Prove d’ascolto #23 – Michele Zaffarano

(SETTE) PICCOLE ESTINZIONI QUOTIDIANE

C’est l’ennui qui trépasse

 

1

Non viaggiamo frequentiamo molta gente poi non ne frequentiamo più. Le solite ore di solitudine. Così torniamo e ricominciamo a vivere da soli. Altri rispetto alle altre cose. E le virtù con parole tanto aspre. Hai detto questo. Almeno lui come se veramente potesse portarsela via. Insomma si sente agitata da vibrazioni sottili. È un dato di fatto. È semplice la vita con tutte le sue iniziali.

 

 

 

 

2

Va via e: non ci restano nemmeno due giorni. Te l’assicuro. Pura esperienza virtuale. Mediata dal linguaggio. Ho promesso che non sarei più andato in chiesa ma mentre uscivo di chiesa l’ho sentita e non ci potevo credere. Probabilmente loro sì è il loro bene che è il paradiso: oh ce l’abbiamo fatta. Il riferimento è costante al luogo e al momento della giornata alle condizioni atmosferiche e ambientali in cui avvengono i rapporti. È il primo senso che gli amanti usano per conoscersi la vista. Poi viene sicuramente il tatto. Lei l’ha detto: adesso mi giro la prendi giù e poi ci fai quello che ti pare. Quando si gira lo tiro fuori e ci faccio un po’ quello che mi pare. È così che ha detto. Guarda non ne vedo l’utilità stiamo tutti per uscire nel giro di dieci minuti. Lo faccio perché cerco di dire quello che penso veramente e credo che da quel momento mi hai impressionato in modo sostanziale. E continuavamo a dirglielo di non aprire la porta: chiedi solo chi è. Invece il piacere che provava era il piacere di essere osservata. Esibizionismo. Quando l’ho aperta sembrava una specie di palude. Pensa di assaporare la pienezza del piacere solo se sa da quando lui è già sulle scale. E un giorno per strada sotto la pioggia di novembre mi raccoglie. Vorrebbe soddisfarsi le sue fantasie ma non può farlo in realtà per motivi culturali e di educazione.

 

 

 

 

3

Nascosti in parte da una coperta si accarezzavano la mano destra che era bloccata all’altezza della vita dentro di lei. Per favore fottimi. Il ventre inghiotte valori negativi e simboleggia la caduta nel microcosmo del peccato. È priva di gusto è solo una scocciatrice che racconta oscenità tutte le volte che in casa sua uno alza i tacchi. Ci si potrebbe addirittura immaginare un lettore disposto o predisposto a considerare qualsiasi cosa legga come uno spettacolare eccesso narrativo. Pornografico. Pallide non sono pallide oh che paradosso nemmeno le sue ore di trasparenza nemmeno questo. Non vuole annoiarsi ma non vuole dirglielo. Dispotica e tenera insieme desiderosa che sia lui. A.

 

 

 

 

4

Prima di tutto piace perché ci sono tutti quegli oh e perché le abituali categorie si trasformano in follia pura. Il linguaggio poetico non è la lingua comune un gatto non è un gatto e questa non è una pippa. Fin da quando sono nato ho fatto errori ma tu lo sai sempre in un modo che era autentico.

 

 

 

 

5

Certo il talento per il disegno una passione saggissima. Ma qui lei sorride tranquillamente. La morte sta nella ripetizione. E quindi la vita è condizione della morte e viceversa. Adesso vai a casa. Che cosa pensi di fare vestendoti così. In fin dei conti ti stai facendo la tua bohème. Il corpo e l’intreccio dei corpi diventa allo stesso tempo il mondo e i personaggi che lo abitano. E poi c’è l’uccello. Si sa che l’uccello è il simbolo dell’eros sublimato. La fantasticheria dell’ala del volo l’esperienza dell’aria della materia celeste. Fermate questa confusione: mi sta uccidendo. Forse faccio la cosa giusta se non ne facciamo niente. Nella narrazione a queste immagini si alterna sempre una descrizione che sarà meglio trattata in seguito. Si traccia una specie di percorso iniziatico con lamentazioni che si intrecciano a sprazzi luminosi. E poi davanti a tutti ha detto: ooh si può avere una busta grande. Ma poi ha deciso: non è grande abbastanza. Hai mai visto qualcosa di più perfetto. Adesso però vogliamo fumare. A dodici anni si lamentava del congenito spleen e adesso rovescia dubbi con l’aria di chi ti prende in giro. Vedi te l’ho detto sono tutti strani hanno tutti nomi strani e anche il resto è tutto strano.

 

 

 

 

6

È così che si reagisce in prima linea e non so perché. La vocazione non spartisce il mondo in coppie di nozioni soltanto per la smania di muoversi. Scendesse nel corpo come può. Si conoscesse diversa. Io voglio morire così. Consacrato all’arte. Prenderei un po’ di peso. Mi pianterei con eroica fermezza mi lascerei crescere. Ma forse la poesia non contesta potentemente il principio di realtà.

 

 

 

 

7

Che impressione che faceva. Quando l’ho vista sembrava una cosa così preziosa aveva intorno tutta quell’atmosfera misteriosa. All’inizio ero ancora disposto ad accettare tutto anche se riconoscevo gli eccessi fantastici. Per esempio l’abito a righe bianche e nere. Per esempio quando si agita mentre respira. I capelli neri fino alle labbra. Basta poco. Ma non hai mai dormito più di due o tre ore per notte per tutta la vita. Adesso vuoi vedermelo fare di nuovo. Va bene. Rimango appeso a un filo: vuoi vedermi fare il mio numero speciale. Prendiamo l’occorrente. Prendi tutto e porta qua. Faremo di tutto. Dovrò spazzare questo posto. Mi dovete proprio scusare.

 

 

*

 

Prove d’ascolto è un progetto di Simona Menicocci e Fabio Teti 

 

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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