disprezzata. Fate lavorare per voi ogni soffio di vento, ogni cascata d’acqua, ogni effluvio magnetico. Il globo ha una rete di vene sotterranee, dentro questa rete c’è una circolazione prodigiosa di acqua, di olio, di fuoco; bucate le vene del globo, e fatene zampillare quell’acqua per le vostre fontane, quell’olio per le vostre lampade, quel fuoco per i vostri focolari. Riflettete al movimento delle onde, al flusso e riflusso, all’andirivieni delle maree. Che cos’è l’oceano? una enorme forza perduta. Come è stupida la terra, a non valersi dell’oceano!
– Eccoti in pieno sogno.
– Che è quanto dire in piena realtà.
Gauvain riprese:
– E della donna, che cosa ne fate?
Cimourdain rispose:
– Quello che è. La serva dell’uomo.
– Sì, a una condizione.
– Quale?
– Che l’uomo sia il servitore della donna.
– Ci credi tu? – esclamò Cimourdain. – L’uomo servitore! Mai. L’uomo è padrone. Non ammetto che una regalità, quella del focolare. L’uomo, in casa sua, è re.
– Sì, a una condizione.
– Quale?
– Che la donna vi sarà regina.
– Sarebbe come dire che tu vuoi per l’uomo e per la donna…
– L’uguaglianza.
– L’uguaglianza! ci pensi? sono due esseri diversi.
– Ho detto l’uguaglianza, non l’identità.
Ci fu un’altra pausa; una specie di tregua tra quei due cervelli che si scambiavano lampi. La ruppe Cimourdain.
– E il figlio, a chi lo dai, tu?
– Dapprima al padre che lo genera, poi alla madre che lo mette al mondo, poi al maestro che lo educa, poi alla città che lo virilizza, poi alla patria, che è la madre suprema, poi all’umanità, che è la grande avola.
Non credo siano necessari tanti commenti; ricordo che si tratta non di una contrapposizione tra realisti e repubblicani, ma, all’interno del campo repubblicano, di una opposizione tra diversi modi di progettare la società futura; e osservo che, oltre ad una visione sociale certamente assai avanzata per quei tempi, c’è una chiara preveggenza della possibilità di energie alternative, senz’altro quella eolica, quella idroelettrica e quella che proviene dal movimento delle onde e delle maree dell’oceano. Non è poco.
Mi inchino.