Come un polittico che si apre
Esce domani in libreria per l’editore Marcos y Marcos il nuovo lavoro di Franco Buffoni, Come un polittico che si apre, libro intervista con Marco Corsi per i settant’anni dell’autore. Ne diamo qui volentieri un’anticipazione. Buona lettura a tutti.
di Franco Buffoni
ULTIMI IRRIDUCIBILI IMPEGNI:
SUL VIVERE IN SOCIETÀ
Siamo tornati al clima di partenza, perché queste conversazioni si sono protratte nell’arco di un anno. Oggi il tempo è benigno, promette una discreta primavera, e vorrei parlare della tua attività di pensiero e di impegno nei confronti della società… prenderei le mosse da un titolo che sbirciando in metropolitana in questi giorni mi ha particolarmente colpito, su uno di quei giornali gratuiti che vengono diffusi ad ogni angolo: “Anche i gay possono adottare”. Ecco, vorrei riflettere con te sull’utilizzo di un termine ancora inquadrato come categoria estetica, invece che come realtà di un individuo, come suo modo di essere all’interno della società; un appellativo ancora lontano da un riconoscimento dei diritti naturali della persona. A partire dall’aggettivo “naturale”, vorrei chiederti della differenza tra “diritto naturale”, per certi versi sempre tirato per la coda dai conservatori, a dispetto di quel “diritto positivo” che si è affermato con l’illuminismo ma che ancora non si è imposto completamente. C’è questa frizione evidente, anche con le direttive ONU e le direttive europee. Che cosa vuol dire, per te, trovarsi ancora in Italia nell’evidenza di una situazione sociopolitica che si rispecchia in un titolo come “Anche i gay possono adottare”?
Quel titolo è certamente uno specchio dello stato anche della lingua italiana. Il fatto di dover ricorrere a un ex aggettivo della lingua inglese è sintomatico. Gli inglesi però metterebbero la s del plurale. Altrimenti parlano di gay community, che comprende tutte le categorie che noi tentiamo di rappresentare con la sigla Lgbt, a cui continuiamo ad aggiungere lettere. Adesso è Lgbtqi per comprendere anche Queer e Intersex. Peraltro, quando la sigla era solo di quattro lettere, personalmente preferivo Glbt per una questione metrica. Glbt è quadrisillabico, mentre Lgbt è un pentasillabico. Questa cosa la dissi in pubblico a un convegno di militanti e vidi attorno a me solo occhi sgranati: capii che non era il caso di insistere. Dobbiamo ricorrere ai termini inglesi perché non abbiamo le parole adatte, se non nella volgarità dei dialetti. (Omosessuale perlatro è un termine medico ottocentesco). E non abbiamo le parole perché non avevamo il reato, i nostri codici non contemplavano il crimine. Invece il mondo di lingua inglese aveva il reato e lo definiva, poi l’ha abolito, ma sono rimasti i termini per definire lo status. Noi non avevamo il reato, persino il codice Rocco non menziona l’omosessualità: si mandavano al confino gli omosessuali come disadattati o asociali. Tornando al tuo titolo, è evidente che l’espressione ad effetto “Anche i gay” strizza l’occhio a quella parte di pubblico che ritiene gli omosessuali altra cosa da sé. Così denunciando una non-accettazione intrinseca. In effetti oggi un giudice in Italia può solo valutare caso per caso. Quella invocata dal titolo sarebbe stata la stepchild adoption, che M5s non volle far passare, sulla pelle di sei milioni di italiani e delle loro famiglie, per mettere in difficoltà il Pd.
Già, il canguro…
Non riesco ad esclamare: Right or wrong my country! Che poi un giudice illuminato a Trento emetta una sentenza a favore, vuol dire soltanto che la società civile è più matura del legislatore, che il potere giudiziario è più avanzato rispetto al legislativo. Quanto alla riflessione generale che la tua domanda presuppone, ebbene, mi illusi negli anni settanta e primi ottanta che le cose si stessero finalmente muovendo: divorzio, aborto, cambiamento di sesso, legge Basaglia…
Poi che cosa accadde?
Accadde che la revisione craxiana del concordato nel 1984 portò al subdolo imbroglio dell’ottopermille, che arricchì enormemente la Cei. Abolendo l’assegno statale di congrua ai sacerdoti, sparirono i preti del dissenso: la loro sopravvivenza ormai dipendeva direttamente dalla Cei, che poteva affamarli come e quando voleva. Cl e Opus dei si infiltrarono nei centri di potere e i diritti civili in Italia restarono al palo.
Con la seconda metà degli anni Ottanta l’Aids…
Paralizzò tutto, anche sul piano del costume, ma fece sorgere una solidarietà nuova tra appestati e reietti: un senso di comunità; poi ebbe inizio il ventennio del Menzogna, quello secondo il quale Eluana poteva ancora partorire. La nostra timida ripresa è dovuta all’Europa: grazie ai danesi, agli olandesi, ai belgi e via via a tutti gli altri: noi come sempre fanalino di coda. Il nostro ritardo e la parzialità della legge approvata nel 2016 dimostrano una grave arretratezza, implicita per altro nella prima parte della tua domanda, con la menzione di diritto naturale e diritto positivo…
Vogliamo parlarne brevemente?
La teoria del diritto naturale, o giusnaturalismo – alla quale i clerico-fascisti ancora oggi si rifanno – postula l’esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili, inscritti nella natura umana, cui si darebbe il nome di diritto naturale. Il diritto positivo – cioè il diritto effettivamente vigente – non sarebbe altro che la traduzione in norme di quei principi. Per le confessioni religiose ovviamente si tratta dei princìpi dettati dai loro testi sacri. Per gli studiosi laici ottocenteschi i princìpi furono quelli di giustizia e di equità, oppure concezioni quali il “popolo” e lo “stato”. Non essendoci accordo sui princìpi – a meno che essi non siano imposti da un potere autoritario – il fondamento stesso della teoria del diritto naturale venne considerato obsoleto già alla fine dell’Ottocento, quando cominciò ad affermarsi il positivismo giuridico o giuspositivismo che, contrapponendosi al giusnaturalismo, asserisce che il diritto è solo ed esclusivamente diritto positivo, e non può esservi spazio per alcun diritto naturale trascendente il diritto positivo. La filosofia del diritto si sposta così dal campo del trascendente a quello dell’immanente, dal dominio della natura a quello della cultura. Sono in tal modo poste le basi per il successivo e fondamentale passaggio che nel secondo Novecento porterà al costruttivismo relativistico giuridico. Quindi il ricorso alle categorie del diritto naturale nel secolo XXI per contrastare unioni omoaffetive e GPA non ha alcun fondamento scientifico. E’ antistorico, patetico.
Per rimanere su un terreno linguistico, quando parlo con persone della tua generazione, a dispetto del confronto che posso avere con i coetanei o con quarantenni che non provengono da territori accademici e di ricerca… ecco, tu prima hai fatto ricorso a un termine come fascista, connotandolo. Quanto si è dimenticato, quanta parte di memoria è andata persa con l’evoluzione dei costumi e dei comportamenti? Insomma, che cosa è accaduto? C’è stata davvero una rivoluzione socio-politica? E il Welfare? Se un tempo il costume condizionava il pensiero politico, quanta memoria bisogna recuperare per uscire da una condizione così disarmata e ondivaga che non riesce a produrre niente di concreto a livello sociale, politico e economico?
Vorrei risponderti sempre sulla base degli studi che ho compiuto. Solitamente chi scrive nel campo della memorialistica omosessuale è qualcuno che ha studiato, che ha potuto riflettere su sé stesso: un intellettuale, scrittore poeta filosofo. Un individuo, portato all’individualismo. Il popolo, nella sua saggezza, ha sempre risolto questi problemi a modo suo. E pure la chiesa cattolica. La soluzione della chiesa era una bella veste nera che tutto ricopriva, dal collo fino ai piedi, e poteva diventare anche rossa o persino bianca… Mentre il popolo si era inventato le categorie dei femminielli, delle checche… trovando un ruolo per queste persone, proprio come lo trovava la chiesa. Perché nelle nostre famiglie contadine, il figlio più sensibile, più intelligente, più delicato di salute, quello meno adatto a produrre figli e arare i campi, andava in seminario. Poi va beh, se ci scappava qualche chierichetto ogni tanto, si chiudeva un occhio. L’attenzione ecclesiastica per i pre-adolescenti c’è sempre stata. Che cosa credi che accada – da sempre – nelle scuole coraniche? La differenza è che oggi nel mondo occidentale la si denuncia definendola pedofilia: è il tramonto di un’epoca e di una civiltà culturale.
Dicevi dell’intellettuale…
C’era una élite intellettuale che talvolta lasciava qualche testimonianza. Non tutti, certamente. Gadda per esempio, distrusse ogni traccia delle sue memorie; resta una lettera di Montale del 21 novembre 1946 indirizzata al critico Silvio Guarnieri: “Carissimo Silvio, qui le cose non vanno bene, ora i giornali escono a due pagine perché manca la corrente per le industrie, cartiere comprese; e così anche la collaborazione al «Corriere» (unico mio reddito) sarà molto ridotta. (…) Landolfi è sempre a Pico ed è meglio per lui che stia là. Il «Mondo» è morto. Carlemilio è a Venezia con alcuni pennerasti (si impaluda sempre più) e degli altri meglio non parlare… Tuo Eusebio”. Il sommo poeta s’inventa un dispregiativo per gli amici omosessuali dell’omosessuale Gadda, storpiando il nome di Sandro Penna.
Toglie il fiato…
Poi c’era il popolo che aveva le sue soluzioni, mentre i codici ignoravano il problema. Questa secolare tradizione è stata messa in discussione da istanze giunte dal mondo anglosassone e nord-europeo. Sappiamo bene con quanta ostilità da parte della chiesa cattolica e delle destre. Attraverso la musica leggera e il cinema nuovi modelli sono penetrati nel tessuto sociale più semplice e popolare. E il costume è mutato. Ricordo che in una circostanza pubblica, quando uscì Zamel nel 2009, avevo fatto un lineare excursus citando i vari pionieri della emancipazione omosessuale, fino all’Associazione americana di psichiatria che il 17 maggio 1990 ottenne la cancellazione dell’omosessualità dall’elenco delle patologie da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: da qui la festa del 17 maggio ormai celebrata in tutti i paesi civili. Ebbene, alla fine, bonariamente, un ascoltatore intelligente osservò: “Dal suo discorso sembrerebbe che da Stonewall nel 1969 si sia passati al manifesto del Gay Liberation Front e poi al 17 maggio come per una lineare evoluzione. E che le legislazioni nei vari paesi ne abbiano preso atto derubricando il reato di omosessualità tra adulti consenzienti. Fino al riconoscimento delle unioni civili e poi del matrimonio egualitario. Però se pensiamo alla fascia medio-bassa della popolazione, che è la più numerosa, forse più dei documenti da lei citati hanno giocato un ruolo fondamentale le canzoncine di Raffaella Carrà”. Credo che il gentile interlocutore avesse ragione. Forse oggi citerebbe Maria De Filippi che apre al tronista gay… In effetti le canzoncine della Carrà permisero un’espressione di gaiezza totale agli zii operai d’Italia. Come oggi Maria De Filippi entra nelle case degli ex-contadini e dei piccolo borghesi mostrando che domani il figlio timido potrà salire su quel trono e scegliersi un fidanzato. Sui grandi numeri inevitabilmente Elton John e la Carrà sono imbattibili. E noi intellettuali con le nostre rivendicazioni di diritti costituiamo un’astrazione. Ci vogliamo anche noi, certo, ma è evidente che nella società italiana prima è venuta Raffaella Carrà con la sua subliminale operazione, e solo molto più tardi la (parziale) acquisizione legislativa. In pratica si doveva riconoscere qualcosa che nella concezione giuridica italiana non era mai stata sancita come reato. Che semplicemente non esisteva.
Chiarezza esemplare!